l’etica protestante e lo spirito del capitalismo di max weber - metodologia, contenuti e test...
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L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo di Max
Weber - Metodologia, Contenuti e Test Empirico.
Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione
Corso di laurea in Sociologia
Cattedra di Metodologia delle scienze sociali
Candidato
Giulio Bordon
1494472
Relatore Correlatore
Luigi Maria Solivetti Sandro Bernardini
A/A 2014/2015
2
ABSTRACT
L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo è ancora oggi uno dei
pochi veri classici della sociologia. Scritta nel 1904-5, quest’opera è
contemporanea a numerosi articoli metodologici di Max Weber che
contribuivano al dibattito tedesco della controversia sul metodo. Pertanto la
sua stesura è per Weber tanto un apporto pratico alla sociologia quanto un
contributo teorico applicato alla Methodenstreit.
Ne L’Etica Protestante identifichiamo i criteri metodologici cari a
Weber dell’avalutatività e della spiegazione causale adeguata di uniformità
tipiche di comportamento tramite l’utilizzo di tipi ideali. Questo lavoro quindi
illustra i fondamenti della controversia sul metodo, da Menger a Dilthey e a
Windelband e Rickert, e evidenzia la posizione di Max Weber in merito alla
metodologia delle scienze storico-sociali.
Il passaggio successivo è dato dalla presentazione puntuale de L’Etica
Protestante e lo Spirito del Capitalismo perché il suo significato sia colto
nella sua pienezza. Partendo dal concetto di Beruf, la vocazione, dal soggetto
storico dello «spirito», e dal fenomeno dell’ascesi intramondana, si è cercato
di restituire compiutamente l’affinità elettiva che intercorse tra le Chiese e le
sette protestanti e lo sviluppo del capitalismo occidentale.
In seguito si è cercato di rintracciare gli strumenti metodologici
utilizzati da Weber attraverso un punto di vista contemporaneo: il ruolo dei
vettori sociali, in cui l’agire individuale acquisisce significato sociale; la
centralità dell’intervento dei fattori culturali nelle strutture sociali; il primato
dell’agire razionale orientato dai valori rispetto all’agire razionale orientato
allo scopo.
Infine viene presentata la tesi centrale dell’opera di Weber tentando di
spogliarla delle critiche accumulate nel tempo, consapevoli che ci si trova di
fronte ad un’indagine limitata e per la quale causa ed effetto non si
relazionano in maniera diretta. Solo con questa consapevolezza si è potuto
procedere alla presentazione di un test empirico che indaga la relazione tra la
distribuzione religiosa in 15 Paesi europei nel XVII secolo e alcuni indici di
sviluppo capitalistico industriale. Il risultato offerto non supporta fortemente
l’ipotesi, un osservatore ingenuo infatti leggendoli difficilmente la
sosterrebbe.
Eppure la tesi di Weber costituisce ancora oggi un’affascinante ipotesi
e soprattutto un mito adorato della sociologia.
3
INDICE
INTRODUZIONE 4
PARTE PRIMA: LA METODOLOGIA DELLE SCIENZE STORICO
SOCIALI 6
I. LA CONTROVERSIA SUL METODO 7
II. LA PROBLEMATICA DELLA METODOLOGIA SECONDO
MAX WEBER 9
III. LA POSIZIONE DI MAX WEBER 11
IV. IL METODO STORICO DI MAX WEBER 15
PARTE SECONDA: L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL
CAPITALISMO di MAX WEBER 18
I. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 19
1. «BERUF» 19
2. LO «SPIRITO» DEL CAPITALISMO 21
II. L’ETICA PROFESSIONALE DEL CAPITALISMO
ASCETICO 24
1. I FONDAMENTI RELIGIOSI DELL’ASCESI
INTRAMONDANA 24
2. ASCESI E SPIRITO CAPITALISTICO 29
PARTE TERZA: LA METODOLOGIA APPLICATA, LA TESI
ESPLICITATA E IL SUO TEST EMPIRICO 32
I. L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL
CAPITALISMO, UN’ANALISI METODOLOGICA 33
II. CALVINISMO E CAPITALISMO:
LA TESI DI MAX WEBER 39
III. UN TEST EMPIRICO QUANTITATIVO DEL FATTORE
RELIGIOSO NELLO SVILUPPO DEL CAPITALISMO 42
CONCLUSIONI 52
BIBLIOGRAFIA 55
5
Lo scopo principale di questa tesi è presentare L’Etica Protestante e
lo Spirito del Capitalismo, una delle opere maggiormente conosciute del
sociologo tedesco Max Weber, redatta tra il 1904 e il 1905. La sua
presentazione e analisi dei contenuti è condotta di pari passo con lo studio dei
fondamenti metodologici e dell’applicazione pratica della metodologia di
Weber. Lo studio dell’affinità tra la confessione religiosa e lo sviluppo del
capitalismo industriale è stato per Max Weber un momento di unione tra il
lavoro metodologico e quello di ricerca, dal momento che la metodologia
weberiana veniva costruendosi giorno per giorno nella ricerca concreta.1
L’interesse verso quest’opera di Max Weber è nato dal fascino che
genera la forma con cui procede nell’illustrazione della sua tesi – partendo
dall’essenziale concetto di vocazione e arrivando all’ascesi intramondana
dello spirito capitalistico – per cui si è pensato che meritasse uno studio
approfondito tanto nel contenuto quanto nel metodo.
Nel momento della sua prima pubblicazione tramite edizioni
accademiche L’Etica Protestante ha generato un vivace dibattito nei gruppi
di studiosi storico-sociali tedeschi. Tuttavia è grazie alla sua edizione
statunitense del 1930 a cura di Talcott Parsons che la discussione critica
dell’opera si è diffusa nel mondo accademico occidentale.
La nostra tesi di laurea è suddivisa in tre capitoli che nel loro insieme
dovrebbero dare al lettore un’idea precisa dei contenuti del saggio di Weber,
della sua posizione nel dibattito metodologico tedesco dell’epoca e della
plausibilità della tesi fondamentale dell’opera.
Il primo capitolo è dedicato ad una panoramica sulla Methodenstreit e
sulla posizione di Max Weber in merito agli studi metodologici. Nella
seconda parte sono riportati i contenuti del saggio weberiano in modo da
evidenziarne i contenuti fondamentali. Infine nella terza parte hanno trovato
luogo un’analisi metodologica dell’opera, alcuni chiarimenti sulla tesi de
L’Etica Protestante e la presentazione di un test empirico della principale
ipotesi weberiana.
1 Rossi, P. (1957). Max Weber e la Metodologia delle Scienze Storico-Sociali. Giornale
degli Economisti e Annali di Economia, 16(1/2), 2-31.
7
1
LA CONTROVERSIA SUL METODO.
A partire dalla metà dell’Ottocento la cultura tedesca si impegnò nel
tentativo di determinazione del compito delle scienze storico-sociali e della
validità dei loro procedimenti d’indagine. L’origine di questo dibattito
metodologico va ricercato nei molteplici indirizzi delle discipline storiche,
economiche, giuridiche e sociologiche a proposito di specifici problemi e
concreti orientamenti di ricerca.
La prima manifestazione di questo dibattito appare nel campo
dell’economia con il contributo dell’economista austriaco Carl Menger nel
18832. Menger si opponeva agli economisti della scuola storica tedesca che
criticavano l’economia classica ricercando e confermando leggi di sviluppo
economico fondate su strumenti concettuali di origine romantica3 quali ad
esempio lo «spirito» di un popolo. La scuola austriaca per contro rimarcava
il valore della portata metodologica degli schemi classici dell’economia e
rivendicava l’importanza di modelli ipotetico-deduttivi. Questa controversia
metodologica – appunto oggi nota come Methodenstreit – coinvolse
rapidamente anche le altre discipline storico-sociali aprendo in ognuna vivaci
dibattiti.
Nella sociologia tedesca lo sforzo intellettuale riguardò la
ridefinizione dei rapporti tra storiografia e sociologia e le altre scienze sociali.
Si imponeva l’urgenza di differenziare la funzione della sociologia e di
dotarla di categorie destinate ad un uso specifico e in questo campo si
distaccarono due correnti distinte che alimentarono il dibattito.
La prima è data dalla soluzione di Wilhelm Dilthey. In Einleitung in
die Geisteswissenschaften (1883) Dilthey opera la fondamentale distinzione
tra scienze dello spirito e scienze della natura. Le scienze storico-sociali fanno
parte del gruppo delle scienze dello spirito che si distinguono dalle altre per
la diversità del rapporto tra il soggetto dell’indagine e la realtà studiata. Essa
è il mondo umano a cui l’uomo appartiene nel caso delle scienze dello spirito
e il mondo della natura nel caso delle scienze della natura. Le scienze dello
spirito partono dall’esperienza vissuta dell’uomo nel mondo e perciò possono
essere intese, ma non spiegate causalmente. Dilthey perciò mantiene una
connessione tra scienze sociali e storiografia in quanto hanno in comune il
2 Menger, C. (1883). Untersuchungen über die Methode der Socialwissenschaften und der
politischen Oekonomie insbesondere. Wien. 3 Rossi, P. (1957). Max Weber e la Metodologia delle Scienze Storico-Sociali. Giornale
degli Economisti e Annali di Economia, 16(1/2), 2-31.
8
processo della comprensione a cui si oppone la spiegazione delle scienze della
natura.
La seconda corrente in seno al dibattito tedesco è quella influenzata
da Wilhelm Windelband4 e Heinrich Rickert5 che distinguevano tra scienze
orientate alla costruzione di un sistema di leggi generali (scienze
nomotetiche) e scienze orientate alla determinazione dell’individualità di un
certo fenomeno (scienze idiografiche). Le scienze di Dilthey qui vengono
ricombinate a seconda del metodo d’indagine e la connessione tra storiografia
e scienze sociali cessa a causa della pretesa normatività generale delle scienze
sociali. Rickert dal canto suo ha però cercato di mantenere un rapporto tra il
mondo storico il cui campo di conoscenza è la cultura e le scienze sociali.
Per circa due decenni l’antitesi tra queste due posizioni ha costituito il
centro della controversia sul metodo e sulle condizioni di validità delle
scienze storico-sociali.
4 Windelband, W. (1894). Geschichte und Naturwissenschaft, Straßburg. 5 Rickert, H. (1896). Die Grenzen der naturwissenschaftlichen Begriffsbildung, Eine
logische Einleitung in die historischen Wissenschaften. Freiburg.
9
2
LA PROBLEMATICA DELLA METODOLOGIA SECONDO MAX
WEBER
Nel 1903, Max Weber pubblicò un articolo intitolato Il metodo storico
di Roscher6 in cui delineava la sua prima critica alla scuola storica tedesca di
economia. A questo articolo ne seguirono altri che espandevano la portata
critica verso la metodologia delle scienze storico-sociali.
Concependo la realtà storica come un flusso infinito di eventi, Weber
dichiara l’impossibilità di una descrizione esaustiva tanto di un evento
individuale quanto di processi più ampi. La metodologia delle scienze storico-
sociali perciò, indagando i significati culturali degli eventi, è mutabile e
essenzialmente incompleta. In quest’ottica, credere che un lavoro
metateoretico nelle scienze storico-sociali possa o debba giungere ad una
conclusione finita nel campo metodologico è un’illusione. Weber dunque è
molto scettico a proposito del valore del lavoro metodologico avanzando tre
argomentazioni.7
Anzitutto l’enfasi sulle questioni metodologiche incoraggia il
“dilettantismo” quando lo scienziato sociale all’interno della propria ricerca
tenta di maneggiare le batterie di concetti logici e tecnici altamente
specializzati. Era usanza della scienza sociale durante la Methodenstreit
quella di tentare di impreziosire ogni lavoro di ricerca con considerazioni
metodologiche e epistemologiche costellate sovente di grossolani errori.
Questa moda irritava non poco il professor Weber.
Il secondo motivo è molto prossimo al primo e punta il dito contro la
pestilenza metodologica che colpiva le discipline storico-sociali. Ogni lavoro
metodologico causava una intera generazione di commenti, esposizioni,
critiche e confutazioni che a loro volta producevano un’altra generazione di
scritti metodologici.
La terza argomentazione considera semplicemente la metodologia
come una perdita di tempo. I problemi delle scienze storico-sociali sono di
natura empirica e la loro soluzione può essere trovata solo all’interno di una
ricerca teorica sostantiva. Per Weber le discussioni puramente
epistemologiche o metodologiche non hanno mai condotto a contributi
decisivi nel campo di una teoria sostantiva. Ritenere che la metodologia è una
6 Weber, M. (1903). Roscher's 'historische Methode'. Schmoller's Jahrbuch, volume 25. 7 Oakes, G. (1977). The Verstehen Thesis and the Foundations of Max Weber's
Methodology. History and Theory, 16(1), 11-29.
10
condizione necessaria per una ricerca fruttuosa sarebbe come sostenere che la
conoscenza dell’anatomia sia indispensabile alla capacità di camminare. Una
metafora di cui Weber fa uso per criticare l’infondata intersezione
metodologica tra discipline differenti.
Tuttavia con gli stessi termini metaforici si può recuperare
l’importanza relativa della metodologia. L’anatomia è utile al camminare nel
momento in cui questo non riesce. La metodologia ha uno scopo terapeutico
per cui contribuisce a determinare cosa è andato male in una ricerca nel
momento in cui le scienze storico-sociali attraversano un periodo di
sbandamento.
Tra il 1903 e il 1907 Weber fu attivamente impegnato nel lavoro
metodologico per diagnosticare il malanno delle scienze storico-sociali – la
Methodenstreit – e prescriverne una cura risolutiva. La sua concezione delle
discipline, un campo di battaglia in cui si conduceva una lotta su metodi,
concetti basilari e presupposti, unita a quella del flusso storico porta al
risultato di un perpetuo flusso di problematiche e continua ridefinizione dei
concetti. Le scienze storico-sociali perciò possiedono schemi concettuali che
hanno momenti di freschezza, maturità e tramonto seguendo l’andamento dei
punti di vista nella storia. Per Weber le discipline storico-sociali si trovano
esattamente in un momento di cambio di paradigma, urge quindi una
metodologia che sia capace di risolvere la confusione critica e straordinaria e
procedere verso la ricerca socioculturale.
Questa crisi costituita dal politeismo dei valori applicato alle
discipline avvolge l’intero apparato teoretico della conoscenza in maniera non
sistemica e ordinata, ma come una corrente continua di controversie
fondamentali sulle proprietà dei fenomeni, sul domino dei problemi, sugli
obbiettivi teoretici, sul metodo logico della ricerca.
11
3
LA POSIZIONE DI MAX WEBER.
In questo contesto viene formandosi la metodologia di Max Weber, la
quale rappresenta un sforzo organico di risolvere i problemi emersi dal
dibattito interno delle scienze storico-sociali e dal dibattito generale sulla loro
funzione.
Già studiando la storia del diritto commerciale nel Medioevo8 e la
storia del diritto agrario romano9, egli aveva dovuto affrontare il problema del
rapporto tra le istituzione economiche e l’elaborazione di concetti giuridici
corrispondenti: cioè la questione del rapporto tra indagine storica e
considerazione giuridica. L’analisi del disfacimento economico-sociale
dell’antica Roma invece lo aveva posto di fronte al problema del peso dei
fattori economici nel corso storico. D’altra parte la partecipazione ai lavori
del «Verein für Sozialpolitik» e l’inchiesta sulle condizioni di vita dei
contadini della Germania orientale lo avevano messo di fronte alle questioni
di una ricerca sociologica sul campo, e al più vasto problema del rapporto tra
questa ricerca e la possibilità di una presa di posizione politica diretta alla
trasformazione pratica delle condizioni accertate empiricamente.10
La metodologia weberiana veniva così costruendosi nel corso della
ricerca concreta, giorno per giorno, trovando il proprio nucleo nell’esigenza
di definire la rispettiva funzione dell’analisi empirica delle scienze storico-
sociali e dell’attività politica. Attraverso l’analisi dei presupposti della scuola
storica di economia, Weber definisce la propria posizione. Egli mette in
relazione positivamente il punto di vista di Dilthey e il punto di vista di
Windelband e di Rickert. Accogliendo la critica di Menger, Weber pone in
luce come il procedimento dello storicismo economico tedesco non sia, in
realtà, un procedimento storiografico, bensì costituisca una ricerca di
tendenze evolutive pregiudicata dall’impiego di categorie positiviste. La
contropartita positiva di tale critica è perciò da un lato il richiamo ad indagini
di storia economica vera e propria, dirette a individuare la struttura delle varie
forme di economia ed il processo che dall’una conduce all’altra, e d’altro lato
il riconoscimento della validità dell’impostazione dell’economia classica nei
limiti già indicati da Menger. Respingendo la nozione di «spirito del popolo»
8 Weber, M. (1889). Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter. Stuttgart. 9 Weber, M. (1891). Die römische Agrargeschichte in ihrer Bedeutung für das Staats- und
Privatrecht. Stuttgart. 10 Rossi, P. (1957). Max Weber e la Metodologia delle Scienze Storico-Sociali. Giornale
degli Economisti e Annali di Economia, 16(1/2), 2-31.
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come fondamento reale delle manifestazioni di sviluppo di una certa società,
e l’indebita trasposizione di concetti biologici nello studio dei fenomeni
economici, Weber allarga la portata della propria analisi in una critica della
scuola economica storica tedesca. L’opera della scuola storica appare inficiata
dall’introduzione di presupposti metafisici che, implicando una pretesa
valutativa, non consentono di svolgere una ricerca oggettiva.
Attraverso il rifiuto di euristiche storiche, come l’oggettivismo dello
«spirito del popolo» o dell’intuizionismo, egli arriva a scartare alcuni
capisaldi dell’analisi di Dilthey11: le scienze storico-sociali non si distinguono
perché hanno per loro oggetto lo spirito anziché la natura, oppure perché
procedono mediante la spiegazione causale. Ciò che distingue la conoscenza
storica, e le discipline che rientrano nel suo ambito, dalla scienza naturale è
la sua particolare struttura logica, cioè l’orientamento verso l’individualità.
Proprio il ricorso al punto di vista elaborato da Rickert offre alla metodologia
weberiana gli strumenti per condurre la polemica contro l’eredità della scuola
storica, e per trovare una prima definizione positiva. Il discrimine non è
l’oggetto, bensì lo scopo per cui è indagato e il metodo della sua elaborazione
concettuale. Non la comprensione come procedimento psicologico, bensì il
modo in cui essa trova una verificazione empirica e si traduce in una forma
specifica di spiegazione causale.
Weber comunque non rigetta in toto la posizione di Dilthey, piuttosto
la reinterpreta, e si riavvicina a Rickert. Non nega che le scienze storico-
sociali abbiano un proprio campo di ricerca e procedimento particolare, nega
che questi due siano sufficienti a caratterizzarne la struttura logica. La
comprensione non è esclusiva della spiegazione causale, ma coincide con una
forma specifica di essa. Le scienze storico-sociali sono quindi quelle
discipline che servendosi del processo di interpretazione, mirano ad accertare
relazioni causali tra fenomeni individuali. Discipline che intendono spiegare
ogni fenomeno nei rapporti volta a volta diversi che lo congiungono con altri:
la comprensione del significato coincide con la determinazione delle
condizioni di un avvenimento.
La polemica contro l’eredità della scuola storica si orienta verso due
punti. Il primo è l’assunto dell’avalutatività, ossia nella raccomandazione a
non far ricorso a presupposti che implichino una presa di posizione valutativa.
Qui Weber conduce una critica ai rappresentanti del «socialismo della
cattedra» (Schmoller, A. Wagner, L. Brentano e altri ancora) che
congiungevano allo studio scientifico dei problemi economico-sociali
l’aspirazione ad una trasformazione in senso moderno dell’ordinamento
11 Rossi, P. (1957). Max Weber e la Metodologia delle Scienze Storico-Sociali. Giornale
degli Economisti e Annali di Economia, 16(1/2), 2-31.
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sociale della Germania. Le scienze storico-sociali possono sì contribuire alla
risoluzione di determinati problemi, ma la loro ricerca deve essere oggettiva.
La ricerca scientifica è indipendente da qualsiasi presa di posizione valutativa
perché accerta ciò che è, non ciò che deve essere. Il valore è semmai un
principio di scelta necessario a stabilire un campo di ricerca.
Il secondo punto polemico è la verifica degli asserti scientifici
mediante il ricorso alla spiegazione causale. Se la scienza naturale spiega i
fenomeni riportandoli a un sistema di leggi generali, e le scienze storico-
sociali vogliono invece spiegarli nella loro individualità – nel processo
specifico da cui essi sorgono – come è però possibile questa forma di
spiegazione di un oggetto storico? Mediante quale procedimento si può
pervenire ad essa? La spiegazione di un oggetto storico implica anch’essa una
scelta entro la molteplicità del dato empirico, e degli infiniti rapporti che
legano ogni suo elemento a infiniti altri elementi. L’interesse storico
determina il campo di ricerca entro cui delimitare gli elementi e la spiegazione
di un avvenimento individuale non implica una sua riproduzione totale. La
spiegazione si restringe a una serie finita di elementi, determinati di volta in
volta, in base a un certo punto di vista. In questo modo si imputa un
avvenimento alle sue «cause».
Weber si pone dunque il problema della verifica empirica della
«imputazione», cioè la determinazione di un rapporto di causa ed effetto in
forma individuale. La dimostrazione può avvenire soltanto mediante la
costruzione di un processo ipotetico che sia differente dal processo reale a
causa dell’esclusione preliminare di uno o più elementi. Segue la
comparazione tra il processo reale e il processo ipoteticamente costruito. Così
si può oggettivamente «imputare» un avvenimento lungo una scala di
causazione adeguata o accidentale. Così Weber abbandona il modello classico
di spiegazione causale passando ad uno schema di spiegazione
condizionale12. Da un punto di vista si delimitano dei fenomeni da cui dipende
un fenomeno individuale. Non se ne stabiliscono i fattori determinanti bensì
un gruppo di condizioni che accanto ad altre lo rendono possibile. Esistono
così diversi ordini di spiegazione in relazione alla diversità del punto di vista
che designa la direzione dei rapporti indagati.
Un altro cardine del dibattito sul metodo riguardava il posto dei
concetti e delle regole generali – il sapere nomologico – nell’ambito della
conoscenza storica. Per Weber le leggi del divenire riguardano sia le scienze
naturali che quelle storico-sociali e si distinguono per la loro funzione. Per la
conoscenza dei fenomeni storici le regole hanno una funzione di mezzo
12 Rossi, P. (1957). Max Weber e la Metodologia delle Scienze Storico-Sociali. Giornale
degli Economisti e Annali di Economia, 16(1/2), 2-31.
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conoscitivo e non di fine. Per questo sono tanto più valide quanto meno sono
specifiche, perché nella generalità vi è per Weber un vuoto di contenuto. La
spiegazione dell’individualità presuppone il sapere nomologico, vale a dire
un insieme di uniformità tipiche di comportamento13 empiricamente
constatabili. Queste uniformità sono costituite attraverso un procedimento
astrattivo che isola alcuni elementi entro la molteplicità del dato empirico e
procede a coordinarli in un quadro coerente e privo di contraddizione. Il
risultato di tale procedimento astrattivo è perciò sempre un tipo ideale che si
differenzia dalla realtà, ma che serve strumentalmente alla spiegazione dei
fenomeni nella loro individualità.
13 Rossi, P. (1957). Max Weber e la Metodologia delle Scienze Storico-Sociali. Giornale
degli Economisti e Annali di Economia, 16(1/2), 2-31.
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4
IL METODO STORICO DI MAX WEBER.
A detta di Max Weber l’unità fondamentale dell’analisi sociale è la
condotta individuale.14 La condotta è dotata di significato dall’individuo
poiché egli orienta se stesso in riferimento alla condotta degli altri. La
condotta umana, il luogo sia del significato che del sociale, è il soggetto
problematico della sociologia. Tutte le istituzioni sociali, i gruppi e le classi
e i loro sviluppi sono pertanto costrutti del pensiero e utili strumenti per
l’analisi dei fenomeni sociali. Ciò significa che i concetti collettivi hanno
significato solo come strumenti metodologici. Hanno un riferimento empirico
nel senso e nella misura in cui la condotta individuale in riferimento alle altre
dà loro sostanza. Non vi è realtà collettiva se non quella orientata dalla
condotta individuale. Weber dunque limita la sociologia ad una visione
individualistica che non tiene conto delle influenze dei processi socializzativi,
egli centra l’analisi sulla condotta umana dotata di significato tradizionale,
affettivo o razionale.
Dal punto di vista storico ne segue un flusso di dati caotici perché
manca un principio organizzatore altro rispetto alla condotta individuale.
Quest’unicità degli eventi storici pone un problema metodologico in quanto
Weber si preoccupava di relazionare l’analisi storica della causazione degli
eventi con la costruzione di una sociologia comparativa della storia. Ogni
analisi storica di un evento del passato cerca di accertare il suo effetto causale
su seguenti eventi o sviluppi. Ciò può essere compiuto, per Weber, con
l’utilizzo del dispositivo metodologico della possibilità oggettiva ossia
l’operazione di una scelta tecnica del campo d’indagine in cui verificare lo
schema dei rapporti. Si assume che un certo sviluppo di pensieri e azioni (ad
esempio il Calvinismo) non si sia verificato. Da qui possiamo ipoteticamente
costruire una sequenza di azioni seguenti in accordo con la conoscenza degli
scenari storici e della regolarità della condotta umana. Si può così immaginare
un differente corso per la storia umana in assenza di un dato evento e pertanto
attribuire al suo accadimento un significato causale nella misura in cui la
costruzione teoretica ha mostrato uno sviluppo alternativo dovuto al suo
ipotetico non verificarsi. L’analisi interna invece cerca di giungere ad
un’interpretazione dei significati tramite l’accertamento di quelle circostanze
dell’evento che più possono spiegarlo. Così è applicabile il principio di
14 Bendix, R. (1946). Max Weber's Interpretation of Conduct and History. American
Journal of Sociology, 51(6), 518-526.
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causazione adeguata poiché si possono accertare le probabilità che sotto
simili circostanze un tale sviluppo si sarebbe verificato. Questi tre principi di
possibilità oggettiva, analisi interna e causazione adeguata insieme
costituiscono il metodo dell’imputazione causale di Max Weber.15
I maggiori interessi di Max Weber nell’indagine storica sono l’analisi
causale e la sociologia comparata. Il secondo serve al primo perché il
ricercatore storico non può operare quel processo mentale immaginativo di
cui sopra senza la conoscenza che la sociologia gli offre. La sociologia è utile
in quanto accerta le regolarità delle condotte e delle credenze in generale
legate al comportamento. Queste formulazioni forniscono conoscenza sui
possibili comportamenti umani sotto differenti circostanze. La sociologia è
per Weber una disciplina supplementare16 in quanto tenta di stabilire un
inventario del comportamento umano ricorrente usufruibile dalla spiegazione
storica degli eventi.
Data l’unicità dei fatti storici è comunque impossibile sviluppare
concetti aderenti ad ogni tipo di condotta in ogni caso particolare. Nondimeno
sono necessari concetti non ambigui costruibili al costo di semplificare la
complessità storica ed esagerare le uniformità. Gli idealtipi sono formulati al
fine di diradare i concetti e arrivare a generalizzazioni a proposito della
condotta umana nonostante l’unicità storica. I cambiamenti sociali del passato
devono essere guardati come cambi in avvicinamento o allontanamento verso
un idealtipo. Gli idealtipi creano l’illusione di uno sviluppo storico nei
confronti di eventi dati come fattori unici che si succedono in un’infinità di
sequenze causali.
L’elaborazione di concetti sociologici è possibile in rapporto diretto
con lo studio storico di determinati fenomeni individuali, ma il suo sviluppo
autonomo può dar luogo a un sistema organizzato e coerente di concetti
analogo a quello della scienza economica. In questo modo la sociologia si
avvia lungo una strada autonoma rispetto all’indagine storica. L’oggetto della
sociologia risulta essere l’uniformità dell’atteggiamento umano in quanto
dotato di senso, accessibile all’intendere.
La metodologia per Max Weber si configura come un’analisi aderente
al modo di lavorare effettivo delle scienze storico-sociali. Essa trae di
continuo il materiale e vitalità dal riferimento a questioni di indagine
concreta. Lo schema esplicativo condizionale, determinato in sede teorica,
trova infatti la propria prima realizzazione nella «sociologia della religione»
dell’Etica protestante e lo Spirito del Capitalismo del 1904-5 e nello stesso
15 Bendix, R. (1946). Max Weber's Interpretation of Conduct and History. American
Journal of Sociology, 51(6), 518-526. 16 Bendix, R. (1946). Max Weber's Interpretation of Conduct and History. American
Journal of Sociology, 51(6), 518-526.
17
saggio rinveniamo l’utilizzo di concetti tipico-ideali che devono consentire lo
studio differenziato delle varie relazioni sociali ed essere impiegati per la
comprensione storiografica dei fenomeni della società. L’esame del rapporto
tra sviluppo economico e sviluppo religioso, considerato sotto la luce della
diversità dell’etica economica propria di una forma storica di religione è
condotto in base al presupposto di un nesso di «condizionamento reciproco»
che si tratta di accertare nella sua direzione e nei suoi limiti.
19
1
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI.
1.1 «BERUF»
La parola tedesca Beruf esprime una posizione occupata nella vita, un
ambito di lavoro preciso e circoscritto, una professione nella quale echeggia
una rappresentazione religiosa, ovvero un compito assegnato da Dio. La
ricerca linguistica di Weber riscontra parziali e imprecise corrispondenze
nell’ebraico (mela ‘kah), nel greco antico (κάματος) e nel latino (vocatio) che
tuttavia non rispecchiano l’aspetto religioso e al tempo stesso etico del
vocabolo tedesco.
In italiano, dalla bibbia Vulgata, il termine è stato reso dapprima con
«chiamamento» e conseguentemente con «vocazione», ma com’è evidente,
entrambi i termini non chiariscono il senso esteriore ovvero intramondano
dell’attività lavorativa, restituendone solo l’aspetto religioso.17
Questo termine viene impiegato da Lutero per tradurre la «κλησις» di
S. Paolo ossia la «chiamata alla salute eterna da parte di Dio» che ne rende
l’effetto religioso. Il significato mondano della vocazione è reso dalla
traduzione dei moniti contenuti nel testo biblico Siracide, dove Lutero traduce
con Beruf l’espressione πόνος che significherebbe fatica, senza alcuna
valorizzazione religiosa. La connessione tra due usi così distinti della stessa
parola è evidente nella traduzione luterana dei Corinzi e la sua diffusione in
testi non religiosi, così come l’accentuazione dei significati da parte dei
calvinisti testimoniano il successo del concetto già nel XVI secolo.18
Lutero produce questo concetto sin dagli inizi del suo percorso
riformatore e da ciò scaturisce il significato protestante di Beruf: l’esistenza
monacale è svuotata dei suoi valori dinanzi a Dio in quanto sottrae l’individuo
dai doveri mondani nei confronti dei quali è egoista e insensibile.
Allora la maniera protestante di essere graditi a Dio consisterebbe
semplicemente nel compiere i doveri quotidiani derivanti dalla posizione
occupata, dalla propria professione, che più chiaramente ora possiamo
definire anche vocazione.
17 M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR Rizzoli 2013, Milano,
p.136 18 Ivi, p. 140
20
Appare evidente il contrasto tra ascesi monacale cattolica e ascesi
intramondana protestante; inoltre che questa seconda sia stata una delle opere
più significative della Riforma è già per Weber quasi un luogo comune.19
Sarebbe superficiale e illecito tuttavia riscontrare in Lutero stesso e
nelle sue intenzioni lo «spirito capitalistico» che è oggetto d’indagine. La
Riforma ha inteso sottolineare esclusivamente il peso morale e il premio
religioso per il lavoro intramondano inteso nei termini di una professione
regolare e ordinata. Per Lutero il Beruf assume un significato adattivo e
d’accettazione del compito assegnato da Dio. Significato che per Weber si
predica nell’ubbidienza all’autorità e nell’accettazione della situazione
esistenziale data.20
L’accezione luterana è perciò problematica nella ricerca weberiana e
si assume come punto di partenza derivante di una prassi elaborata in seguito
dalle altre sette puritane e dal calvinismo. Tuttavia per nessun riformatore è
mai stato centrale un piano di riforma etica, questo si può piuttosto
considerare una conseguenza imprevista e non voluta di ricerche religiose e
spirituali attorno al tema della salvezza dell’anima.21
Allora lo studio di Weber si configura innanzitutto come un’indagine
illustrativa delle modalità con cui le «idee» si attivino nella storia. Ciò
avviene per mezzo di affinità elettive che rigettano la determinazione
Riforma-Capitalismo in quanto è evidente che forme capitalistiche la
anticipavano.
Il punto sta nell’identificare se determinati aspetti religiosi hanno
partecipato qualitativamente e quantitativamente all’espansione e
configurazione dello «spirito capitalistico» nel mondo occidentale.22
19 Ivi, p. 103 20 Ivi, p. 108 21 Ivi, p. 112 22 Ivi, p. 114
21
1.2 LO «SPIRITO» DEL CAPITALISMO
Cosa intende Max Weber per «spirito del capitalismo»?
Operativamente si riferisce ad un “individuo storico” ossia ad un “complesso
di nessi presenti nella realtà storica” unificati nella totalità di un concetto.23
Tuttavia l’oggetto non può essere immediatamente incasellato in una
definizione concettuale. È necessaria anzitutto una “illustrazione provvisoria”
che dia conto degli elementi singoli e che soltanto a suo termine possa dare
un risultato adeguato al punto di vista dell’indagine a venire.24
Può essere utile partire da un polo per arrivare al suo opposto: il
tradizionalismo è per Max Weber, quel comportamento che descrive l’uomo
come un essere che per natura non vuole accumulare denaro, bensì vivere
semplicemente, vivere come è abituato a vivere, e guadagnare tanto quanto è
necessario a mantenere il suo standard di vita. Richiamando Sombart25,
Weber identifica il tradizionalismo in un sistema economico della
soddisfazione dei bisogni equiparando il concetto di «bisogno» al «bisogno
tradizionale».
Tradizionalismo e capitalismo non sono sistemi che si escludono a
vicenda: è possibile incontrare un carattere tradizionalistico anche in aziende
condotte privatamente al fine di generare profitti tramite l’elaborazione e
vendita di lavorati. Invero ad una forma capitalista dell’impresa può
corrispondere uno spirito tradizionale di gestione. Il rapporto tra forma e
spirito sta in una relazione adeguata, ma non necessaria.26
Altrimenti sono riconoscibili aziende tradizionali condotte con uno
spirito capitalistico, e qui Weber fa l’esempio di Benjamin Franklin il quale
era colmo di «spirito capitalistico» nonostante la sua stamperia fosse
un’azienda di forma tradizionale, praticamente artigianale.27
In “Necessari suggerimenti a coloro che vorrebbero arricchirsi” del
1736 ad opera proprio di Franklin, Weber trova e identifica una peculiare
filosofia di vita. Una filosofia dell’avarizia, articolata in precetti morali e
virtuosi in senso utilitaristico che assurge infine ad una vera e propria etica a
cui uniformare la vita. Violare quest’etica non sarebbe per Franklin una follia,
ma una negligenza nei confronti dei propri doveri: l’uomo onesto è
moralmente tenuto ad incrementare il proprio capitale.
23 Ivi, p. 70 24 Ivi, p. 71 25 Sombart, Der moderne Kapitalismus, vol. I, 1902, p. 62 citato in M. Weber, L’Etica
Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 87 26 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 87 27 Ivi, p. 88
22
Qui di seguito sono elencate alcune proposizioni che seppur
estrapolate dal testo (1736) sono indici dello «spirito» capitalistico moderno
e occidentale:
«Il tempo è denaro»;
«Il credito è denaro»;
«Il denaro ha natura feconda e fruttuosa, [non metterlo a frutto] uccide
tutto quello che si sarebbe potuto produrre con esso»;
«Chi paga puntualmente è il padrone della borsa di tutti»;
«Apparire come un uomo sia preciso sia onesto aumenta il tuo credito».28
Il punto focale di quest’etica, il guadagno reiterato di denaro, è
svuotato di ogni fine edonistico e appare finalizzato a se stesso. L’attività
lucrativa non è affatto indirizzata alla soddisfazione di piaceri mondani, alla
felicità o utilità del singolo, ma giunge ad essere lo scopo se non il significato
della vita dell’uomo. Il guadagno economico (legale) nella modernità è frutto
ed espressione dell’abilità nella professione. Questa abilità, perseguita come
un dovere, è caratteristica dell’etica sociale della civiltà capitalistica.
Nell’ottica weberiana è costitutiva: questa maniera di vivere e di concepire la
professione, adatta alla natura peculiare del capitalismo, è sorta non in
individui singoli e isolati bensì in gruppi umani precedentemente allo
sviluppo del capitalismo stesso e per meccanismi di selezione economica ha
raggiunto la misura moderna.29
Lo «spirito capitalistico» ha dovuto lottare una dura lotta contro un
mondo di forze nemiche tradizionali per arrivare ad affermarsi nello
«sviluppo capitalistico». La sua esistenza è perciò logicamente anteriore al
fenomeno di massa della modernità e si distingue in maniera netta da quello
«spirito» precapitalistico identificabile nell’impulso al profitto comune a
molte epoche e zone del pianeta. L’avidità del mandarino cinese, del patrizio
dell’antica Roma (auri sacra fames) o dei moderni agrari può esprimersi
addirittura più intensamente, ma sicuramente meno scrupolosamente. Lo
scrupolo, il sentirsi moralmente obbligati verso il lavoro, la temperanza e
moderazione che accrescono insolitamente l’efficienza e superano la routine
tradizionalistica derivano da un’educazione spirituale.30
Dove questo «spirito» si risveglia e si realizza, esso crea le riserve
pecuniarie come mezzi della sua azione e non il contrario, conduce il suo
possessore con lucidità ed energia ad attivarsi verso il guadagno - sotto la
28 B. Franklin, Necessary hints to those that would be rich, 1736 citato in in M. Weber,
L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p.72 29 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 78 30 Ivi, p. 86
23
categoria della vocazione - nei confronti del quale il singolo si sente
obbligato. Si può allora «razionalizzare» l’esistenza da punti di vista diversi
e soprattutto in direzioni diversissime. Il razionalismo è un concetto storico
che comprende in sé un mondo di antitesi e perciò non deve stupire che una
condotta di vita assolutamente razionale si sia originata da un elemento
irrazionale: la vocazione.
24
2
L’ETICA PROFESSIONALE DEL CAPITALISMO ASCETICO.
2.1 I FONDAMENTI RELIGIOSI DELL’ASCESI INTRAMONDANA
I movimenti religiosi che hanno assunto un indirizzo ascetico, senza
distinguere fra i programmi e i dogmi ecclesiastici, si posso inserire più in
generale all’interno di quel movimento chiamato «puritanesimo». Al suo
interno i dissensi dogmatici si sono combinati in maniera molteplice dando
origine a basi dogmatiche anche molto differenti che eppure hanno generato
un comune effetto pratico sulla condotta etica dei credenti.
Sembrerebbe possibile allora soprassedere alle specificazione
teologiche delle dottrine protestanti, ma questo non permetterebbe di chiarire
quegli impulsi psicologici creati da ciascuna peculiare fede religiosa. Perciò
Weber presenta quattro confessioni protestanti identificate in maniera ideal-
tipica, con il contenuto di pensiero pienamente sviluppato e nettamente
separati, come nella realtà storica accadeva di incontrare solo nelle forme più
coerenti.31
Calvinismo: intendiamo non il pensiero di calvino, ma il movimento
con la sua forma già assunta alla fine del XVII secolo. In genere si ritiene che
il suo dogma più importante32 sia stata la dottrina della predestinazione degli
eletti, ma si può conferirgli tanta importanza solo tramite di un giudizio di
attribuzione storica che necessita di tenere in considerazione gli effetti
esercitati sulla storia della civiltà. Il contenuto di questa dottrina deriva dagli
articoli fideistici della «Confessione di Westminster» del 1647 riguardanti il
libero arbitrio e l’eterno decreto di Dio.
“L’uomo, con la sua caduta nello stato di peccato, ha perduto
interamente ogni capacità di volere alcunché di spiritualmente buono e tale
da comportare la beatitudine, tanto che un uomo per natura è interamente
deviato dal bene e morto nel peccato […]”;
“Dio, con la sua decisione ha predestinato alcuni uomini […] alla
vita eterna, e altri ne ha predestinati alla morte eterna. Quelli che sono
predestinati alla vita Dio, prima che fosse posto il fondamento del mondo, li
ha eletti, in Cristo, allo splendore eterno, secondo il suo disegno eterno […]
31 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 160 32 Ivi, p. 160
25
non perché indotto dalla previsione della fede o delle opere buone […] ma
tutto a maggior gloria della sua grazia sovrana […] a magnificazione della
sua giustizia sovrana.”33
L’immenso dono della grazia non può essere dovuto ad un intervento
della creatura tramite prestazioni terrene o qualità della fede, il decreto arcano
e orribile di Dio è l’unica fonte della salvezza. L’uomo esiste esclusivamente
in funzione di Dio e della sua autoglorificazione maestosa, Dio eternamente
bea una parte degli uomini e ne danna un’altra senza che l’influenza umana
contribuisca alle sue decisioni libere e stabilite fin dall’eternità. Da questo
stato in cui la grazia non può né essere conseguita né perduta deriva un
sentimento di isolamento del singolo individuo destinato a percorrere la vita
terrena verso un destino già stabilito. Nessun predicatore, nessun sacramento,
nessuna Chiesa e nessun Dio aiutano l’uomo, ma egli deve rispettare
quest’ultimi in quanto creati da Dio a sua maggior gloria.
Tantomeno sono utili gli aspetti sentimentali della religiosità
cattolica: il rapporto è esclusivamente tra l’uomo e Dio perciò, ad esempio, si
esortano i fedeli ad astenersi da ogni fiducia nell’aiuto degli uomini e nella
loro amicizia, viene eliminata la confessione privata - e quindi il suo effetto
sentimentale di una colpa scaricata, uno spirito rigenerato e nuovamente
cosciente.
Dunque il lavoro del calvinista è orientato al solo scopo di accrescere
la gloria di Dio, l’opera sociale non si indirizza verso un «amore del
prossimo», ma verso l’ordine naturale delle cose, oggettivo e impersonale.
Un carattere veramente e propriamente utilitario seppur estremamente
individualista e religioso.34
Per un calvinista è inevitabile chiedersi: sono io un eletto? Come
posso io acquistare certezza di questa elezione?
Dovunque si afferma la dottrina della predestinazione, il problema
della ricerca di segni sicuri della propria salvezza non si pone realmente, è
quasi un dovere ritenere se stessi eletti, dubitarne sarebbe cedere ad un assalto
del diavolo. Significherebbe cedere sicurezza di sé, sintomo di una fede
insufficiente ovvero di un’insufficiente azione della grazia.
Il lavoro professionale indefesso allora è caldamente raccomandato
perché considerato il mezzo più eminente per raggiungere quella sicurezza di
sé.35 L’opera buona non è mezzo per la salvezza, né un suo segno sicuro, resta
un mezzo tecnico per liberarsi di un’angoscia profonda nei confronti del
proprio destino. Il calvinista crea e controlla la certezza della sua propria
33 Confessione di Fede Riformata di Westminster, 1647 citato in M. Weber, L’Etica
Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 162 34 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 170 35 Ivi, p. 173
26
beatitudine tramite un autocontrollo sistematico di sé stesso, egli è
perennemente in dubbio: «eletto o dannato?». L’agire etico di questo credente
è la più intensa forma di considerazione religiosa tra quelle considerate da
Weber, la tensione del calvinista conduce a erigere a sistema la santità d’opera
ovvero una razionalità ascetica puramente intramondana.36
Il monachesimo, ascetismo in fuga dalla vita quotidiana, è
sostanzialmente abolito e le forze che prima lo animavano sono ora riversate
all’interno del mondo professionale, dall’aristocrazia spirituale dei monaci si
passa all’aristocrazia spirituale dei santi nel mondo, predestinati da Dio
dall’eternità. Ciò significa che la cristianizzazione abbraccia l’intera esistenza
e ingenera una metodicità della condotta di vita etica nei termini di
autocontrollo e pianificazione dell’esistenza.
La dottrina calvinista è solo una delle varianti puritane, ma la sua forte
coerenza interna ed efficacia psicologica la rendono, per Weber, il movimento
ascetico esemplare per lo studio della genesi dello «spirito» del capitalismo.
Pietismo: Il pensiero della comprova, della certitudo salutis ovvero
della certezza della salvezza è punto di partenza di quest’altra corrente
ascetica, il pietismo. Sviluppatosi dal calvinismo, il pietismo si caratterizza
per una precisa osservazione dei precetti biblici (precisismo), la formazione
di conventicole, il pensiero della «nullità dell’esistenza creaturale» e la
ricerca sentimentale della comprova. È proprio l’aspetto sentimentale che
distingue fortemente calvinismo e pietismo: il sentimento ha la caratteristica
di intensificarsi ed affievolirsi nel tempo creando una religiosità isterica,
talvolta fiacca – e quindi un sentimento di «lontananza» da Dio – e talvolta
estatica. Ciò appare in netto contrasto con l’autocontrollo calvinista, e tuttavia
rappresenta un effetto estremo del sentimento pietista. L’effetto pratico dei
principi pietistici è un controllo ancora più stretto della condotta della vita
nella professione, una visione ancora più religiosa dell’etica professionale.37
I pietisti allargano il campo dell’ascetismo intramondano, essi conducono
un’intera vita metodicamente curata e controllata, non solo il suo aspetto
professionale.
L’intensità della razionalizzazione risulta comunque inferiore rispetto
al calvinismo, questo perché da un lato la preoccupazione sentimentale
indirizza verso il presente immediato il pensiero della comprova. Dall’altro
lato la sicurezza di sé tipica dei calvinisti è sostituita con quel sentimento di
umiltà (o nullità) che non genera lo stesso impulso di sforzarsi a pianificare
36 Ivi, p. 181 37 Ivi, p. 192
27
razionalmente per conoscere la propria beatitudine, qui troviamo la necessità
intima di sentire la conciliazione e la comunione con Dio.38
Praticamente, dice Weber, se dal calvinismo può nascere un
imprenditore capitalista attivo e affine al duro senso giuridico, dalle virtù
coltivate dal pietismo può nascere un impiegato, un operaio, industriali ligi e
professionalmente seri.39
Metodismo: Un’altra corrente ascetica seppur sentimentale, e
altrettanto in contrasto con alcuni principi calvinistici è quella data dal
pietismo anglo-americano che assume da subito il nome di metodismo. Non
stupisce allora che il fine di raggiungere «certitudo salutis» è perseguito
tramite una condotta di vita sistematicamente metodica. Anche qui la
comprova è sentita tramite un’immediata testimonianza dello spirito, ma
giunge solitamente verso la fine dell’esistenza, quando il peccato non ha più
potere sul metodista. L’esistenza metodica deve raggiungere il sentimento
dello stato di grazia, ma il sentimento e la sua ricerca generano un’eccitazione
occasionale che non pregiudica la condotta razionale. Così il metodismo si
avvicina, negli effetti pratici, al calvinismo molto più che al pietismo
germanico.40
Pietismo e Metodismo, per il loro carattere tardivo e per il contenuto
del loro pensiero, sono considerati da Weber secondari e lasciati da parte nella
successiva discussione dell’idea del Beruf, alla quale non hanno contribuito
in maniera innovativa.41
Battismo e sette: esponenti autonomi dell’ascesi protestanti sono il
battismo e le sette che ne sono derivate: battisti in senso stretto, mennoniti e
quaccheri. Queste correnti poggiano su principi eterogenei rispetto alla
dottrina riformata, uno dei fondamentali è quello della chiesa dei credenti. La
chiesa non è più intesa come una fondazione terrena con finalità ultraterrene,
un’istituzione che comprende la totalità dei credenti, per costoro la chiesa è
la comunità di coloro che personalmente credono e sono rinati42, una «setta»
in altre parole, con le sue caratteristiche esclusive nei confronti di Stato e non
appartenenti. E queste sette tendevano a isolarsi dal mondo dei non credenti,
seguendo rigorosamente una vita conforme alla Bibbia e controllata
strettamente secondo il modello degli apostoli. Il carattere metodico di queste
38 Ivi, p. 198 39 Ivi, p. 199 40 Ivi, p. 203 41 Ivi, p. 204 42 Ivi, p. 205
28
sette è finalizzato al superamento degli impulsi e dell’irrazionalità, delle
passioni e della soggettività dinanzi a Dio. La prassi esistenziale sfocia in
condotte sobrie, quiete e coscienziose indirizzate verso l’ascesi laica intesa
come percorso d’attesa verso la chiamata.43
La fedeltà alla professione è intesa dal fedele come una conseguenza
naturale e inevitabile dell’esistenza all’interno del mondo. Gli appartenenti a
queste comunità si astenevano dal ricoprire incarichi statali e dal prestare
giuramenti per incarichi pubblici, la carica ascetica dunque, secondo Max
Weber, si riversa nell’attività lucrativa.44 Se il Beruf nel primo caso pare meno
forte della vocazione calvinista, la vita professionale apolitica ingenera
conseguenze sullo sviluppo di aspetti importanti dello «spirito» capitalistico
che vedremo solo più avanti.
L’analisi delle correnti descritte aiuta a identificare un punto cardine
comune ad ognuna di esse, ovvero la concezione dello «stato di grazia»
religioso. Lo «stato di grazia» è una sorta di status che libera l’uomo dal
pensiero della condanna, il suo possesso non può per i riformati essere
raggiunto da dispositivi magico-sacramentali, da opere pie o dalla
confessione. L’unico mezzo è la comprova, raggiungibile perseguendo una
condotta di vita controllata metodicamente ed ascetica, una prestazione non
eccezionale come nel caso dei monaci, ma indispensabile per chiunque
volesse essere certo – o sentire – la propria salvezza. L’ascesi cristiana viene
sul mercato della vita45 chiudendosi alle spalle la porta del convento e
pervade la vita quotidiana mondana di metodicità e razionalità nel mondo,
ma non per il mondo.
43 Ivi, p. 209 44 Ivi, p. 211 45 Ivi, p. 214
29
2.2 ASCESI E SPIRITO CAPITALISTICO
Si può a questo punto trattare il puritanesimo come un fenomeno
unitario e prenderne come punto più coerente quella corrente inglese del
calvinismo nella quale troviamo un gran numero di scritti teologici nati dalla
prassi della cura delle anime. Tra essi Weber mette in evidenza quelli di
Richard Baxter, presbiteriano e apologeta del sinodo di Westminster, che
attraverso il Christian Directory e L’eterna quiete dei santi ha promosso
ampiamente la vita etico-religiosa. In questi veri e propri compendi di
teologia morale troviamo giudizi fondamentali sulla ricchezza e sulla sua
acquisizione.46
“La ricchezza in quanto tale è un grande pericolo, le sue tentazioni
sono continue, il suo desiderio e la sua ricerca non sono solo assurdi, rispetto
al valore incomparabilmente superiore del Regno di Dio, sono anche
moralmente incresciosi.”47
Ciò che viene severamente condannato sono l’adagiarsi nel possesso
e il godimento della ricchezza che conducono all’ozio e alla cupidigia ovvero
alla deviazione dalla vita «santa». Il possesso è increscioso per il suo implicito
pericolo, ma l’agire è, come abbiamo visto, necessario ad accrescere la gloria
di Dio. Perciò perdere tempo è, tra i peccati, uno dei più gravi. B. Franklin
dirà: «il tempo è denaro», ma ritornando verso un senso più spirituale, ogni
ora persa è un’ora sottratta al lavoro al servizio della gloria di Dio. Il lavoro
è lo scopo stesso della vita prescritto da Dio, dunque l’avversione al lavoro è
sintomo dell’assenza dello stato di grazia.
“Non si lavora solo per vivere, ma si vive per il lavoro, e se non si ha
più da lavorare si soffre o ci si addormenta”48.
Dio non pretende il lavoro in sé, ma il lavoro professionale-razionale
che è pervaso da quel carattere metodico-sistematico dell’ascesi
intramondana. E l’utilità di una professione si valuta sì secondo criteri etici e
utilitaristici, ma soprattutto attraverso il profitto economico privato49 perché
è Dio stesso che indica la strada verso il guadagno, a sua maggior gloria. Il
cristiano ha il dovere di approfittarne, non farlo contrasterebbe lo scopo della
46 Ivi, p. 216 47 Ivi, p. 216 48 Plitt, Zinzerdorfs Theologie, vol. I, p. 428 citato in M. Weber, L’Etica Protestante e lo
Spirito del Capitalismo, 2013 p. 314 nota 219 49 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 221
30
propria chiamata. Voler essere povero avrebbe lo stesso significato di voler
essere malato e peccherebbe oltretutto di pigrizia.
Così l’interpretazione provvidenziale delle opportunità di profitto è la
sublimazione etica dell’uomo d’affari.50
L’ascesi intramondana combatte con forza il godimento del possesso,
indica vie di restringimento del consumo (vestiti, cibarie, leisures), in
particolar modo quello di lusso.
Come una forza “che vuole sempre il bene e crea sempre il male”51
l’ascesi e i suoi limiti interni hanno generato esternamente risultati quali la
formazione di capitali e il loro investimento produttivo, ma ancor più
importante è la tendenza alla condotta di vita borghese, economicamente
razionale. Si battezza l’homo oeconomicus moderno.
E così come l’intera storia degli ordini religiosi conventuali è una
continua storia di lotta col problema dell’azione secolarizzatrice del
possesso52, allora il susseguirsi delle correnti puritane tiene lo stesso
significato: è certo che questi ideali puritani non hanno retto a una troppo
ardua prova, che coloro che si arricchiscono sono anche assai spesso pronti a
rinnegare i vecchi ideali.
“Temo [che] dovunque si è moltiplicata la ricchezza, il contenuto
della religione si è impoverito in uguale misura. […] non abbiamo il diritto
di impedire alle persone di essere diligenti e parsimoniose. Non possiamo
fare a meno di esortare tutti i cristiani a guadagnare quanto possono, e a
risparmiare che cosa possono, ossia a giungere al risultato di arricchire.”53
Spiega Wesley che quei movimenti religiosi hanno dispiegato in virtù
dell’educazione ascetica un’azione economica solamente dopo che l’acme
dell’entusiasmo puramente religioso era già stata oltrepassata.54
Il retaggio lasciato dall’epoca religiosa, una coscienza utilitaristica
dell’attività lucrativa purché condotta in maniera legale è ormai
specificatamente un ethos professionale specificatamente borghese.55
L’imprenditore ora può – o meglio deve – perseguire i suoi interessi lucrativi
purché in maniera legale e senza fare un uso scandaloso dei suoi beni.
Addirittura trova a sua disposizione operai sobri e coscienziosi convinti che
50 Ivi, p. 222 51 Goethe, Faust, citato in M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013
p. 231 52 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 233 53 John Wesley, metodista inglese del XVIII secolo cit. in Leben Wesley di Southey citato in
M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 234 54 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013 p. 234 55 Ivi, p. 235
31
la distribuzione ineguale delle ricchezze sia opera della volontà eterna e
provvidenziale di Dio.
Weber ci dice che il puritano volle essere un professionista, noi lo
dobbiamo essere. Quando l’ascesi passa dalla dimensione conventuale a
quella intramondana, essa contribuisce al fondamento dell’ordine economico
moderno – legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione
meccanica – che oggi determina con una forza coattiva invincibile lo stile di
vita di tutti gli individui che sono nati entro questo grande ingranaggio56.
Per Baxter i santi puritani si preoccupavano dei beni esteriori come di
un «leggero mantello che si potrebbe sempre deporre», ma – aggiunge Weber
– il destino ha voluto che il mantello si trasformasse in una gabbia di
durissimo acciaio57. I beni esteriori hanno acquistato potere sugli uomini, fino
a diventare un potere ineluttabile e lo «spirito» è fuggito dal mantello prima
che si indurisse in gabbia: il capitalismo non ha più alcun bisogno di questo
sostegno spirituale per riprodursi, e si poggia ormai su di una base meccanica.
Weber si chiede quali saranno gli uomini destinati a vivere nella gabbia, se
rinasceranno profezie e ideali o se, veri e propri ultimi uomini58, saranno
pietrificati nella meccanizzazione ed inevitabilmente specialisti senza spirito
ed edonisti senza cuore59 convinti di essere ascesi ad un livello di umanità
mai prima raggiunto.
56 Ivi, p. 239 57 Ivi, p. 240 58 Che cos’è l’amore? Che cos’è la creazione? Che cos’è il desiderio? Che cosa è la stella?
Così chiede l'ultimo uomo e ammicca. […] Noi abbiamo inventato la felicità, dicono gli
ultimi uomini, e ammiccano. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton Compton 2014,
p. 49 59 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo, 2013, p. 241
33
1
L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO,
UN’ANALISI METODOLOGICA.
L’Etica protestante e lo Spirito del Capitalismo di Max Weber è
ancora oggi riconosciuto come uno dei pochi veri classici della sociologia. La
sua analisi riguardo alla nascita di uno «spirito» del capitalismo ha
immediatamente dato vita ad un dibattito che è vivo ancora oggi.
Comunque l’opera offre più di un’analisi dell’origine dell’ethos
economico moderno e più di uno studio dei modi in cui le idee hanno
influenzato lo sviluppo del capitalismo moderno occidentale. Questo classico
deve essere compreso anche in termini dei suoi contributi teoretici alla
sociologia. Al suo interno troviamo infatti uno studio delle relazioni tra
storiografia e sociologia, del cambio sociale e tradizionale, degli interessi
economici e delle forze culturali, del capitalismo e dei valori, di livelli macro
e micro di analisi, dell’azione individuale e dei gruppi sociali.
Innanzitutto L’Etica protestante non si concentra sulla società come
un organismo unitario e nemmeno su di una particolare società che innalza il
capitalismo. Nell’attenzione di Weber vi è piuttosto un particolare dominio
sociale o sfera di vita (Lebensphäre) – quello religioso – e gli sviluppi che
prendono piede nel suo ambito. L’epicentro è il modo in cui alcune specifiche
dottrine religiose influenzano l’azione, in particolar modo l’azione orientata
economicamente. Si contesta l’idea per cui lo sviluppo dei caratteri
fondamentali del capitalismo – il razionalismo economico – può essere
spiegato riferendosi alla generale evoluzione del razionalismo nelle società
occidentali. Per Weber la razionalizzazione avviene in diversi ambiti sociali
in maniera non parallela: nella religione, nella legge, negli stili di leadership,
in economia, nelle organizzazioni.60 La ricerca nel dominio religioso di Max
Weber enfatizza il ruolo dei vettori sociali (soziale Träger) centrali perché
caricati di interessi, valori e tradizioni che orientano l’azione individuale. Di
rilievo sono le Chiese e le sette protestanti in cui l’azione individuale
acquisisce significato sociale.
Alcuni vettori sociali sono più potenti di altri, certi affievoliscono
velocemente per poi riemergere, alcuni sopravvivono a lungo nella storia. Il
calvinismo, portatore dell’etica protestante negli Stati Uniti, mostra come
l’azione sociale cambia il suo gruppo vettoriale e, così facendo, sopravvive in
60 Kalberg, S. (1996). On the Neglect of Weber's Protestant Ethic as a Theoretical Treatise:
Demarcating the Parameters of Postwar American Sociological Theory. Sociological
Theory, 14(1), 49-70.
34
un’epoca seguente influenzandola sostantivamente. Weber infatti dimostra
come le radici etico-religiose prima di affievolirsi o scomparire migrano dai
vettori originari – le Chiese e le sette protestanti – verso diverse
organizzazioni: le famiglie protestanti. I valori dunque rimango centrali dal
punto di vista socializzativo, diventando valori famigliari borghesi: mobilità
sociale, risultati individuali, fiducia in se stessi, abitudini ascetiche, lavoro
metodico, competizione. Nonostante questi abbiano perso le loro esplicite
radici religiose, si ancorano nella famiglia e qui vengono insegnati. Così
l’etica protestante rimane ancora attiva nella storia occidentale: forme
plurime di individualismo autonomo, sfiducia in uno Stato forte, sostegno
ambivalente del capitalismo, donazioni caritatevoli, fiducia nella capacità
individuale di dare forma al proprio destino, mobilità sociale.61
Il nucleo de L’Etica protestante richiama l’attenzione sopra la
centralità degli interventi dei fattori culturali nelle strutture sociali.
L’obiettivo non è spiegare le origini del capitalismo moderno o del
capitalismo in generale. Il progetto, più modesto, è quello di una
consapevolezza dello «spirito» del capitalismo o di una etica economica
moderna, di indagare l’ascendenza di questo «spirito». Quest’obiettivo si
opponeva agli evoluzionisti contemporanei a Weber che vedevano il
capitalismo come un’inevitabile esito del progresso generale della società in
corso. Si opponeva anche a quegli economisti e storici che spiegavano il
capitalismo moderno semplicemente come una conseguenza della crescita
degli scambi economici, del mercantilismo, dello sviluppo delle banche, delle
leggi commerciali e di nuove tecnologie. Per Max Weber le origini del
capitalismo moderno possono essere comprese maggiormente solo
riferendosi al nuovo ethos e alla nuova condotta di vita, ossia una nuova
disposizione di valori. L’idea del dovere dell’individuo nei confronti
dell’accrescimento del suo capitale che diviene esso stesso un fine è indice
della nuova etica economica. Negli scritti di Franklin62 infatti Weber ritrova
l’idea per cui il mancato perseguimento del profitto non viene inteso come
una stupidità, ma come una vera e propria irresponsabilità nei confronti del
dovere. Quest’ethos possiede chiaramente radici ineconomiche e apolitiche,
bensì religiose. L’Etica protestante ha indicato che queste radici non si
ritrovano né in classi economiche né in strutture sociali, società o processi
evoluzionistici di sviluppo, ma solo in credenze religiose di alcuni gruppi di
individui: le Chiese e le sette protestanti. Questo studio ha ricostruito le ansie,
le credenze e i valori dei protestanti intesi in maniera idealtipica, di modo che
61 Kalberg, S. (1996). On the Neglect of Weber's Protestant Ethic as a Theoretical Treatise:
Demarcating the Parameters of Postwar American Sociological Theory. Sociological
Theory, 14(1), 49-70. 62 B. Franklin, Necessary hints to those that would be rich, 1736
35
la pregnanza di significato del lavoro intenso e metodico appaia
comprensibile e plausibile, nonostante l’irrazionalità di fondo.
Weber ha offerto ne L’Etica protestante un’analisi delle origini dello
«spirito» del capitalismo che si basa su differenti tipi di azione sociale.63
Oltretutto le sue argomentazioni non possono essere comprese senza la
cognizione del fatto che i differenti tipi di azione sociale possiedono differenti
intensità: L’Etica protestante infatti si oppone metodologicamente al primato
dell’azione razionale diretta allo scopo. Per Max Weber la maggioranza
dell’agire sociale è irrazionale. Per meglio dire, l’azione sociale procede in
uno stato di inarticolata semi-coscienziosità o vera e propria incoscienza del
proprio significato soggettivo e perlopiù è governata da impulsi o abitudini.
Pertanto l’azione razionale serve come dispositivo euristico per
concettualizzare certi tipi di azione sociale rispetto ad altri. I tipi di azione
sociale di Weber corrispondono ad idealtipi più che a realtà empiriche. Questa
concettualizzazione permette di approfondire la dissuetudine di alcuni tipi di
azione razionale, come l’agire metodico dei protestanti. Weber dunque si
oppone a qualsiasi spiegazione basata sulla proliferazione dell’agire razionale
orientato allo scopo: il profitto che diventa un fine, il lavoro come fine, il
distacco nei confronti dei piaceri mondani, la visione secondo cui il guadagno
è risultato di virtù e abilità sotto la stella della vocazione sono per lui il segno
di questa controversia. Il superamento dell’etica economica tradizionale
richiese un tipo di agire qualitativamente differente, più sistematico e intenso
rispetto a quello orientato al fine economico. Dopotutto, il desiderio e la
ricerca della ricchezza, dello scambio e del commercio appaiono
universalmente. Al contrario il razionalismo economico si è presentato
esclusivamente in una civiltà e in un’epoca. L’indispensabile orientamento al
lavoro metodico poteva essere provvista solo da un agire orientato dai valori,
solo questo ha dimostrato di essere capace di sradicare l’etica economica
tradizionale.
L’azione razionale rispetto ai valori è rappresentata, per Weber, dalla
confessione calvinista di Westminster del 1647 e dai sermoni del puritano
Richard Baxter. La professione di Baxter è l’idealtipo dell’etica protestante.
Baxter riconosce che il devoto non può conoscere il giudizio di Dio a causa
della incommensurabile distanza del terreno dal cielo. Comunque il mondo
esiste in quanto gloria di Dio e la sua volontà è indubbiamente che il suo
Regno sia ricco e prospero. La vocazione alla professione si espleta in
servizio di Dio, pertanto lavoratori e imprenditori potevano vedersi come
strumenti del piano divino. Oltretutto l’indefessa attività lavorativa
63 Kalberg, S. (1996). On the Neglect of Weber's Protestant Ethic as a Theoretical Treatise:
Demarcating the Parameters of Postwar American Sociological Theory. Sociological
Theory, 14(1), 49-70.
36
controbilancia il dubbio e l’ansia della dottrina della predestinazione
instillando quella fiducia in sé stessi necessaria a considerare se stessi parte
degli eletti. In questo modo il lavoro sistematico e l’ordine razionale e
sistematico dell’intera vita morale vengo consacrati. La certezza psicologica
della salvezza rimane l’argomento principale, perciò l’insieme dei valori
orientati al lavoro fino ad allora sdegnati diventano centrali nelle vite dei
devoti giungendo ad una condotta di vita metodica e razionale. I valori
religiosi permettono la sistematizzazione della vita etica e la deliberata
regolazione della propria vita a favore del lavoro.
L’etica protestante è sorta in questo modo e si è diffusa dalle Chiese e
dalle sette protestanti – soprattutto calviniste – nel New England, in Olanda e
nelle comunità britanniche durante il XVI e il XVII secolo. Prima di giungere
nell’America di Benjamin Franklin l’etica protestante si era già estesa oltre le
Chiese e le sette in intere comunità. In questo processo le componenti
specificatamente religiose si indebolirono e trasformarono in un ethos
borghese e utilitario: lo «spirito» del Capitalismo. Piuttosto che individuati
come parte dei predestinati, i seguaci di quest’ethos, come Franklin, erano
visti come giusti e rispettabili cittadini orientati verso la comunità e dal retto
carattere morale.
L’Etica protestante e lo Spirito del Capitalismo implica un’analisi
causale fondata su diversi tipi di agire. Una volta che lo «spirito» del
capitalismo ha assistito lo sviluppo del capitalismo moderno, e che questa
forma economica si è radicata nell’industrialismo, il capitalismo giunge ad
autosostenersi solo sulle basi dell’agire razionale orientato allo scopo. In
questa cornice di riferimento urbana e burocratica né la filosofia dell’avarizia
di Franklin né l’etica protestante di Baxter dotano il lavoro metodico di
significato sostantivo. A questo punto l’individuo è sopraffatto da
un’inestricabile rete di necessità pratiche; coloro che sono nati nella gabbia
d’acciaio sono semplicemente costretti ad adattarsi alle regole capitalistiche
dell’agire, al fine di sopravvivere. Nella gabbia della meccanizzazione
pietrificata e della razionalità formale, la motivazione al lavoro è razionale
rispetto allo scopo e l’idea della vocazione si aggira furtivamente come un
retaggio antico di valori religiosi. Per Weber infatti i puritani volevano
lavorare sotto la vocazione, noi siamo obbligati a farlo.
37
L’Etica protestante e lo Spirito del Capitalismo: Fasi dell’analisi weberiana.
Fasi
Periodo
storico
Organizzazione
Tipo di
azione
Devozione
1. Calvino e la
dottrina della
predestinazione
XV e
XVI
secolo
Piccole sette
Razionale
rispetto ai
valori
Si
2. Baxter:
L’etica
protestante
XVI e
XVII
secolo
Chiese e sette
Razionale
rispetto ai
valori
(attività
intramondana
metodica)
Si
Affinità
elettiva
3. Franklin: Lo
«spirito» del
Capitalismo
XVIII
secolo
Comunità
Razionale
rispetto ai
valori (ethos
utilitario)
No
4. Lo
“specialista”:
la gabbia
d’acciaio.
XX
secolo
Società
industriale
Razionale
rispetto allo
scopo
No
Schema elaborato da G. Bordon.
38
Dunque l’analisi di Weber richiede il riconoscimento della differenza
di intensità dei tipi di azione sociale: l’estrema forza dell’azione tradizionale
che sostenne l’etica economica tradizionale, l’incapacità della pura azione
razionale orientata allo scopo di superare quest’etica e la capacità dell’etica
protestante di riuscirci essendo orientata dai valori religiosi che si svolgono
nella vita metodica. In questo modo Weber dimostra l’inadeguatezza di
qualsiasi teoria dell’azione radicata nella sola azione razionale rispetto allo
scopo per comprendere l’origine dello «spirito» del capitalismo nell’Europa
occidentale e in nord America.
39
2
CALVINISMO E CAPITALISMO: LA TESI DI MAX WEBER.
Negli anni 1904-05 apparve nella sua prima versione pubblica L’Etica
protestante e lo Spirito del Capitalismo. La tesi presentata in questo lavoro
divenne successivamente, e lo rimane, ampiamente dibattuta nelle scienze
storico-sociali. La proliferazione dei commenti cresciuti attorno all’opera ha
contribuito maggiormente a confonderne la tesi piuttosto che a chiarirne il
senso. Il tentativo di tradurre la tesi weberiana è dunque condotto con il
supporto di materiale accademico64, al fine di evitare interpretazioni
personali.
L’Etica protestante era intesa originariamente come prima di una serie
di studi comparativi. Weber era convinto che ciò fosse il metodo che portava
il laboratorio scientifico nel campo delle scienze sociali.
“Il metodo comparativo come usato da Weber, è il diretto equivalente
metodologico della sperimentazione delle scienze da laboratorio. Solo
studiando casi simili in alcuni aspetti, ma differenti in altri sarebbe possibile
giungere ad un giudizio sull’influenza causale di qualsiasi fattore.”65
Weber aveva precedentemente notato l’alta frequenza dei protestanti
tra la borghesia europea, anche in nazioni non tradizionalmente protestanti.
Da qui muove l’idea di una particolare significanza dell’etica protestante nella
civiltà occidentale. L’ipotesi di Weber è che quest’etica, idealmente
rappresentata dal calvinismo e le sette protestanti, era il fattore presente in
Europa, ma assente altrove, che poteva almeno parzialmente spiegare la
ragione dello sviluppo del capitalismo moderno. Gli studi comparativi
servivano dunque per permettergli di valutare completamente la sua ipotesi.
Il progetto non si concluse, ma il sociologo tedesco riuscì comunque
a raccogliere ingenti informazioni sulla Cina confuciana e l’induismo
Indiano. Condizioni sufficienti allo sviluppo del capitalismo – in senso
puramente economico – erano adeguatamente presenti in Asia, ma lo sviluppo
singolare del capitalismo ebbe successo solo in Europa. Weber suggerì allora
che un fattore assente in Asia fosse una religione propensa allo sviluppo
capitalistico. Egli comunque si rendeva conto da subito che proporre la
religione come unica variabile indipendente non era sufficiente, sulla base dei
suoi precedenti studi comparativi sul ruolo delle città nella modernità.66
L’approccio di Weber appare sensibile e sofisticata e la sua intenzione chiara,
64 Forcese, D.P. (1968). Calvinism, Capitalism and Confusion: The Weberian Thesis
Revisited. Sociological Analysis, 29(4), 193-201. 65 Parsons, T. (1948). Max Weber’s Sociological Analysis of Capitalism and Modern
Institutions in An Introduction to the History of Sociology. Chicago. Traduzione di Bordon
G. 66 Rex, J. (1964). Max Weber. New Society, 4, 24.
40
ma le critiche ingenerate hanno puntato generalmente il dito contro il presunto
primato di causalità del puritanesimo.67 Altre critiche, secondo Forcese
(1968) più percettive, hanno asserito che Weber ha tentato di dimostrare la
condizione di necessità dell’etica protestante allo sviluppo del capitalismo, ed
è questa, ad esempio, l’interpretazione di Talcott Parsons.68
Per identificare la tesi di Max Weber è innanzitutto chiarire cosa egli
intendesse per «spirito» del capitalismo. Questo «spirito» è un ethos
caratterizzato dall’ideale dell’uomo onesto riconoscibile di credito e dall’idea
del dovere nei confronti dell’accrescimento del capitale inteso come un fine
esso stesso. Quest’etica del lavoro dell’imprenditoria organizzati
razionalmente si distinguono dal precedente «spirito» tradizionale in
un’epoca precisa in cui Weber restringe il suo campo d’analisi. Quest’ethos e
l’adeguata forma capitalistica sono in qualche modo attribuibili all’etica
protestante la quale, una volta istituzionalizzata, ha assorbito l’etica religiosa.
Chiaramente l’etica religiosa trova le sue origini nel periodo della Riforma,
ma Weber riconosce che le religioni riformate inizialmente non favorirono il
capitalismo e addirittura lo avversarono. L’epicentro sarebbe allora la
funzione latente e finale del protestantesimo. Il cuore dell’etica protestante
risiede nel calvinismo e nelle sette puritane, il primo in particolare attraeva la
classe borghese e urbana. I calvinisti infatti si approcciavano alla vita
economica come uomini d’affari, indisposti ad idealizzare le virtù patriarcali
della comunità contadina o a vedere con sospetto l’imprenditoria
commerciale e finanziaria.69 Pertanto Weber si concentra sui caratteri del
calvinismo: la vocazione e il senso del dovere al lavoro provenienti dal senso
spirituale, la predestinazione e i suoi effetti intimamente psicologici di ansia,
la severità nei confronti delle frivolezze e la frugalità quotidiana. Tutto questo
scatena l’impresa economica e l’accumulazione capitalistica necessaria al
reinvestimento produttivo e fa emergere in sostanza lo «spirito» del
capitalismo.
Le critiche a questa tesi che cercano di evidenziare altri fattori operanti
nello sviluppo capitalistico mancano il bersaglio: è irrilevante pretendere che
altre variabili propulsarono il cambio verso l’ordine capitalistico in quanto
Weber stesso era cosciente della limitatezza dell’indagine. Ciò che andrebbe
questionato in questa tesi è la misura in cui può essere detto che l’etica
protestante abbia giocato il suo ruolo. I critici potrebbero chiedersi quanto
forte è stata l’influenza calvinista e puritana.
Per Max Weber questo ruolo è considerevole, l’etica protestante era attraente
per l’emergente borghesia, provvedendo a rinforzare e giustificare incentivi e
67 Forcese, D.P. (1968). Calvinism, Capitalism and Confusion: The Weberian Thesis
Revisited. Sociological Analysis, 29(4), 193-201. 68 Parsons, T. (1948). Max Weber’s Sociological Analysis of Capitalism and Modern
Institutions in An Introduction to the History of Sociology. Chicago. 69 Tawnet, R.H. (1961). Religion and the Rise of Capitalism. New York: New American
Library, p.92.
41
attività fino ad allora respinti. L’etica protestante è stata particolarmente
importante in nord America dove ha trovato un’affinità con un ambito
pionieristico del capitalismo.
L’uso dei concetti di causazione adeguata e retroazione suona pertanto
valido: piuttosto che semplificare la complessità di una situazione di cambio
sociale, la tesi di Max Weber illustra che la causa e l’effetto non possono
essere separate nettamente in una sequenza causale diretta.
42
3
UN TEST EMPIRICO QUANTITATIVO DEL FATTORE
RELIGIOSO NELLO SVILUPPO DEL CAPITALISMO.
Avendo chiarito il carattere multicausale e retroattivo della relazione
che intercorre tra capitalismo e puritanesimo si può procedere ad un test
empirico di tipo quantitativo dell’affinità elettiva tra variabile religiosa e
variabili economiche. La ricerca è offerta dagli studi di Delacroix e Nielsen
del 2001 intitolati L’amato mito. 70 Qui, attraverso l’analisi grafica e di
relazioni bivariate, si cercherà di trovare prove empiriche della tesi di Max
Weber.
La ricerca di Delacroix e Nielsen investiga le differenze nazionali nei
tempi dello sviluppo del capitalismo industriale dell’Europa occidentale,
dove l’industrializzazione dapprima si originò e diffuse. Sono relazionate la
composizione religiosa (la percentuale di protestanti) di numerosi Paesi
europei con un alcuni indicatori di sviluppo del capitalismo industriale.
Questo per valutare la proposizione secondo cui Paesi con una larga
maggioranza protestante si industrializzarono prima di Paesi largamente
non-protestanti. Il protestantesimo dunque dovrebbe associarsi positivamente
agli indicatori di sviluppo capitalistico.
Il capitalismo industriale non comparve ovviamente tutto in una volta
ma si sviluppò lungo un arco temporale. Il protestantesimo deve pertanto
precedere o perlomeno affiancare quest’effetto. Così è necessario conoscere
la composizione religiosa nazionale nel corso di questo periodo per stimare
l’effettivo impatto della modalità religiosa protestante. Tuttavia lo sviluppo
capitalistico in Europa ha seguito tempi diversi per ogni nazione e soprattutto
non si possiedono dati affidabili della distribuzione religiosa fino al XIX
secolo. Il problema comunque è più apparente che reale perché con i trattati
di Westphalia e Nantes del 1648 e 1685 le migrazioni religiosi in Europa si
arrestarono a causa della maggior tolleranza e di confini nazionali più protetti.
Pertanto si possono usare i dati del XIX secolo per rappresentare la
distribuzione delle fedi religiose in Europa in un tempo precedente gli inizi
dell’industrializzazione.
70 Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth: Protestantism and the Rise of
Industrial Capitalism in Nineteenth-Century Europe. Social Forces, 80(2), 509-553.
43
FIGURA 1: Percentuale di protestanti in Paesi europei prevalentemente
protestanti e/o cattolici alla fine del XVII secolo.
Fonte: Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth:
Protestantism and the Rise of Industrial Capitalism in Nineteenth-Century
Europe. Social Forces, 80(2), 523.
Le unità d’analisi sono quei paesi – Austria, Belgio, Danimarca,
Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Norvegia,
Olanda, Portogallo Spagna, Svezia e Svizzera – la cui popolazione era
prevalentemente protestante e/o cattolica al momento del principio dello
sviluppo capitalistico e che fanno parte della prima ondata
d’industrializzazione. Le variabili dipendenti, come già accennato, sono
quegli indicatori di sviluppo del capitalismo industriale in quanto episodio
storico centrale dell’analisi weberiana. L’ipotesi è che la proporzione di
protestanti in un paese sia associata alla Ricchezza e Risparmi,
l’Istituzionalizzazione dei mercati finanziari, lo Sviluppo delle Ferrovie, la
Distribuzione settoriale della Forza Lavoro e la Mortalità Infantile.
46
TABELLA 3: Associazione tra la percentuale di protestanti e gli indici dello
sviluppo capitalistico.
Fonte: Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth:
Protestantism and the Rise of Industrial Capitalism in Nineteenth-Century
Europe.
Social Forces, 80(2), 530.
L’osservazione delle relazioni bivariate tra la percentuale di
protestanti in Paesi europei prevalentemente protestanti e/o cattolici alla fine
del XVII secolo e le varie dimensioni dello sviluppo industriale capitalista è
47
condotta attraverso l’uso del coefficiente di correlazione di Pearson71 e del
Coefficiente di correlazione per ranghi di Spearman.72 Siccome l’ipotesi
principale tratta l’influenza della variabile religiosa su quelle economica (con
la consapevolezza di stare riducendo la visione weberiana) sono stati usati
test unilaterali della correlazione che favoriscono l’ipotesi.
La relazione ipotizzata non è risultata sufficientemente forte nel caso
della ricchezza pro-capite, della data di fondazione dei mercati finanziari,
dell’estensione della rete ferroviaria nel 1870, della forza-lavoro maschile
agricola, della forza-lavoro industriale e della mortalità infantile del 1850.
Una relazione significativa emerge invece qualora si correli il
protestantesimo con i risparmi bancari pro-capite e i depositi bancari totali
pro-capite, sostenendo l’idea di una maggiore parsimonia dei protestanti. Ciò
dà credito ai caratteri comportamentali tratteggiati da Weber – la parsimonia
in questo caso – ma non giunge a relazionare il comportamento frugale con
una maggiore ricchezza generale.
Il protestantesimo giunto al XX secolo è fortemente associato a bassi
tassi di mortalità infantile, ma quest’indice è poco significativo intorno al
1850, pertanto da esso non si può estrarre una conclusione utile.
Infine, un forte indicatore di sviluppo industriale, l’estensione della
rete ferroviaria, è addirittura correlato negativamente alla presenza di una
forte comunità protestante in una data Nazione.
Complessivamente i risultati ottenuti tendono a dare poco credito al
lavoro di Max Weber non costituendo affatto una prova in suo favore.
Possedendo dati simili un osservatore ingenuo – o all’oscuro del prestigio de
L’Etica protestante e lo Spirito del Capitalismo e della tradizione sociologica
seguente – difficilmente sosterrebbe una speciale affinità tra il
protestantesimo e il capitalismo industriale.
Data la possibile messa in discussione di una certa quantità dei dati
rinvenuti da Delacroix e Nielsen, essi stessi rimandano al dibattito il proprio
lavoro, assumendo che comunque non esistono altri tentativi precedenti di
test empirici della tesi weberiana. Pertanto in attesa di ricerche in grado di
oltrepassare i gravi limiti del loro lavoro e di contraddirli, Delacroix e Nielsen
ribadiscono quanto un testo affascinante come L’Etica protestante e lo Spirito
del Capitalismo rimanga oggi un’allettante ipotesi e soprattutto un mito
adorato.73
71 In cui si assume che le variabili siano linearmente dipendenti. 72 Che non necessita di ipotesi a priori sulle caratteristiche della popolazione. 73 Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth: Protestantism and the Rise of
Industrial Capitalism in Nineteenth-Century Europe. Social Forces, 80(2), 509-553.
48
FIGURA 4: Indici di Ricchezza e Risparmio.
Fonte: Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth:
Protestantism and the Rise of Industrial Capitalism in Nineteenth-Century
Europe.
Social Forces, 80(2), 532.
49
FIGURE 5 e 6: Periodo di istituzionalizzazione dei principali mercati
azionari e estensione della rete ferroviaria rispetto al massimo odierno.
Fonte: Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth:
Protestantism and the Rise of Industrial Capitalism in Nineteenth-Century
Europe.
Social Forces, 80(2), 534-536.
50
FIGURA 7: Percentuale della forza lavoro maschile agricola e industriale,
circa 1870.
Fonte: Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth:
Protestantism and the Rise of Industrial Capitalism in Nineteenth-Century
Europe.
Social Forces, 80(2), 537.
51
FIGURA 8: Mortalità infantile nel 1850, 1900 e 1955.
Fonte: Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth:
Protestantism and the Rise of Industrial Capitalism in Nineteenth-Century
Europe.
Social Forces, 80(2), 539.
53
In questo lavoro l’obiettivo principale era presentare il rapporto tra
L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo e il lavoro metodologico di
Max Weber. Secondariamente si è cercato di studiare l’opera senza ridurne il
contenuto, ma cercando di estrapolarne la tesi essenziale. Nell’ultima fase di
ricerca si è ritornati ad una interpretazione comune della tesi weberiana per
discuterne un test empirico quantitativo condotto di recente.
Il punto iniziale è stata la ricerca dei fondamenti del dibattito
metodologico in seno alle scienze sociali che si è tenuto nella Germania della
fine del XIX secolo. La controversia sul metodo, cominciata in ambito
economico, ha rapidamente coinvolto le discipline affini e Max Weber, in
forza della sua posizione in ambito accademico, ha contribuito per sua parte
alla discussione. Nei primi anni del XX secolo, attraverso un nutrito numero
di articoli accademici, Weber ha esposto la sua posizione nei confronti di
Menger, Dilthey, Windelband e Rickert, i principali esponenti del dibattito.
Per procedere attraverso questo primo punto è stato essenziale
rivolgersi alle pubblicazioni scientifiche che sin dall’edizione statunitense
curata da Talcott Parsons dell’Etica Protestante sono apparse sulle riviste
specializzate nelle scienze sociali. Indispensabile per il chiarimento della
posizione di Max Weber nella Methodenstreit è stata la lettura dei contributi
critici di Pietro Rossi74, curatore di gran parte del lavoro di Weber in Italia e
profondo conoscitore dello storicismo tedesco. Assieme al contributo di Rossi
sono stati di chiarimento i numerosi articoli a proposito delle influenze e dei
fondamenti del metodo storico di Max Weber.
Contemporaneamente alla ricerca metodologica, Max Weber trovava
necessaria una ricerca pratica, sia come esperimento della metodologia che
come fonte continua di nuove problematiche. È proprio dello stesso periodo
il celebre saggio sull’affinità tra l’etica protestante e spirito del capitalismo.
Per questo l’opera è stata studiata dettagliatamente nei suoi contenuti e nel
suo metodo. Per rintracciarne la tesi, oltre alla lettura e descrizione puntuale
del saggio, si è fatto ricorso a pubblicazioni critiche che cercassero di ripulirla
da decenni di interpretazioni e critiche.75
L’ultima parte del lavoro ha considerato un recente lavoro di ricerca76
che ha tentato di verificare la tesi di Max Weber tramite l’uso di indicatori
statistici. La distribuzione religiosa nel XVII secolo è stata messa in relazione
con alcuni indicatori di sviluppo industriale. I risultati emersi non hanno
sostenuto l’ipotesi di una relazione lineare tra etica protestante e sviluppo
dello capitalismo. Tuttavia lo studio ha dimostrato valide alcune ipotesi sul
74 Rossi, P. (1957). Max Weber e la Metodologia delle Scienze Storico-Sociali. Giornale
degli Economisti e Annali di Economia, 16(1/2), 2-31. 75 Forcese, D.P. (1968). Calvinism, Capitalism and Confusion: The Weberian Thesis
Revisited. Sociological Analysis, 29(4), 193-201. 76 Delacroix, J., & Nielsen, F. (2001). The Beloved Myth: Protestantism and the Rise of
Industrial Capitalism in Nineteenth-Century Europe. Social Forces, 80(2), 509-553.
54
carattere frugale dei protestanti e soprattutto il fascino che l’opera di Weber
ha emanato sulle successive generazioni di studiosi.
Pertanto ciò che questa tesi ha voluto considerare è stato il contributo
di Max Weber alla sociologia sotto tre aspetti: quello metodologico di una
posizione all’interno della Methodenstreit; quello pratico della ricerca
dell’Etica Protestante; e quello seduttivo di un’opera e di un metodo che, se
non hanno fatto scuola alla maniera marxista, hanno generato un dibattito che
ancora oggi – soprattutto negli studi culturali dal 1989 in poi – è fecondo e
che ha posizionato Max Weber e il suo lavoro nel pantheon della sociologia.
Nello svolgimento contemporaneo di tre momenti così essenziali si
pretende di ricercare l’originalità richiesta da un lavoro di tesi.
Questa pretesa deve considerare anche alcune mancanze. Per primo è
stato necessario limitare lo spazio destinato all’analisi della controversia sul
metodo. Questo è stato fatto con la consapevolezza di ridurre il dibattito ai
suoi principali rintocchi, senza approfondirli nelle loro origini filosofiche, ma
cercando di restituirli al lettore nella loro costruzione, con Weber, idealtipica.
Non è stato pertanto possibile rendere efficacemente la portata della
Methodenstreit, che ai suoi tempi ha pervaso ogni spazio delle scienze sociali.
Dopodiché è necessario considerare che il limite maggiore del lavoro
di Delacroix e Nielsen sul test empirico dell’Etica Protestante è quello di
considerare indipendente la variabile religiosa. Questo è dovuto all’utilizzo
di una interpretazione comune della tesi dell’Etica Protestante, che
necessariamente mette da parte la complessità del concetto di causazione
usato da Max Weber.
Ciononostante, con questa tesi si è riusciti a tracciare un percorso che
riallaccia saldamente la questione del metodo con quella della ricerca
concreta. La costruzione della metodologia è un risultato che Weber ha
ricercato giorno per giorno nella pratica dei suoi studi, sottolineando come la
discussione puramente epistemologica non possa condurre a contributi
decisivi nel campo di una teoria sostantiva.77
77 Oakes, G. (1977). The Verstehen Thesis and the Foundations of Max Weber's
Methodology. History and Theory, 16(1), 11-29.
56
Bibliografia redatta secondo le norme American Psychological Association.
Libri consultati.
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to Come; Delivered under the Similitude of a Dream. London. Tr. It. Il
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Eco, U. (1977). Come si scrive una tesi di laurea. Le materie umanistiche
(XII ed.). Milano: Bompiani.
Goethe J.W. (1831). Faust. Tübingen. Ed. It. a cura di Manacorda G. (2007
III ed.). Milano: BUR.
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57
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