l'epistemologia dell'approccio empirico. la metodologia esperienziale - paolo ufimaro
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Tesi F.A.I.P. di Paolo UFIMARO.TRANSCRIPT
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Libera Università
di Studi Psicologici Empirici
L’Epistemologia dell’Approccio Empirico
La metodologia esperienziale
Giugno 2010
Tesi per l’esame F.A.I.P.
di Paolo Ufimaro
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Sommario
1.0 – Un Comune Sentire ................................................................................... 4
1.1 - Introduzione ............................................................................................ 4
1.2 - Il Paradigma: Definizione ........................................................................ 5
1.3 – I Paradigmi Attuali .................................................................................. 6
1.4 – La Crisi Della Scienza Dell’uomo ........................................................... 8
1.5 – Qualcos’altro Sotto Il Cielo ................................................................... 13
1.6 – La Risposta Alla Crisi ........................................................................... 14
1.7 – Le Metodologie Esperienziali Da Vicino ............................................... 17
1.8 – L’esperienza In Psicologia Clinica ........................................................ 20
2.0 La Metodologia Esperienziale .................................................................... 24
2.1 - Definizione Di Termini. .......................................................................... 24
2.2 - Il Paradigma Esperienziale ................................................................... 25
2.3 – La Definizione Di Conoscenza ............................................................. 27
2.4 - L'oggetto Di Conoscenza ...................................................................... 29
2.5 - Come Si Genera Conoscenza .............................................................. 34
2.6 - I Metodi Della Conoscenza ................................................................... 37
2.7 - La Teoria Esperienziale ........................................................................ 40
2.8 - Come Si Dibatte E Si Trasmette La Conoscenza ................................. 42
2.9 - Chi È La Figura Di Riferimento? ........................................................... 44
2.10 - Gli Strumenti Della Metodologia Esperienziale ................................... 47
2.11 - Conclusioni ......................................................................................... 52
3.0 - L'approccio Empirico Del Prof. Michel Hardy ........................................... 54
3.1 - Introduzione .......................................................................................... 54
3.2 - Un Approccio Eclettico. I Contributi Delle Discipline Esperienziali ........ 59
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3.3 - Teoria Del Seminario E Teoria Nel Seminario. L'energia Del Gruppo ... 67
3.4 - Strategie E Metastrategie Nei Seminari ................................................ 72
3.5 - Lo Stato Di Eccellenza: Quel Legame Col Mondo Fenomenico ........... 80
3.6 - Le Relazioni: Dinamiche Di Coppia, Dinamiche E Relazioni E Tantra:
Osservare, Integrare, Osare ......................................................................... 87
3.7 - Un Approccio Integrato ......................................................................... 92
3.8 - Le Energie Come Fatto Esperienziale: Esperire Il Sistema .................. 96
3.9 - La Natura Esperienziale Del Debito Empirico: Il Sentire E Il Non Sentire
.................................................................................................................... 103
3.10 - L'analisi Empirica: Tornare A Sentire ................................................ 108
3.11 - Lo Stato Dell'arte Delle Teorie Esperienziali: Il Valore E Il Messaggio
Dell'approccio Empirico ............................................................................... 112
Bibliografia...................................................................................................... 120
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1.0 – UN COMUNE SENTIRE
1.1 - INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si assiste sempre di più al nascere e al diffondersi di seminari
esperienziali, metodiche esperienziali e approcci al cambiamento e alla terapia che
fanno del corpo lo strumento per accedere alla psiche.
Caratteristica in comune di ognuna di queste metodiche è l'esperienza in prima
persona. Si è assistito quindi al nascere della Biodanza, dell'Arte Terapia, del Pensiero
Positivo, dei metodi di manipolazione energetica (qualunque cosa significhi
“energetica” nei suoi contesti). A fianco a questi metodi si sono riscoperti metodi antichi
e sono “risorte” le meditazioni e le visualizzazioni, mentre lo Zen, il Buddismo i chakra
e anche lo Sciamanesimo hanno visto un nuovo fiorire e diffondersi.
A livello sociale tutto questo è stato letto come la crisi dei valori positivisti del progresso
infinito e anche come la crisi del consumismo e del benessere materialista. Dall'altro
lato il rivolgersi a metodi e filosofie antiche segna anche la crisi della Religione come
riferimento al benessere “dell'anima”.
La ricerca sociale evidenzia un'insoddisfazione verso le istituzioni e i modelli culturali.
Si assiste a una sorta di rifiuto verso la Scienza, verso la Religione dominante e al
nascere e al cercare risposte in metodi meno ortodossi.
Tutte queste discipline affini alla Psicologia perchè hanno come oggetto di indagine
l'uomo, ma che al contempo se ne distanziano per un diverso approccio che esula dal
metodo scientifico, pongono al centro delle loro metodiche l'esperienza e il “sentire”:
ogni partecipante è chiamato a vivere in prima persona le esperienze proposte, così
come è invitato a sentire l'effetto di ciò che sta vivendo. Il corpo assume un ruolo
fondamentale perchè è tramite il corpo e le sensazioni che ci rimanda che ogni
persona sperimenta le sue emozioni.
Se da un lato l'indagine sociale e la Sociologia hanno messo in luce una crisi che
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coinvolge la società, dall'altro lato questa crisi ha anche un risvolto epistemologico: se
ne sentiva realmente l'esigenza di una nuova forma di indagine e conoscenza
dell'uomo? Ha senso parlare di un nuovo metodo di conoscenza? E sopratutto qual'è il
suo campo nell'ambito delle scienze umane? O tutto questo è solo il nascere e
proliferare di approcci che ha la sua ragione di esistere solo in virtù del senso di
sconforto verso metodi più istituzionalizzati? In che modo potrà apportare nuova
conoscenza? I suoi metodi saranno adeguati e in che modo?
Tutte queste domande sono proprie di quel periodo definito da Khun crisi del
paradigma e nascita di un nuovo paradigma.
1.2 - IL PARADIGMA: DEFINIZIONE Il paradigma è per Kuhn "l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una
tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente".
Due aspetti sono importanti: il primo è che le teorie, le leggi, gli strumenti sono
“convenzionali” e non assoluti. Il che significa che le teorie, gli strumenti e le leggi
dipendono da un determinato periodo storico e dalla scelta di quel periodo di accettarle
o meno.
Il secondo aspetto è una conseguenza del primo, ovvero, se teorie, leggi e strumenti
sono convenzionali allora essi possono cambiare.
Nella sua opera principale “La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962)” Khun
evidenzia come la Scienza non ha un andamento lineare e progressivo, ma si assiste a
periodi di crisi di un paradigma, alla nascita di un nuovo paradigma che affianca il
precedente e che infine lo sostituisce. Il nuovo paradigma sarà il teatro di nuove
scoperte fino alla sua entrata in crisi e alla nascita di un paradigma nuovo.
Il concetto di paradigma di Khun è proprio dell'approccio scientifico ma le sue
conclusioni sono estendibili al di là della Scienza.
Conoscenza, metodi e strumenti sono propri di ogni disciplina che ha come scopo la
conoscenza. La Filosofia, la Religione, la Scienza sono tutte portatrici di conoscenza e
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hanno al loro interno metodi e strumenti che la convalidano o la invalidano.
Potremmo parlare così di veri e propri paradigmi, ovvero insiemi di metodi, conoscenze
e definizioni di conoscenza proprie di ognuna di queste discipline.
Nel corso dei secoli queste discipline si sono scontrate, si sono incontrate ma ognuna
ha continuato ad esistere e a ritagliarsi un suo spazio nell'ambito dello scibile umano.
Per meglio illustrare il concetto di paradigma vorrei fare un esempio utilizzando proprio
le discipline suddette.
1.3 – I PARADIGMI ATTUALI La Filosofia così come studiata oggi pone al centro del suo metodo il ragionamento.
Fare Filosofia significa ragionare su qualcosa e il suo campo rappresenta tutto lo
scibile. Si può fare Filosofia sull'arte, si può fare Filosofia sul metodo scientifico, si può
fare Filosofia sull'uomo (è da notare che i primi psicologi non erano appartenenti ad
altre scienze, ma erano appunto filosofi), si può fare della metafisica....
In ogni caso la conoscenza per il filosofo è ciò che è logico, razionalizzabile e
conoscere significa formulare nuovi pensieri intorno a cose già conosciute o nuove. La
novità del pensiero è nuova conoscenza. Lo strumento cardine per ottenerla è
inevitabilmente il ragionamento astratto. La conoscenza non è ovviamente accettata
acriticamente ma è messa alla prova e il metodo è l'argomentazione, il dibattito. Non si
può dimostrare un'affermazione ma la si può argomentare. Si pensi ad esempio
all'eterno dibattito tra atei e credenti. Dio non è dimostrabile ma la sua esistenza o non
esistenza è comunque oggetto di argomentazione.
Interessante è anche la Religione. Mi limito alla Religione Cristiana. La Religione è
materia di fede. La fede è lo strumento cardine della Religione. Al credente è richiesto
di avere fede. Di credere senza avere prove. La conoscenza nasce dai Testi Sacri,
mentre il dogma è lo strumento. Come si può notare i metodi sono diversi per certi
aspetti rispetto alla Filosofia, sebbene Filosofia e Religione abbiano avuto molti punti di
incontro.
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La Scienza invece ha un campo di indagine più limitato rispetto alla Filosofia. Infatti per
definizione studia solo ciò che è oggettivo e percepibile da tutti.
Il suo campo di indagine è la natura, i suoi strumenti sono la Matematica e la
Geometria mentre la misurabilità di un fenomeno è un aspetto estremamente
importante per il metodo scientifico. Il metodo scientifico stesso è una rottura rispetto
alla Filosofia. La Scienza ha come caposaldo principale la verificabilità delle
affermazioni. L'esperimento è il metodo principale della Scienza (perlomeno nella sua
prima definizione) e l'esperimento è ciò che garantisce che le affermazioni fatte
abbiano un legame con la realtà. La dimostrazione è il modo in cui si dibatte la
conoscenza. È ritenuto vero solo ciò che è dimostrabile, altrimenti è solo un' ipotesi.
Filosofia, Religione e Scienza sono tre approcci con tre concetti di conoscenza, tre
metodi e tre strumenti totalmente diversi, ma che hanno un senso nell'ambito della
disciplina stessa. Gli stessi strumenti applicati a discipline diverse sono inconcludenti.
Si pensi a quando la Religione cercava di dimostrare come la terra fosse al centro
dell'universo solo perchè nella Bibbia c'era scritto che Dio fermò il sole (segno quindi
che era il sole a muoversi e non la terra) o quando in Filosofia si affermava che due
corpi con peso differente cadevano con tempi diversi (Aristotele); Galileo stesso
dimostrò come invece il peso di un corpo non influisce sui tempi di caduta. Ma si pensi
anche come la Scienza sia spiazzata di fronte all'anima o come non sia in grado di
affrontare una materia come l'estetica...
Attualmente il paradigma scientifico è il paradigma dominante nel senso che la
conoscenza è sempre più demandata alla Scienza. In effetti tutto ciò che è stato creato
oggi è stato fatto grazie al metodo scientifico: macchine, telefoni cellulari, vestiti etc.
L'approccio scientifico ha riscosso particolare successo grazie al fatto che lega
inestricabilmente la sua conoscenza alla verifica nei fatti e di conseguenza ogni
scoperta è riproducibile e applicabile. La tecnologia è appunto l'applicazione delle
scoperte scientifiche e in essa la Scienza trova il suo fondamentale completamento.
Grazie alla tecnologia le conoscenze scientifiche trovano un campo di applicazione
mentre gli approcci filosofico e religioso non hanno la stessa applicabilità o perlomeno i
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loro effetti sono meno evidenti.
L'approccio scientifico ha dato i suoi frutti e di conseguenza è naturale pensare di
estenderlo a più campi possibili.
1.4 – LA CRISI DELLA SCIENZA DELL’UOMO Precisiamo un punto: la Scienza non è in crisi, anzi, sembra essere sempre più
lanciata verso nuove scoperte e di conseguenza il suo approccio allo studio della
natura risulta efficace in tutti i suoi contesti. Tuttavia c'è un problema.
Quando la Scienza è applicata allo studio dell'uomo ecco che l'approccio scientifico da
origine a fatti che non si riscontrano in nessun'altra disciplina scientifica.
Mi riferisco appunto alla Psicologia.
Da psicologo che si è approcciato alla Psicologia venendo dalla Fisica la prima cosa
che mi ha stupito della Psicologia è stata la totale differenza rispetto alla Fisica, ma
anche alla Biologia e ad altre scienze di cui ero appassionato.
La Fisica ha un metodo ben preciso con un corpus di conoscenze costituito da tutte le
teorie che è stata in grado di convalidare. La Matematica è il suo linguaggio e
l'esperimento il suo metodo.
In Psicologia la prima cosa che mi ha colpito (e come me tutti gli studenti del mio
corso) è il fatto che è considerata una materia umanistica (ma non era una Scienza?),
che al suo interno non c'è un metodo ma diverse scuole ognuna con le sue definizioni,
i suoi metodi e le sue teorie, ma sopratutto che non riesce a trovare un suo linguaggio.
La storia della Psicologia sembra proprio la storia della ricerca di un linguaggio per
esprimere le conoscenze sull'uomo. Inoltre la Psicologia si trova da una parte la
Filosofia e dall'altra la Fisiologia a minacciare costantemente il suo ruolo di Scienza
che studia i processi dell'essere umano.
La storia della Psicologia è una storia a salti in cui le diverse teorie si sono susseguite
ma senza trovare una collocazione vera e propria. Non sempre i risultati di una scuola
sono trasferibili in un'altra e infatti ogni branca della Psicologia ha approcci molto
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diversi.
Di fatto la Psicologia ha un problema epistemologico che è alla base di tutte le sue
peculiarità. La Scienza ha come campo di indagine la realtà oggettiva, slegata dal
soggetto che la studia. Soggetto e oggetto sono separati. In Psicologia le cose sono un
po' diverse. La Psicologia è la mente umana che cerca di studiare la mente umana. Un
paradosso piuttosto strano per una Scienza che vuole essere oggettiva, ma il suo
stesso esistere nasce dall'oggetto stesso che vuole studiare... la mente appunto.
Ecco che la mente di fronte a sé stessa non ha un linguaggio per esprimere ciò che
conosce, inoltre la mente non è il cervello, di conseguenza non è facilmente
osservabile. Se poi a osservare sono gli stessi processi di pensiero che si vuole
studiare non se ne viene a capo.
Ecco che la Psicologia ha tratto spunto dalle scienze più consolidate: la Psicologia
della Gestalt aveva mutuato il suo linguaggio dalla Fisica per cui si parla di campo, di
regole del campo, di come un oggetto inserito in un contesto modifichi la percezione
degli oggetti circostanti etc. in altri casi si è cercato di utilizzare un linguaggio affine alla
Fisiologia, ed ecco che Pavlov parla di riflesso condizionato al pari dell'arco riflesso. La
Psicologia tende a ridursi ad una sorta di Fisiologia...
Attualmente il linguaggio più “appropriato” pare essere il linguaggio dell'Informatica e la
metafora dell'uomo come elaboratore di informazioni è il modello dominante. Si parla di
schemi di pensiero, modelli di pensiero e simulazioni.
Di fatto il lavoro sull'Intelligenza Artificiale ha dato importanti contributi ma ancora è
presto per capire se sarà la strada risolutiva. Di sicuro l'approccio della Scienza
Cognitiva ha un'importante caratteristica: è riuscita a trovare un metodo per validare le
teorie, ovvero, la possibilità di riprodurre i processi cognitivi su un computer da la
possibilità di verificare la teoria indagata. Una teoria sulla mente è vera se è
riproducibile tramite il computer.
Apparentemente parlare di schemi mentali e di computer con relativa riproducibilità fa
rabbrividire perchè evoca scenari fantascientifici di robot semiumani etc. tuttavia
questo approccio è stato molto fruttuoso e le sue applicazioni, in particolare per quanto
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riguarda la terapia (Psicoterapia Cognitiva) sono molto proficui tuttavia....
Tuttavia arriviamo ad un altro punto che stupisce della Psicologia. Se l'applicazione
della metodologia cognitivista in ambito terapeutico da i suoi frutti allora significa che la
teoria è vera? Il punto è proprio questo: l'applicazione della teoria cognitivista funziona
in ambito terapeutico, tuttavia funzionano anche terapie e approcci privi di valore
scientifico, anzi, la prima Psicoterapia ad essere funzionale è stata proprio la
Psicanalisi e si sa che la teoria dell'essere umano propria della Psicanalisi non ha il
minimo fondamento scientifico.
Quello che stupisce in ambito terapeutico è proprio il fatto che le teorie più diverse non
si escludono a vicenda come in Fisica, ma funzionano tutte!
Questo mette in evidenza un fatto molto importante: l'effettiva pratica psicologica non
ha un legame, o il legame è molto debole, con la teoria “scientifica” che ne sta alla
base.
Così se la teoria dell'intervento psicologico (sia esso terapeutico o semplicemente di
cambiamento come nell'ambito lavorativo) ha raggiunto conoscenze consolidate,
dall'altro lato le stesse conoscenze non sono al momento riconducibili a una teoria
unificata e univoca dell'essere umano.
Le conoscenze in ambito di Intelligenza Artificiale sebbene siano a livelli interessanti
per quanto riguarda la percezione e il pensiero, tuttavia non riescono a rendere conto
da sole dei successi terapeutici delle diverse metodiche cliniche.
Farò un esempio per essere più chiaro. In ambito terapeutico si sa che l'ascolto del
paziente è fondamentale. La capacità di far sentire apprezzato il paziente, capito e
ascoltato è alla base del cambiamento. Tuttavia, tornando alla Scienza Cognitiva, non
esiste ancora una teoria e quindi un modello riproducibile a computer che sia in grado
di rendere conto del fatto che “ascoltando” il computer esso cambi (?!?). detto in altri
termini non si riesce a riprodurre l'ascolto empatico e il sentirsi ascoltati. Ci ritroviamo
un gap evidente tra teoria e pratica assente nelle altre scienze in cui Fisica e
tecnologia, Anatomia e intervento chirurgico vanno di pari passo.
In Psicologia, la conoscenza empirica del cambiamento e della terapia (che diventa
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formalmente teoria, ma del cambiamento e non dell'essere umano) fa da padrona
rispetto a qualunque conoscenza sull'uomo.
In realtà sono stato un po' impietoso rispetto alla Psicologia perchè teorie sull'essere
umano in ambito terapeutico ci sono ed hanno anche un certo valore pratico. Il loro
valore non risiede nelle spiegazioni sull'essere umano che forniscono, ma nelle loro
precise descrizioni di ciò che si può osservare sull'essere umano. Faccio un esempio:
in Psicoterapia Cognitiva vi sono diverse tipologie di organizzazione cognitiva
dell'essere umano: si definisce il fobico, lo psicosomatico etc. le definizioni sono molto
precise ed evidenziano i diversi aspetti dell'organizzazione cognitiva, dal rapporto con
la madre, al legame maturato con i genitori nell'infanzia, al senso di abbandono e ad
altri eventi alla base dell'organizzazione cognitiva etc. tuttavia sono teorie atte alla
pratica clinica. Non si è ancora giunti a legare Fisiologia del cervello, funzionamento
dei processi cognitivi e osservazioni cliniche.
Attualmente abbiamo da un lato una Psicologia teorica, strettamente sperimentale che
trova nella simulazione la sua strada. Dall'altra abbiamo una pratica clinica che trova
nell'esperienza della pratica clinica le fondamenta per le sue teorie, che si rivelano
meno rigorose di quelle sperimentali ma decisamente più applicabili. La loro ragione di
esistere trova fondamento nella terapia.
Da quanto detto appare chiaro come la Psicologia sia una Scienza un po' sui generis.
Da una parte una scientificità che si esprime in ricerca sperimentale e non genera una
conoscenza applicabile, almeno per il momento, nei sui ambiti di intervento (infatti la
Scienza Cognitiva trova applicazioni in ambiti diversi dalla clinica come ad esempio
nell'Intelligenza Artificiale) dall'altra una pratica clinica, ma non solo, slegata dalla sua
controparte teorica e che anzi genera teorie basate sull'osservazione dei pazienti e
improntate all'uso della statistica.
La crisi del paradigma scientifico in ambito clinico si riferisce a questo. A quanto pare la
conoscenza dell'essere umano così come intendiamo per conoscenza non è
necessaria per le applicazioni della Psicologia. Se le teorie della Fisica sono
fondamentali per la tecnologia, se le conoscenze di Fisiologia e Anatomia sono
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essenziali per la Chirurgia, non è necessario conoscere a livello meccanicistico come
funziona l'essere umano per operare cambiamenti e terapie. Non è necessario
possedere una teoria unificata dell'essere umano in termini di relazione psiche e
Fisiologia, ma neanche di modello per descrivere la psiche che sia dimostrabile e abbia
valore scientifico per poter lavorare con la psiche. Certo si potrebbe obbiettare che la
Psicoterapia Cognitiva fonda le sue conoscenze sulla Psicologia Cognitiva, ma basta
leggere qualsiasi manuale di Psicoterapia Cognitiva e di Scienza Cognitiva per
rendersi conto di quanto siano distanti, fino a notare che gli schemi mentali e i modelli
di pensiero sono una metafora e non una conoscenza. Idea rafforzata dal fatto che
anche altre terapie che non considerano la Scienza Cognitiva come loro base,
comunque funzionano a livello terapeutico.
Farò un esempio: l'organizzazione cognitiva di tipo depressivo. Durante l'infanzia il
bambino è tenuto a distanza dalle figure genitoriali, in particolare nei momenti in cui il
bambino sente il bisogno di essere accudito. Questo fatto fa nascere nel bambino la
sensazione di essere in qualche modo responsabile del fastidio che reca e vede il suo
bisogno di essere accudito come minaccioso all'essere amato e accettato. Di
conseguenza un'immagine negativa di sé e le aspettative di abbandono sono la
conseguenza dell'essere tenuto a distanza. La frequenza e la regolarità di queste
vicende rendono questo modello operativo interno sufficentemente stabile.
Un modello operativo interno è uno schema cognitivo rappresentabile come una sorta
di diagramma di flusso tipico dell'informatica.
Fino alla descrizione dell'immagine di sé come negativa siamo nell'ambito
dell'osservazione clinica, quando invece si entra nella spiegazione utilizzando il
concetto di modello operativo interno entriamo nella metafora; una metafora
sufficientemente valida e pratica, ma pur tuttavia una metafora...
La psiche paragonata al computer potrà renderla studiabile per determinati aspetti,
tuttavia si sta studiando il computer e non la psiche, di conseguenza è lecito notare
come gli Psicologi Cognitivisti riescano a operare sull'uomo (la psiche) senza le
conoscenze che derivano dalla ricerca sperimentale ma solo con le conoscenze che
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derivano dalla pratica clinica.
1.5 – QUALCOS’ALTRO SOTTO IL CIELO la Psicologia non è una Scienza esatta, cioè non è una Scienza slegata dal suo
contesto storico.
La Psicologia nasce per rispondere a precisi interrogativi dell'essere umano. Sappiamo
benissimo tutti che ogni persona cerca nella Psicologia risposte alle sue domande e in
particolare chi è affascinato dalla Psicologia è affascinato dal conoscere chi è
realmente, dal conoscersi, dal sapere qualcosa di sé. Chi si interessa di Psicologia
avverte che c'è qualcosa che le sfugge nella sua vita e si pone interrogativi. Tuttavia la
Psicologia non sembra attualmente in grado di rispondere a queste esigenze.
Quando qualcuno viene a sapere che sono uno psicologo generalmente iniziano tutta
una serie di domande: dall'interpretazione dei sogni, ai problemi di cuore, dal perchè
tizio si è comportato così, al perchè caio ha fatto cosà, fino a passare dalla grafologia e
(la mia preferita) al chiedermi se so fare i tarocchi. Ma parlando un po con tutti scopro
sempre che l'interesse per la Psicologia non nasce dal voler conoscere l'essere umano
ma dalle domande che ognuno si pone su di sé, indipendentemente dalle domande il
punto centrale è sé stessi.
Tutte cose percui non andrebbero mai da uno psicologo anche perchè mi sembra che
il punto non sia risolvere un problema o guarire, ma siano domande, curiosità,
necessità di conoscenza che uno ha su di sé, domande che non sono contemplate
nella pratica psicologica e che si possono riassumere nell'espressione “voglia di fare
qualcosa per sé stessi”.
Dal tipo di domande posso supporre che ci sia una sete di conoscenza e voglia di
sapere, ma che essa sia una voglia di sapere e conoscere qualcosa che sia
rapportabile a sé stessi e alla propria esperienza. Questa sete di conoscenza non
passa dallo studio dello psicologo ma ha nell'espressione “fare qualcosa” l'idea stessa
della ricerca personale, dell'esperienza in prima persona. Un'esperienza che soddisfi la
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sete di conoscenza. In che modo si può legare esperienza e conoscenza?
Il fatto è proprio che la Scienza esclude l'esperienza personale come metodo di
indagine perchè ritenuto soggettivo (la Scienza si muove nell'ambito dell'oggettivo) di
conseguenza unire esperienza e conoscenza non si adatta al metodo scientifico. In più
la richiesta è un fare qualcosa per sé e conoscere qualcosa di sé o rapportabile a sé,
mentre il metodo scientifico separa inevitabilmente soggetto che conosce e oggetto
conosciuto.
1.6 – LA RISPOSTA ALLA CRISI Penso che il modo migliore per illustrare la cosa sia un esempio che mi è successo a
18 anni.
In quel periodo avevo letto un articolo sul fatto che l'attività sessuale produce
serotonina nel cervello. L'articolo si dilungava sulla metodologia, sulla scelta del
campione etc. e sul fatto che la produzione di serotonina è legata ai momenti di piacere
in cui ci si sente bene. La “grande” scoperta era che: fare l'amore è piacevole!
“Ma io dico” mi chiedevo ”ma veramente si sentiva l'esigenza di tre anni di ricerca per
capire che fare l'amore è piacevole???”
L'esempio è volutamente divertente, ma nasconde in sé un aspetto estremamente
interessante per quello che stiamo trattando.
Immaginiamo di costruire un cellulare. È sicuro che non ci riusciremmo senza le
scoperte scientifiche e le tecnologie sviluppate. Abbiamo bisogno della Scienza per
poter costruire un cellulare. Eppure non abbiamo bisogno della Scienza per sapere che
fare l'amore è piacevole. Perchè? La risposta è praticamente ovvia: perchè se faccio
l'esperienza del fare l'amore lo so da me che è piacevole. Ecco il punto: l'esperienza è
per l'essere umano fonte di conoscenza.
Se finora non se ne è tenuto conto è perchè in ambito scientifico l'esperienza non ha
valore. Ovvero, proprio la necessità di oggettività del metodo scientifico obbliga ad
escludere quei metodi di conoscenza che invece non sono oggettivi, ma che
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dipendono dalla persona che li sperimenta. Tuttavia il fare esperienza è fonte di
conoscenza e di conseguenza è lecito chiedersi se esiste un approccio che possa
utilizzare l'esperienza in prima persona come metodo di conoscenza e come strumento
per conoscere.
L'esperienza, proprio perchè è un qualcosa che porta conoscenza a sé su di sé
sarebbe il metodo ideale per rispondere a molti degli interrogativi che ci si pone.
Il secondo punto ed è ancora più importante del primo è se l'esperienza possa essere
fonte di conoscenza che sia condivisibile da tutti o se invece rimarrebbe conoscenza
fine a sé stessa e per se stessi.
Esprimiamo il problema in altri termini:
siamo ormai abituati che la Scienza, ad esempio la Fisica, ha una parte teorica e da
questa deriva la tecnologia. Se voglio costruire un cellulare ho bisogno di conoscenze
in termini di Fisica, idem se voglio voglio sviluppare altri strumenti. La componente
teorica è inscindibile dalla sua controparte tecnologica. È vero che molte cose si sono
scoperte prima empiricamente, ma tuttavia solo la ricerca scientifica ha dato la
possibilità di conoscerle adeguatamente per poterle poi utilizzare e applicare.
La Psicologia invece è sui generis. La pratica della Psicologia non necessita della sua
controparte teorica, anzi le teorie cliniche, hanno una loro valenza di praticabilità e
applicazione e nascono dalla pratica stessa, dai suoi metodi, dalle sue osservazioni.
La controparte teorica e sperimentale della Psicologia lavora su una metafora. Una
metafora molto utile che permette di comprendere adeguatamente bene ciò che studia
ma la metafora ha in sé un problema intrinseco non indifferente. Proprio come in
letteratura, la metafora coglie solo gli aspetti di similitudine ed è inutilizzabile e si
invalida per quegli aspetti che non rientrano nella metafora.
Paragonare la psiche a un computer è utile per studiare gli schemi mentali, le
procedure cognitive, tuttavia la psiche NON è un computer e di conseguenza un
computer non esaurisce la psiche, quindi studiare un computer NON è la stessa cosa
che studiare la mente umana.
Dall'altra abbiamo una nuova domanda che potrebbe andare sotto il nome di crescita
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personale, in cui le persone richiedono un qualcosa su di sé per conoscere sé stesse.
La domanda potrebbe rientrare a buon diritto nell'ambito della Psicologia, tuttavia le
conoscenze teoriche sull'uomo che abbiamo non consentono di rispondere perchè si
basano su una metafora e non su una conoscenza dell'uomo tout court e la richiesta
esula dalla metafora uomo - computer. Quindi o rientrano nella pratica della Psicologia,
oppure c'è un gap.
Se la Psicologia teorica fosse una Scienza al pari delle altre, al di fuori quindi di un
approccio metaforico, si sarebbe potuti far derivare le conoscenze necessarie a
rispondere a questa domanda dal corpus teorico della Psicologia stessa, ma purtroppo
non è così.
Le applicazioni della Psicologia come la clinica, o la Psicologia del lavoro o
semplicemente il cambiamento sviluppano le loro teorie in seno alle loro conoscenze
empiriche sul campo.
Lo psicologo che opera sul campo ricerca un cambiamento nel cliente/paziente e ne
descrive le dinamiche che coglie nell'altro.
Si renderebbe necessaria una nuova applicazione della Psicologia atta a rispondere a
questa nuova richiesta ma qui subentra il gap precedente: il gap ha a che vedere col
fatto che si vuole conoscere qualcosa su di sé e per sé, mentre la Scienza psicologica
per sua definizione di Scienza conosce qualcosa di esterno da sé.
Il gap sembra capzioso ma non lo è: perchè uno psicologo (in termini di scienziato
della psiche) non può lavorare con qualcuno che “vuole conoscere qualcosa su di sè”?
In fondo anche in psicoanalisi si mette il paziente nella condizione di conoscere
qualcosa su di sé, anche negli altri approcci terapeutici il paziente conosce qualcosa su
di sé... sono obiezioni lecite, tuttavia non tengono conto di un aspetto importante.
Quando qualcuno va dallo psicologo o psicoterapeuta va perchè ha un problema,
viceversa questa nuova domanda non sembra esaurirsi nel definirla “problema”.
Il fatto è che le persone in cerca del “qualcosa su di sé e per sè” hanno già trovato
diverse risposte e le hanno trovate in tutte quelle pratiche citate all'inizio: biodanza,
seminari esperienziali, PNL, manipolazioni energetiche, costellazioni familiari, Tantra,
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artiterapie...
Comprendere e conoscere queste discipline nei loro metodi è ciò che consente di
capire il perchè della scelta.
Tutte queste discipline hanno in comune una cosa: sono una pratica che ognuno porta
avanti. Simili per certi aspetti all'andare in palestra o fare sport nel modo in cui vengono
praticate, più che un andare a curarsi da qualcuno.
Non l'avevo volutamente fatto notare ma l'espressione “fare qualcosa per sé” ha in sé
un aspetto attivo che manca nel concetto di andare da qualcuno per curarsi. Una
pratica, più che una visita dallo psicologo sembra maggiormente adatta a rispondere
all'esigenza di fare qualcosa per sé stessi.
Il punto fondamentale è proprio il fatto che la risposta che molte persone interessate
alla propria crescita personale si danno non va nella direzione di una seduta da
qualche esperto. Cambia proprio il modello relazionale: da una parte lo psicologo nel
suo studio, dall'altra una disciplina che si pratica in qualche spazio appositamente
preparato e in gruppo.
1.7 – LE METODOLOGIE ESPERIENZIALI DA VICINO Le caratteristiche fondamentali delle discipline esperienziali risiedono in come sono
strutturate: da una parte c'è il conduttore che è sempre una persona che ha fatto un
percorso esperienziale e tendenzialmente continua il suo percorso personale. Dall'altra
c'è il gruppo che pratica la disciplina. Come detto in precedenza la disciplina è
essenzialmente una pratica che una persona fa o è invitata a fare; ad esempio in
danzaterapia si è invitati a danzare, così come nei seminari di meditazione o
visualizzazione si è invitati a partecipare in prima persona.
Per certi aspetti assomiglia appunto a un corso o a uno sport. Come nelle arti marziali
c'è un insegnante che ha praticato prima dei suoi allievi ma tutt'ora continua a praticare
e insegna ai suoi allievi facendoli praticare in prima persona (non si impara un'arte
marziale “teoricamente” ma si pratica) allo stesso modo in una disciplina esperienziale
o18
c'è un conduttore che conosce la materia, l'ha praticata prima e tutt'ora pratica. Il
conduttore del gruppo invita i partecipanti a sperimentarsi nelle esperienze proposte,
quindi a “fare” (non è un corso teorico) e i partecipanti si sperimentano nelle diverse
esperienze proposte.
Sebbene ci siano similitudini ci sono anche molte differenze: nelle discipline
esperienziali ciò che conta è come si vive l'esperienza, non ci si “allena”,
contemporaneamente vengono elicitate reazioni emotive assenti negli sport o in altre
pratiche o corsi, che sono invece fondamentali nelle discipline esperienziali volte alla
crescita personale.
La pratica di una disciplina esperienziale favorisce la consapevolezza e la crescita
personale: gli effetti sono un miglioramento della qualità della vita della persona, uno
“stare meglio” che spesse volte si manifesta anche come “cura” da qualche disturbo
che la persona poteva avere.
Proprio per questo aspetto che in fatto di crescita personale è più un effetto secondario
e cioè la cura, discipline esperienziali e pratica clinica hanno qualcosa in comune.
Da un lato le discipline esperienziali assomigliano a una pratica in palestra o a un
corso, dall'altro hanno tra i loro effetti anche un effetto terapeutico e in questo caso si
avvicinano alla pratica clinica.
Tuttavia non sempre le persone che partecipano a seminari esperienziali vedono il
seminario solo come cura, lo dimostra il fatto che spesso sono anche seguite da uno
psicologo, almeno quelle persone che soffrono di disturbi.
Questo aspetto fa appunto pensare che le persone che intraprendono un percorso di
crescita lo vedono diversamente dal curarsi un disturbo di natura psichica, tuttavia,
consapevoli del fatto che la crescita personale e il lavoro su sé stessi ha come effetto
la risoluzione di problematiche psicologiche lo scelgono come strada parallela alla
terapia normale.
Accanto alle persone che intraprendono un percorso di crescita per il proprio
benessere ci sono anche diversi psicologi che si avvicinano alle metodologie
esperienziali proprio per l'affinità che la pratica clinica ha con queste discipline e che
o19
nasce da quella zona comune che è appunto la “cura e la guarigione” da problemi di
natura psichica.
Tornando agli aspetti epistemologici ci troviamo di fronte un quadro simile:
Da una parte la pratica clinica ha come riferimento epistemologico il metodo
scientifico, dall'altra parte ci sono le discipline esperienziali ma quale riferimento
epistemologico hanno?
C'è una parte in comune alle due pratiche: la cura di certe patologie. Infatti solo per
alcune patologie, le più lievi, si è riscontrato un miglioramento o una cura. Le patologie
psicologiche più gravi invece sono attualmente trattate solo con un approccio
psicoterapeutico anche perchè difficilmente chi soffre di un disturbo invalidante riesce a
livello emotivo a partecipare a un seminario esperienziale.
Ciò che ne ricaviamo è un quadro relativamente semplice in cui si osserva che da un
o20
lato la Psicologia mira alla scientificità, dall'altro una serie di discipline che portano
consapevolezza e conoscenza a chi le pratica, in certi casi anche guarigione, sono per
loro natura estranee alla metodologia scientifica e di conseguenza necessitano di un
paradigma adatto a loro per poter dare valore epistemologico alle loro conoscenze.
In realtà il quadro è più complesso ed è complicato appunto dal fatto che alcune
discipline esperienziale si muovono in realtà all'interno di un paradigma scientifico o
perlomeno che mira a tale scientificità. Ma per poter comprendere queste discipline è
necessario fare un passo indietro e considerare ancora una volta la Psicologia clinica.
1.8 – L’ESPERIENZA IN PSICOLOGIA CLINICA La pratica clinica non è affatto estranea al concetto di esperienza e di come essa sia
essenziale per produrre cambiamento e cura.
Bolwby (padre della teoria dell'attaccamento) fa notare come è proprio lo sperimentare
il terapeuta come una base sicura che consente al paziente l'esplorazione del suo
mondo interno. Altri autori chiamano appunto esperienza interpersonale correttiva
l'esperienza con il terapeuta: l'esperienza della relazione con il terapeuta svolge un
ruolo terapeutico diretto nella risoluzione degli schemi interpersonali problematici.
In Psicoanalisi l'opera contenitiva del terapeuta coinvolto nella relazione con il
paziente, consente al paziente stesso di riappropriarsi di quelle parti di sé rimosse.
La Psicoterapia Cognitiva illustra come l'applicazione degli schemi interrelazionali del
paziente verso il terapeuta consente al paziente stesso di prenderne consapevolezza.
Nella relazione terapeutica il paziente si sperimenta e prende consapevolezza di sé.
Concetto espresso anche in psicodinamica con il transfert e controtransfert
psicanalitico.
Il ruolo dell'esperienza è fondamentale anche nella pratica clinica.
Il paziente fa esperienza della relazione con il terapeuta.
Diventa chiaro da quanto detto prima che anche la pratica clinica ha una componente
esperienziale consistente se è l'esperienza che fa il pazienta la chiave di risoluzione
o21
del disagio.
Tuttavia l'esperienza del colloquio con il terapeuta è una unica esperienza: l'esperienza
di una relazione con una persona sufficientemente “sana”.
È stato allora lecito domandarsi se non fosse possibile ampliare il range delle
esperienze correttive.
In questo contesto si possono leggere i contributi di discipline quali le artiterapie, la
biodanza, lo psicodramma etc, in cui il range delle esperienze proposte aumenta e si
diversifica.
Ci sono stati diversi studi che utilizzando il metodo statistico hanno cercato di
dimostrare il valore terapeutico di tali discipline.
Il loro valore terapeutico è indubbio per quanto riguarda la terapia tuttavia ci si trova di
fronte a un problema di metodo qualora lo si voglia applicare alla crescita personale.
Immaginiamo di voler verificare se un metodo è terapeutico. Ciò su cui ci baseremo per
stabilirlo sarà prendere nota delle condizioni del paziente prima e dopo il corso. La
cosa non sarà difficile perchè il problema del paziente è facilmente verificabile: ad
esempio la frequenza di un attacco di panico o di ansia. Immaginiamo ora di voler
applicare lo stesso metodo in termini di crescita personale: le cose sono meno
semplici.
Primo; come definire se c'è stata una crescita oppure no? Si potrebbe fare dal livello di
benessere percepito. Tuttavia anche dopo una giornata in montagna si “sta meglio” ma
non per questo si può parlare di crescita personale o di terapia montana.
Secondo; se c'è una crescita è necessario che ci sia un punto verso cui tendere che
consenta inequivocabilmente di comprendere se crescita c'è stata o no. In ambito
terapeutico questo punto a cui tendere è dato dalla guarigione del malessere o della
patologia, ma in termini di crescita personale?
La definizione di un punto a cui tendere, di uno stato di benessere ben definibile è un
aspetto importante in ambito di crescita personale. Ma se esso è facilmente definibile
in ambito terapeutico perchè per definizione è la cura dalla patologia, in ambito di
crescita personale è più complesso.
o22
La complessità risiede appunto nel fatto che tutti noi sappiamo già che esiste uno stato
di assenza di una specifica patologia. Lo psicologo sa, quando incontra un paziente
affetto da attacchi di panico, che esiste una condizione in cui gli attacchi di panico non
ci sono, se non altro perchè egli stesso non ne soffre. Il terapeuta si trova già nella
condizione in cui il paziente vorrebbe trovarsi.
In ambito di crescita personale la cosa si complica. Qual’è quello stato a cui si vuole
tendere? Non solo, ma per poterlo definire e sapere che esiste è necessario che
qualcuno ne abbia già fatto esperienza e ci sia arrivato.
Torniamo al problema dell'esperienza: è necessario che qualcuno faccia una
determinata esperienza, ad esempio che sperimenti un determinato stato di benessere,
per poterlo definire adeguatamente. In base all'avvicinarsi o meno a quel determinato
stato si potrà mettere in relazione l'avvenuta crescita personale del cliente.
Questo problema dello stato a cui tendere non si pone in terapia, ma non perchè non
esista il problema, ma perchè è già risolto nella definizione stessa di azione
terapeutica. Il problema si presenta in tutta la sua complessità in ambito di crescita
personale nel momento in cui il concetto di crescita personale non contempla in sé,
automaticamente e per definizione, lo stato a cui si tende.
Si ritorna nuovamente all'esperienza: la definizione di uno stato di benessere passa
necessariamente dall'esperienza in prima persona.
In che modo posso tradurre un'esperienza in prima persona in una forma di
conoscenza condivisibile da tutti?
Quale paradigma potrei utilizzare sapendo che quello scientifico non è praticabile in
questa particolare situazione?
o23
La figura precedente è ora modificabile come segue:
Anche la cura di certe patologie, cioè quella parte che le discipline esperienziali hanno
in comune con la pratica terapeutica può, ma non necessariamente deve, avere come
riferimenti epistemologici la metodologia scientifica.
Invece le discipline esperienziali mancano ancora di riferimenti epistemologici adeguati
alla loro pratica.
o24
2.0 LA METODOLOGIA ESPERIENZIALE
2.1 - DEFINIZIONE DI TERMINI. Un termine cardine del paradigma esperienziale è il termine esperienza.
Per come viene utilizzato in questo contesto è necessario definirlo e inquadrarlo
adeguatamente.
Nel linguaggio comune fare esperienza di qualcosa significa sempre fare esperienza di
una situazione. Avere esperienza è sempre collegato all'aver vissuto molte situazione o
all'aver fatto qualcosa per molto tempo.
Nel contesto esperienziale il termine “esperienza” ha un connotato più intimo e fa
riferimento al fare esperienza di sensazioni, vissuti ed emozioni legati ad una
situazione. Due persone vanno in discoteca, una si diverte molto, l'altra invece si
annoia. Potremmo dire che entrambe hanno fatto l'esperienza dell'andare in discoteca,
tuttavia le due esperienze sono state molto diverse. L'esperienza dell'andare in
discoteca non rende conto della complessità dell'esperienza completa che le due
persone hanno avuto.
In ambito esperienziale il termine “esperienza” recupera anche il vissuto collegato alla
situazione. Le persone han fatto l'esperienza del divertirsi in una discoteca e
dell'annoiarsi in una discoteca. In termini esperienziali il focus del termine è sul vissuto
interiore e la situazione fa da corollario.
Sempre in ambito esperienziale il termine “esperienza” viene usato per indicare
“l'esercizio” che il conduttore prepara per far emergere e sperimentare determinati
vissuti del partecipante dai quali potranno emergere schemi mentali, relazionali,
strategie corporee (il nome dipende dalla particolare teoria di riferimento).
o25
2.2 - IL PARADIGMA ESPERIENZIALE il paradigma esperienziale nella sua definizione nasce dall'esigenza di fornire un
substrato epistemologico a tutte quelle discipline esperienziali che non rientrano tout
court nel paradigma scientifico, ma si discostano da esso proprio per il ruolo che
l'esperienza ha. Il paradigma scientifico per sua definizione esclude l'esperienza
individuale come forma di conoscenza perchè ritenuta soggettiva e come tale non può
rientrare nel suo oggetto di studio, che vede appunto l'oggettività come caratteristica
principale del suo oggetto di conoscenza.
Da quanto detto prima appartengono al paradigma esperienziale quelle discipline il cui
fine è la crescita personale (ma non necessariamente come vedremo) e che utilizzano
l'esperienza e il corpo come strumento di conoscenza.
Per definire un paradigma è necessario definire cosa si intende per conoscenza
nell'ambito del paradigma stesso, qual'è il suo oggetto di conoscenza, quale la
metodologia e gli strumenti e in che modo la si mette alla prova.
Di seguito presento uno schema che aiuta a comprendere le differenze e le peculiarità
del paradigma esperienziale confrontandolo con gli altri paradigmi noti. Il termine
Scienza è riferito alla sua accezione forte e non alla sua applicazione in Psicologia
perchè, come abbiamo visto, l'approccio scientifico alla psiche presenta delle
peculiarità sue che in certe branche della Psicologia (clinica, lavoro) si ritrovano a metà
strada tra una metodologia scientifica e una metodologia empirica/esperienziale.
Filosofia
Scienza
Esperienziale
Conoscenza Ciò che è logico, razionale
e pensabile
Pensiero astratto
Ciò che è verificabile nei fatti
Pensiero applicabile ai diversi
campi
Ciò che è esperibile
o26
Oggetto di
conoscenza
A seconda dei campi ogni
“oggetto” può essere
oggetto di conoscenza:
dall’essere umano,
all’epistemologia, al
mondo, all’arte.
Oggetto di conoscenza e
soggetto conoscente sono
separati
La realtà oggettiva
Ovvero la realtà che si può
vedere e toccare
Indipendentemente dalla
persona che percepisce.
Oggetto e soggetto sono
separati ma, nei nuovi
sviluppi (Fisica Quantistica et
al.) il soggetto influisce
sull’oggetto
La realtà
fenomenologica mediata
dal fenomeno della
percezione.
Soggetto e oggetto
coincidono
Come si
crea
conoscenza
?
Con il dialogo,
l’insegnamento e poi con il
proprio ragionamento,
la conoscenza si accresce
Con la verifica delle teorie,
la conoscenza si accresce
Affinando il proprio
sentire
Alla conoscenza si
accede
metodi per
conoscere
ragionamento esperimento esperienza
Cos’è la
teoria
Teoria filosofica: corpus di
asserzioni coerenti tra loro
Teoria scientifica:
corpus di asserzioni coerenti
e verificabili nella realtà
oggettiva
Teoria esperienziale:
corpus di asserzioni che
si manifestano nella
realtà fenomenologica
Come si
trasmette e
si dibatte la
conoscenza
Argomentazione Dimostrazione Condivisione:
sia condividendo il
proprio vissuto, sia
rendendolo esperibile ad
altri
o27
Chi è il
formatore
Il filosofo che diffonde il
suo sapere e la sua
Filosofia spiegandola agli
altri
Lo scienziato che conosce il
metodo teoria-esperimento e
lo insegna seguendo passo a
passo l’allievo
Chi, avendo un suo
percorso alle spalle e
continuando lo stesso
guida l’allievo alla
personale scoperta di sé
creando lo spazio in cui
sperimentarsi e
preparando le
esperienze necessarie
alla sua crescita
Quali sono
gli strumenti
La lezione teorica, il
discorso e il dibattito, il
dialogo
La lezione teorica e la lezione
pratica
L'approccio
esperienziale e il
colloquio
2.3 – LA DEFINIZIONE DI CONOSCENZA Iniziamo con un esempio: mangiare cioccolata fa sì che il cervello produca serotonina.
Come sappiamo dall'esempio precedente la serotonina è collegata al piacere. Se
oggettivamente si rileva nel cervello un aumento della serotonina,
fenomenologicamente si sperimenta una sensazione di piacere. La sensazione di
piacere è la nostra realtà esperibile, il nostro oggetto di conoscenza. Noi conosciamo
ciò che sperimentiamo in prima persona. Se io so che ad una persona aumenta il
livello di serotonina, so che la persona prova piacere, ma non so cos'è il piacere se
non lo sperimento io. La conoscenza teorica non è conoscenza in ambito
esperienziale, perchè vi sia conoscenza è necessario sperimentare. Allo stesso modo
si potrebbe fare l'esempio del parto. Scientificamente si sanno molte cose sul parto, si
conoscono gli ormoni coinvolti, si sa quanto dura e si può prevedere quando il bambino
nascerà, tuttavia a livello esperienziale la conoscenza del parto sarà sempre preclusa
o28
alla metà della popolazione, ovvero alla metà maschile perchè, per sua natura, non
può partorire.
La conoscenza (in ambito esperienziale) è il vivere qualcosa, non lo studiarlo o lo
spiegarlo e ciò ha un'implicazione molto importante. La differenza tra studiare un
fenomeno e viverlo è insito nel coinvolgimento del corpo: nello studio teorico il corpo
non è coinvolto nell'oggetto studiato, quando invece si vive una situazione il corpo è
chiamato in causa. Avere esperienza di qualcosa significa conoscere/sentire le
sensazioni, emozioni, flusso di pensieri che il corpo ci rimanda durante, prima e dopo
l'esperienza stessa.
Dalla pratica clinica conosciamo molto bene l'espressione “anestetizzarsi”. Non ha
nulla a che vedere in ambito psicologico con l'anestesia propria della Chirurgia, ma è
un'anestesia emotiva. Per non provare emozioni dolorose la persona le reprime in
modo da non soffrire. Punto centrale della pratica clinica è il riappropriarsi di quelle
emozioni represse per elaborarle e integrarle.
Da quanto detto prima appare evidente l'implicazione per il nostro significato di
conoscenza. Non sempre ci permettiamo di conoscere, anzi in molti casi non
conosciamo. Di fatto la conoscenza esperienziale non è una conoscenza scontata, per
il solo fatto di vivere una situazione non significa che la conosciamo in tutte le sue
sfumature; anzi la conoscenza esperienziale al pari della conoscenza di altri paradigmi
è un processo che ha a che fare con ciò che viene definito “sentire”: ovvero avere
accesso a tutto il range di sensazioni ed emozioni esperibile. Il processo all'aprirsi e al
riappropriarsi delle proprie emozioni “non percepibili” è ciò che si può definire come
consapevolezza. La consapevolezza non è un fatto intellettuale, ma un riappropriarsi
emotivo.
Se è vero che ci anestetizziamo per non sentire il dolore è però altrettanto vero che
non sempre riusciamo ad accedere al piacere ed alle emozioni piacevoli e positive. Il
range delle sensazioni ed emozioni è più vasto di ciò che sembra e il processo di
conoscenza esperienziale mira appunto a coglierlo in toto.
Il punto fondamentale della definizione di conoscenza del paradigma esperienziale è
o29
che fare esperienza si traduce in conoscenza nella misura in cui si percepiscono
emozioni e sensazioni che il corpo trasmette inerenti all'esperienza stessa.
Fare esperienza di qualcosa senza nemmeno accorgersi di viverla non è conoscere.
Ma allo stesso modo stare attenti ad ogni minima sfumatura che sentiamo nel corpo
senza accorgerci che stiamo vivendo è un modo di impedirci di sentire.
Quindi cos'è esattamente il sentire? Non c'è risposta migliore di: bisogna sentirlo! È
necessario sentire cosa significa anestetizzarsi, cosa significa lasciarsi travolgere dalle
emozioni o semplicemente pensare di sentire invece che sentire ...e anche tutto questo
è conoscenza esperienziale!
2.4 - L'OGGETTO DI CONOSCENZA
Se l'oggetto di conoscenza della Scienza è la realtà oggettiva, qual'è l'oggetto di
conoscenza delle discipline esperienziali?
Abbiamo visto come la Scienza escluda l'esperienza individuale perchè soggettiva ed a
ben vedere non sembra avere tutti i torti. Opinioni personali, sensazioni, emozioni in
determinate situazioni differiscono da persona a persona. Come si può avere una
conoscenza condivisibile se siamo ognuno diverso dall'altro?
Avevo lasciato in sospeso in altre parti della tesi questa domanda. La riprendo ora in
modo da poter cercare di dare una risposta.
La domanda vera è: siamo poi così diversi uno dall'altro?
In realtà no. Basta osservare un fatto molto importante. Ogni terapeuta che applica e
riesce a portare a termine un protocollo terapeutico ha successo nella terapia, ogni
patologia psicologica è ben definibile nei suoi aspetti emotivi e cognitivi. Ciò che
differenzia e fa apparire ogni persona diversa sono gli aspetti manifesti, ma i
meccanismi che stanno alla base sono gli stessi. Ogni persona può sperimentare
rabbia, tristezza, gioia o colpa. È vero che nella stessa situazione due persone diverse
possono reagire in modo diverso, tuttavia le reazioni sono sempre giustificate da una
diversa percezione della realtà. Quando si va a cogliere la percezione della realtà in
o30
relazione alla reazione della persona ecco che la variabilità delle reazioni diminuisce di
molto. Se poi si tengono conto anche di altre variabili oltre alla percezione della realtà
(come ad esempio il tipo di esperienze infantili etc.) ecco che la variabilità è nulla, e
d'altronde non potrebbe essere altrimenti perchè diversamente non avrebbe senso
alcuna terapia psicologica se non si potesse contare su un modello univoco di psiche.
Si potrebbe concludere che la realtà avrebbe un'interpretazione univoca o che tende
ad essere univoca nella misura in cui non è distorta dalle storie di vita pregresse.
A questo punto possiamo essere più precisi sull'oggetto di conoscenza del paradigma
esperienziale: l'oggetto di conoscenza è la realtà fenomenologica. Ovvero la realtà così
come ci appare anziché la realtà così come è. La realtà fenomenologica è quindi la
realtà così come viene “costruita” dal nostro sistema percettivo. Il sistema percettivo è
univoco per tutti e di conseguenza l'interpretazione o come detto ora “la costruzione”
della realtà segue le stesse leggi per tutto il genere umano.
Con sistema percettivo non intendo solo i sensi e quella parte della nostra psiche
deputata a elaborarne le informazioni. Intendo un sistema percettivo più vasto e a più
livelli. Le nostre conoscenze pregresse influiscono sulla realtà che percepiamo, ma
influiscono anche sull'interpretazione che diamo a ciò che percepiamo. In una
situazione possiamo percepire una persona come simpatica: questa è già
un'elaborazione le cui strutture le faccio rientrare nell'accezione del termine sistema
percettivo per come lo sto usando ora.
Un aspetto importante e da comprendere che distingue Scienza da disciplina
esperienziale risiede nel concetto di oggettività:
l'oggettività è per la Scienza la realtà mediata dalla propria percezione, ovvero una
realtà (almeno nei suoi intenti) non mediata dai sensi, mentre per le discipline
esperienziali l'oggettività non risiede nell'escludere i sensi, ma nasce dal fatto di
condividere lo stesso sistema percettivo.
La Scienza studia la realtà così com'è, la disciplina esperienziale studia la realtà così
come è “costruita” all'interno di un sistema percettivo univoco. Per la Scienza
potremmo quindi parlare di oggettività in sè, per le discipline esperienziali potremmo
o31
invece parlare di oggettività fenomenologica.
Andiamo oltre in modo da avere una chiara comprensione del nostro oggetto di studio.
La fenomenologia e l'oggettività fenomenologica non sono oggetti estranei alla
Psicologia. La scuola della Gestalt definiva il suo oggetto di studio allo stesso modo: la
realtà fenomenologica.
La Gestalt studiava la realtà fenomenologica mediata dai sensi perchè dalla realtà
fenomenologica si potevano comprendere le regole con cui il nostro sistema percettivo
costruisce la realtà stessa.
Il focus della Gestalt era sul sistema percettivo, sulla psiche, sull'uomo che percepisce.
Vi è una relazione ben precisa tra realtà fenomenologica e psiche. La psiche
“costruisce secondo le sue leggi” la realtà fenomenologica: la realtà fenomenologica è
il “contenuto” della psiche, mentre la psiche è la forma, ciò che da struttura e organizza
la realtà generando appunto la realtà fenomenologica così come ci appare.
Nella dualità realtà fenomenologica – psiche, la Gestalt utilizza la prima per accedere
alla seconda.
Nella stessa dualità le discipline esperienziali utilizzano la seconda (la psiche) per
accedere alla prima (la realtà fenomenologia).
“Stare bene con sé stessi”, “vivere l'armonia”, “sentirsi al proprio posto”, “sentirsi
realizzati” hanno a che vedere con la realtà fenomenologica prima ancora che con la
psiche perchè attengono al contenuto del nostro sistema percettivo e non alla sua
forma o struttura. Percepiamo uno stato di benessere, percepiamo di essere al proprio
posto: non sappiamo perchè percepiamo così (ovvero non conosciamo in base a queli
leggi il nostro sistema percettivo ci restituisce lo stato di benessere) tuttavia possiamo
accedere a tutto ciò. Se possiamo cogliere delle regolarità nella nostra vita, se
osserviamo relazione tra il nostro assetto psico emotivo e gli eventi che ci “capitano” o,
ancora, se individuiamo delle costanti nelle vita che appaiono come vere e proprie leggi
della realtà fenomenica, sono tutte domande a cui le discipline esperienziali cercano di
dare risposta. Una risposta che non può nascere nell'oggettività scientifica perchè il
suo oggetto di studio non rientra nell'ambito della Scienza. Anzi, come visto prima per
o32
la gestalt, la Scienza si muove su un altro approccio: conoscere il sistema percettivo
per comprendere i meccanismi con cui si “genera la realtà fenomenologia”. In questa
sua opera la Psicologia incontra tutti i problemi visti in precedenza a partire dalla
definizione di un linguaggio appropriato e della metafora più produttiva.
È necessario fare un distinguo: le applicazioni della Psicologia (per Psicologia intendo
come da definizione lo studio dell'essere umano e per applicazioni o branche della
Psicologia intendo la Psicologia clinica, del lavoro etc.) hanno in questo aspetto punti in
contatto con le discipline esperienziali. Essendo scienze mirano a conoscere l'uomo,
essendo pratiche mirano ad agire sull'uomo. Così la Psicologia clinica sviluppa teorie
che nascono nell'empiricità della pratica clinica e descrivono anche la fenomenologia
delle patologie, ritrovandosi in questo vicine alle discipline esperienziali (in termini di
oggetto di studio) tuttavia in quanto scienze mirano alla conoscenza dell'essere umano
e a studiarne e comprendere la sua psiche più che la realtà fenomenologica in cui vive
(la realtà fenomenologica è solo il tramite per conoscere la psiche). Si può quindi
notare come le osservazioni che nascono nella pratica clinica diventano quei dati da
utilizzare e spiegare nell'ambito di un modello della psiche umana. Così la Psicanalisi
nelle sue aspirazioni scientifiche aveva formulato la teoria del conscio, dell'inconscio e
del super io, la Psicologia Cognitiva passa dalla descrizione fenomenologica del
sistema cognitivo del fobico e la fa derivare dal suo modello operativo interno (il
concetto di modello operativo si rifà ad un modello della psiche che segue la metafora
dell'uomo come elaboratore di informazioni).
Ho già discusso precedentemente dei pregi del metodo scientifico in ambito
terapeutico e dei suoi stessi limiti in ambito di crescita personale e quindi non mi
soffermerò oltre, invece è interessante osservare come le discipline esperienziali si
pongono verso il secondo polo della dualità realtà fenomenologica – psiche.
La psiche non è esclusa dalle discipline esperienziali ma le stesse la utilizzano per
accedere pienamente alla realtà fenomenologica, un accesso che, come
precedentemente illustrato, deriva dal proprio “sentire”.
Nei paragrafi precedenti avevamo illustrato come l'approccio scientifico della Psicologia
o33
passi attraverso la metafora e come proprio l'utilizzo della metafora consente da un lato
di approcciare lo studio della psiche aggirando la difficoltà intrinseca alla Psicologia di
essere la mente che studia sé stessa, dall'altro lato però l'utilizzo della metafora coglie
parzialmente la psiche: non conosciamo la psiche, ma conosciamo quella parte della
psiche che si presenta come elaborazione di informazioni (la metafora cognitivista).
Allo stesso modo osservavamo che se conoscessimo la psiche (e non la sua metafora)
noi potremmo far derivare le pratiche della crescita personale direttamente da questa
conoscenza.
L'utilizzo di una metafora fa sì che le metafore possano essere anche diverse. Le
discipline esperienziali utilizzano metafore per illustrare la psiche, ma poiché l'oggetto
di studio non è la psiche stessa e le sue leggi, le metafore non sono scelte in base alla
loro plausibilità, ma in base alla loro praticità. Ovvero le teorie utilizzate servono ad
accedere a quelle emozioni e sensazioni negate al proprio sentire.
Se nella Psicologia (sia essa sperimentale che clinica in questo caso) la teoria mira alla
conoscenza della psiche in termini di asserzioni verificabili e dimostrabili per conoscere
la realtà così com'è (una conoscenza di tipo scientifico, pur nei limiti della metafora),
nelle discipline esperienziali, le teorie psicologiche non hanno valore in quanto vere,
ma in quanto utili per “aprire le porte” al proprio sentire. Detto in termini psicologici
servono a ridurre le resistenze cognitive, proprio perchè possono dare un diverso
quadro del problema.
Questo ovviamente non esclude che la teoria psicologica scientifica attuale non sia
metaforicamente produttiva anche dal punto di vista esperienziale, tuttavia non è
l'unica utile.
Riassumendo: l'oggetto di conoscenza è la realtà fenomenologica, caratterizzata da
un'oggettività fenomenologica che nasce dall'unicità della struttura del sistema
percettivo umano.
Fanno quindi parte di questa realtà la realtà così come ci appare, con le percezioni,
sensazioni, emozioni, flusso di pensiero che “sentiamo” in noi e nell'altro, comprese le
interpretazioni che diamo a ciò che percepiamo (vediamo, udiamo, sperimentiamo).
o34
All'interno di questa realtà si muovono le discipline esperienziali per conoscere le
relazioni tra i diversi oggetti, fatti, eventi e le leggi che li regolano.
Il soggetto conoscente e l'oggetto di conoscenza coincidono: da quanto detto appare
chiaro il perchè. La realtà fenomenologica non è la realtà in sé, ma è la realtà che il
nostro sistema percettivo ci restituisce. Infatti lo stesso concetto di oggettività
fenomenologia non si presenta come una oggettività al di fuori dell'essere umano, ma
come un'oggettività tra esseri umani. Riprenderemo anche più avanti il concetto di
identità tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto
2.5 - COME SI GENERA CONOSCENZA Se la Filosofia genera la sua conoscenza con il dialogo e il ragionare e la Scienza
genera le sue conoscenze tramite la verifica della sue teorie, le discipline esperienziali
trovano nel “sentire” la via maestra alla conoscenza.
L'aspetto importante è che alla conoscenza si accede, mentre nelle due precedenti
discipline la conoscenza si accresce.
Qualunque sia la realtà che il nostro sistema percettivo ci restituisce è prevista dal
sistema percettivo stesso. Il sistema percettivo non è modificabile nella forma o
struttura, di conseguenza niente viene aggiunto nel sistema percettivo.
Ogni tipo di esperienza che possiamo vivere è intrinsecamente legata ad un sistema
percettivo dato e non modificabile (se non in termini di evoluzione della specie).
Un'esperienza non prevista dal nostro sistema percettivo non è esperibile: non si
possono aggiungere tipologie di esperienza non previste dal sistema percettivo stesso.
È importante ricordare che non intendo il termine esperienza nella sua accezione
esterna: fare esperienza della macchina nuova o fare esperienze dello studiare,
intendo il termine esperienza anche nella sua accezione interiore, es: fare esperienza
dell'abbondanza, dell'amore, della tristezza, dell'intimità, del sentirsi al proprio posto
etc. una persona ricca potrebbe vivere l'esperienza dell'abbondanza, tuttavia un'altra
persona, magari con gli stessi soldi potrebbe invece sentire comunque la scarsità. I
o35
soldi sono legati all'esperienza, ma non la determinano in modo univoco. Il motivo
percui all'esperienza si accede risiede nel fatto che la possibilità di fare l'esperienza è
in noi e non nelle circostanze esterne, tuttavia ad essa è necessario accederci. Le
circostanze esterne sono la molla che ci fa accedere, tuttavia esperienze non previste
dal nostro sistema percettivo non sono esperibili, indipendentemente dalla situazione in
cui ci veniamo a trovare.
Talvolta non accediamo a un'esperienza, intesa come sensazione, emozione o
percezione. Potremmo non sentire entusiasmo (basterebbe chiedere a un depresso...)
potremmo non sentire la rabbia repressa, potremmo non percepire la sacralità della
vita o non vivere l'esperienza dell'abbondanza. Abbiamo già visto parlando
dell'anestesia di come sia invece possibile riappropriarsi delle proprie sensazioni
represse, ma il modo non è l'aspetto interessante ora, ciò su cui voglio portare
l'attenzione è che per poter riappropriarci di quelle sensazioni, farne esperienza e
quindi conoscere è necessario e implicito che in noi avvenga un cambiamento.
La Scienza, nel suo paradigma sistemico anziché meccanicistico, ha già fatto notare
(nei suoi sviluppi) come il soggetto che conosce influisce su ciò che studia. Diversi
autori (Maturana e Varela, Jantsch, Gadamer, Hayek) sostengono che non sia
sostenibile una qualsiasi ricerca della validità della conoscenza indipendentemente dal
soggetto conoscente e sicuramente il lettore più informato potrà riconoscere quanto ciò
che scrivo sia influenzato da loro. Tuttavia il metodo esperienziale di cui scrivo è
diverso nei fatti. Se le ricerche dell'approccio sistemico in Psicologia e Biologia portano
gli autori a concludere quanto detto precedentemente, il paradigma esperienziale ha in
queste scoperte e nuove conoscenze la sua radice epistemologica.
Se gli esperimenti e le ricerche dei precedenti autori portano a concludere che vivere è
conoscere e conoscere è “la continua costruzione di un mondo in grado di rendere
coerente il fluire dell'esperienza immediata nel soggetto ordinante (Guidano, 1991b)”,
nel paradigma empirico ci si chiede: cosa si arriva a conoscere quando si tiene conto di
ciò? Quando il fare esperienza è la base per conoscere, quali conoscenze si possono
conoscere?
o36
Se le attuali ricerche portano a concludere in forma di teoria quanto detto prima, nel
paradigma esperienziale si fa il balzo e dalla teoria si passa all'esperienza (in questo
caso intesa come metodo conoscitivo) e al “vivere”.
Tutto il paradigma esperienziale serve a definire regole, metodi e strumenti per rendere
ciò che si conosce “valido” (e vedremo in seguito il significato di valido in ambito
esperienziale) all'interno del paradigma stesso.
Ma fare il balzo implica che il soggetto conoscente conosca anche sé stesso. In un
contesto in cui la conoscenza è l'esperienza e la conoscenza dipende dal soggetto che
conosce (che fa esperienza) è ovvio che esperienze diverse non sono il frutto di soli
fatti esterni, ma di persone con “permessi ad esperirsi” diversi. Per ampliare il range
delle esperienze è necessario cambiare, allo stesso modo in cui per uscire dallo stato
di depressione il paziente arriva a “modificare i suoi schemi mentali” per ritornare a fare
l'esperienza dell'entusiasmo, così è necessario che qualcosa cambi in noi per poter
esperire altro.
Termini come “la sacralità della vita” non significano nulla dal punto di vista scientifico
perchè la sacralità esiste in quanto “contenuto” del nostro sistema percettivo, ma
proprio perchè è un “contenuto” del nostro sistema percettivo e, come tale, parte
integrante della nostra realtà fenomenologica, essa rientra a buon diritto nell'oggetto di
conoscenza del paradigma esperienziale ed è conoscibile secondo i metodi e gli
strumenti del paradigma stesso. Tuttavia è solo tramite il “sentire”, inteso come facoltà
al pari del “capire”, che ad essa si può avere accesso. Se il “capire” è la facoltà che
usa la Scienza, il “sentire” ha il posto d'onore in ambito esperienziale. La razionalità
tuttavia non è esclusa dal paradigma esperienziale, ma si integra al sentire: una cosa
in ambito esperienziale non è conosciuta quando è capita, ma il “capire” si unisce
all'esperienza e nasce il “comprendere”.
Farò un esempio perchè tutto questo non rimanga solo un ragionamento sui termini: si
può facilmente spiegare, “capire” come la visualizzazione su un luogo della natura
porti a rilassarsi: il prato, un luogo naturale, richiamano esperienze positive in mezzo
alla natura. Tuttavia è solo sperimentando la meditazione e lo stato di rilassamento che
o37
il “capire” si unisce all'averlo “sentito” sulla propria pelle. Solo in questo caso si può dire
di “aver compreso” come la meditazione sul luogo della natura porti a rilassarsi proprio
perchè il capire ha trovato anche un legame con l'esperienza vissuta.
Un altro esempio: sul lavoro un dipendente si sente trattare male e aggredire dal suo
capo. La sua reazione è quella di pensare che il capo ce l'abbia con lui. Magari
qualcuno potrebbe facilmente fargli notare che il suo modo di fare troppo timoroso di
sbagliare e incline ad aver bisogno di conferme per agire genera la rabbia del suo
capo, e lui potrebbe anche capirlo. Tuttavia per quanto possa capire la paura verrebbe
fuori lo stesso. Se potesse trovarsi in un seminario, osservare anche come lui si tratta
quando si sente minacciato e come reagisce con sé stesso, noterebbe che tra la
reazione del suo capo e la reazione che egli ha verso sé stesso non c'è molta
differenza; noterebbe e si direbbe che lui fa così per spronarsi, e a quel punto
capirebbe che il capo si comporta così per lo stesso motivo e non perchè ce l'ha con
lui. Tuttavia si renderebbe anche conto che “spronarsi” in quel modo ha in realtà
l'effetto opposto e che genera molta rabbia che viene regolarmente repressa. Vivendo
su di sé la dinamica con il capo, espandendo l'esperienza della situazione dal pensare
che il capo ce l'abbia con lui al sentire di arrabbiarsi, percepire anche quell'aspetto di
sostegno del capo in termini di “spronare” e riconoscendo e osservando come lo
sprono in realtà sia deleterio (sia quello da parte del capo, ma anche quello che lui
mette in atto con sé stesso), il nostro dipendente giunge a vivere su di sé tutta la
dinamica e a comprenderla in tutta la sua forza, non solo a capirla.
Tornado alla nostra definizione di conoscenza, ora si potrebbe dire che il dipendente ha
“conosciuto” la situazione. Prima era solo una conoscenza intellettuale.
2.6 - I METODI DELLA CONOSCENZA Servendoci di un breve excursus storico possiamo osservare come il metodo per
conoscere della Filosofia fosse il ragionamento. Ragionando, affermano i filosofi, si
crea conoscenza proprio per la definizione stessa di conoscenza in Filosofia (in realtà
o38
ci sono diversi punti di vista sulla possibilità di conoscere tramite il ragionamento).
La Scienza ha rifiutato il fatto che con il solo ragionamento si potesse acquisire
conoscenza sul mondo. L'aspetto cardine della Scienza è stato quello di individuare un
metodo che consentisse di mettere una teoria (il ragionamento) alla prova dei fatti.
Nasce l'esperimento: l'esperimento è la verifica controllata di una teoria per garantirne
la veridicità dei suoi enunciati.
Nella sua formulazione l'esperimento prevede di isolare le variabili dell'oggetto di studio
e suddividerle in variabili dipendenti e indipendenti. La misurabilità delle variabili è il
punto cardine, infatti manipolando le variabili indipendenti si otterranno risultati diversi
nelle variabili dipendenti. Il legame, la relazione che emerge tra variabili indipendenti e
dipendenti viene tradotta in legge. Ogni Scienza ha adottato questo metodo e la
possibilità di isolare le variabili è stato un aspetto determinante nell'ambito delle
scienze.
Il metodo scientifico si è modificato in parte in Psicologia per l'impossibilità di isolare
esattamente le variabili. Dall'esperimento si è passati al quasi esperimento intendo per
questo l'introduzione della statistica. Tuttavia l'approccio non cambia nei suoi aspetti
macro. Si è passati però dall'esperimento in laboratorio all'esperimento/ricerca sul
campo. Le variabili non sono più isolate, ma partecipano all'esperimento anche quelle
variabili che non si vorrebbe coinvolgere ma che di fatto hanno il loro effetto, saranno
appunto i metodi statistici a depurare i risultati degli effetti delle variabili intervenienti.
La riproducibilità dei risultati, che da sempre è stata considerata una delle condizioni
sine qua non per poter parlare di Scienza viene meno nelle scienze umanistiche
proprio perchè la ricerca sul campo non è una situazione creata artificialmente e quindi
non è riproducibile in laboratorio.
La Scienza lega la teoria alla realtà introducendo l'esperimento (pur nelle sue
modifiche che subisce in campo di scienze umanistiche). L'esperimento è ciò che
garantisce che la teoria sia realmente una teoria su “questa” realtà.
Se ciò che lega la teoria scientifica alla realtà passa attraverso l'esperimento, ciò che
lega una teoria esperienziale alla realtà è l'esperienza.
o39
Il passaggio dall'esperimento all'esperienza è un passaggio consistente che va
compreso in tutta la sua portata. Per esperienza non si intende l'esperimento sul
campo o l'osservazione “dal vivo” dell'oggetto di studio.
Nel paradigma esperienziale soggetto conoscente e oggetto conosciuto coincidono.
C'è un cambio di prospettiva dalla terza persona alla prima persona, dall'esso all'io:
non si conosce un fenomeno esterno (in terza persona) ma si conosce “in prima
persona”. Non “collego” un'asserzione esperienziale a “questa realtà” perchè la
osservo in un'altra persona, ma perchè la osservo io stesso in me stesso. In che
modo? Attraverso l'esperienza. Esperire è conoscere e attraverso l'esperienza in prima
persona posso cogliere il valore esperienziale di un'affermazione.
Tuttavia si presenta un problema consistente: abbiamo visto come il sentire e quindi la
possibilità di accedere alla conoscenza e all'esperienza non sia uguale per tutti perchè
ogni persona ha una diversa qualità di “sentire”. Questo implica che una persona può
fare esperienza di qualcosa e un'altra peersona no.
La prima cosa che viene da chiedersi è come faccio a verificare una teoria se la sua
stessa verifica dipende da me in prima persona? Potrebbe essere falsa la teoria o io
non in grado di percepirla.
In realtà la domanda è mal posta: la verificabilità di una teoria nei fatti (oggettivi in sé)
attiene alla Scienza, a livello esperienziale la verifica di una teoria perde di significato.
Se diversi “sentire” generano esperienze della realtà diverse e di conseguenza teorie
esperienziali diverse, il punto non risiede nella verità di una teoria, ma nella relazione
tra teoria e qualità del sentire. In base alla qualità del proprio sentire non si verifica una
teoria, ma ci si riconosce in una teoria. Il panorama che ne esce non è quello di una
serie di teorie che si escludono tra loro, ma la convivenza di teorie diverse, a volte
anche in contrasto tra loro, ma che riflettono le diverse “qualità di sentire” da cui
nascono.
o40
2.7 - LA TEORIA ESPERIENZIALE È giunto quindi il momento di definire una teoria esperienziale. Una teoria esperienziale
è un insieme di asserzioni esperibili.
Nella definizione stessa due punti sono importanti. Il primo è che le asserzioni sono
esperibili, mentre il secondo è che non ho utilizzato l'espressione verificabili nei fatti
proprio perchè teorie diverse ed anche in contrasto tra loro possono sussistere in
quanto appartenenti a qualità diverse del “sentire”. Questo implica che il paradigma
esperienziale non esclude nessuna teoria e non mira ad un'unica teoria unificante.
Anche quelle teorie che nascono da qualità minori del sentire non sono escluse perchè
condivise da chi a quella qualità del sentire appartiene, tuttavia come visto in
precedenza l'oggettività fenomenologica è tale in quanto condividiamo un unico
sistema percettivo. La possibilità di accedere completamente alle esperienze che esso
ci offre porta alla formulazione della teoria esperienziale più funzionale. Ma essa potrà
essere conosciuta solo da chi accede a quel sentire. Diversamente la teoria
esperienziale resta preclusa: è bene osservare che conoscere una teoria esperienziale
non significa “capirla” ma viverla/sentirla, di conseguenza non è che non si può capire
una teoria o non la si condivida, semplicemente non si può avere esperienza di quello
che in essa viene affermato. Tutti siamo affascinati da un'espressione come “sacralità
della vita” ma quanti realmente sentono la sacralità della vita e quanti invece si limitano
a “pensare di sentirla”? Senza contare che c'è chi pensa che siano tutta storie...
Al di là della possibilità di conoscere una teoria esperienziale è importante capire la
definizione di teoria esperienziale nella sua prassi. Una teoria esperienziale prevede
che le sue affermazioni siano espresse in modo da essere esperibili, diversamente non
è una teoria esperienziale ma una teoria di altro tipo.
La teoria freudiana evidenzia come il portare alla luce quelle emozioni rimaste
inconsce apre le porte alla guarigione. Da questo Freud ha ipotizzato l'esistenza
dell'inconscio, del conscio e del super io. La psicanalisi è una teoria esperienziale?
Ovviamente no. Si può avere esperienza del fatto che portare alla memoria esperienze
inconsce porti alla guarigione, ma non si può avere esperienza dell'inconscio:
o41
l'esperienza che si ha è che esistano cose di cui non siamo consapevoli e ce ne
rendiamo conto quando le portiamo alla memoria, ma non per questo si può
ipostatizzare l’inconscio né tantomeno sperimentiamo l'inconscio in sé. Anzi, la
Psicologia ha successivamente dimostrato come non sia necessario ipotizzare un
inconscio a sé stante per spiegare il fatto che ci siano cose di cui non siamo
consapevoli. L'inconscio è una metafora ma non un'asserzione esperienziale.
Partiamo ora da un altro esempio. La teoria dei chakra. Le teorie dei chakra della
cultura indiana insegnano che esistono nel nostro corpo sette chakra principali, essi
sono i centri energetici del corpo e noi possiamo percepirli in determinati stati indotti
dal rilassamento. La conoscenza esperienziale dei chakra è facilmente accessibile da
tutti e porta alla loro percezione come a ruote o vortici circolari di diversi colori. I chakra
sono una teoria esperienziale perchè di essi si può avere esperienza, tuttavia sarebbe
un errore considerarli come appartenenti alla realtà in sé. Se si volesse affermare che
esistono al di là del nostro sistema percettivo allora ci ritroveremmo in un altro
paradigma. Il paradigma esperienziale conosce tramite l'esperienza la realtà
fenomenolgica dipendente dal nostro sistema percettivo. Affermare che i chakra
esistono al di là del nostro sistema percettivo implica passare dal paradigma
esperienziale a quello scientifico ed alle sue metodologie. Di conseguenza a ciò
l'affermazione percepire i chakra perde di significato ma è necessaria la dimostrazione
della loro esistenza indipendentemente dal fatto di percepirli o meno. Attualmente una
parte della Medicina cerca di trovare una correlazione tra qualche aspetto fisiologico e i
chakra, ma anche se vi fosse una correlazione di sicuro non troverebbero sfere
colorate all'interno del corpo. La forma sferica e il colore dei chakra nasce dal nostro
sistema percettivo che elabora in questo modo la sua percezione e non dal fatto di
riprodurre fedelmente la realtà fisica dei chakra. Questo significa che i chakra come tali
sono un “fatto esperienziale” indipendentemente dal fatto di trovare o no una
correlazione nella realtà oggettiva in quanto tale.
Questo esempio evidenzia il campo della teoria esperienziale. Una teoria esperienziale
è tale se le sue affermazioni attengono alla realtà fenomenologica. Un'affermazione
o42
inerente alla realtà oggettiva non è un'affermazione esperienziale: in altre parole il fatto
che si possa avere esperienza di qualcosa non è sufficiente per affermare che questo
qualcosa esiste nella realtà oggettiva (in quanto tale). All'opposto, ogni tentativo di
dimostrazione scientifica della realtà fenomenologica è un'invasione di campo
necessariamente destinata a fallire perchè l'oggetto di studio non attiene per
definizione alla Scienza e di conseguenza i metodi scientifici non sono adatti ad
indagarne le leggi.
Allo stesso modo spiegare il senso del sacro che si può vivere in determinate situazioni
non autorizza tout court a utilizzarlo (in ambito esperienziale) per affermare l'esistenza
di Dio. L'esistenza di Dio attiene alla Religione ed è quindi materia di fede avendo le
sue radici nel dogma e non nell'esperienza. Per converso le conoscenze esperienziali
invalidano ogni ricerca del benessere se essa nasce da imposizioni dogmatiche (non
necessariamente religiose) se queste ultime non hanno una radice nell'esperibilità dei
fatti.
In conclusione una teoria esperienziale si muove a livello di oggettività fenomenologica
e le sue asserzioni non mirano alla verità ma all'esperibilità delle stesse. Per sua
definizione la teoria esperienziale non chiede di essere dimostrata né capita, ma
vissuta.
2.8 - COME SI DIBATTE E SI TRASMETTE LA CONOSCENZA Ho già accennato alla dimostrazione come presupposto della verifica di una teoria in
ambito scientifico. La Scienza tramite la dimostrazione dibatte la sua conoscenza. La
Filosofia, che per sua natura non prevede l'esperimento e la dimostrazione “nei fatti”
delle sue teorie, utilizza l'argomentazione per dibattere la sua conoscenza.
Le discipline empiriche non necessitano di argomentazione perchè hanno un legame
nei fatti fenomenologici tuttavia abbiamo già visto come la dimostrazione non possa
trovare spazio nell'ambito della fenomenologia perchè attiene ad una realtà oggettiva
diversa dall'oggettività fenomenologica delle discipline esperienziali.
o43
In ambito esperienziale la condivisione ha lo stesso ruolo che l'argomentazione ha per
la Filosofia e la dimostrazione per la Scienza.
In una prospettiva in cui conoscere significa vivere in prima persona un'esperienza e
quindi ci è dato di conoscere solo in relazione a noi stessi (oggetto e soggetto
coincidono) non si può avere accesso alla conoscenza di un altro. La condivisione
porta a rendere fruibile agli altri le proprie “conoscenze/esperienze”.
Come evidenziato precedentemente fare esperienza prevede un coinvolgimento attivo.
Lo stesso coinvolgimento non è previsto per la Scienza e per la Filosofia, ovvero non è
necessario che io stesso faccia un esperimento per dimostrare qualcosa che ha già
dimostrato un altro. Se chi ha condotto l'esperimento è riuscito a dimostrare ciò che
voleva ed io “capisco” la sua teoria, anche io conosco e ottengo la sua conoscenza.
In ambito esperienziale questo non è valido: conoscere è fare esperienza in prima
persona e di conseguenza anche se un altro ha esperito qualcosa, il fatto che me la
racconti non significa che ora la conosco anch'io. Questo aspetto attivo della
conoscenza esperienziale è ciò che rende importante la condivisione. Il lato attivo di
ricerca dell'esperire ha nella condivisione degli altri la diffusione di ciò che “si può”
conoscere. Ha un ruolo di ispirazione fondamentale nella ricerca attiva delle teorie ed
esperienze che si vogliono fare. Condividere con gli altri significa divulgare che è
possibile conoscere esperienzialmente qualcosa. Tuttavia non è l'unica accezione del
termine condividere.
Un altro aspetto è che la condivisione di un'esperienza vissuta riflette la qualità del
sentire di chi ha fatto esperienza: persone con diverse qualità del sentire vivono la
stessa situazione diversamente, ovvero hanno esperienze diverse e quindi le
condividono, interpretano, in modi diversi. Questo aspetto sarà ripreso più avanti
parlando degli strumenti perchè ha un'implicazione importante per il conduttore di
seminari esperienziali.
L'aspetto più importante del condividere è rendere accessibile all'altro la stessa
esperienza. Come si può sostenere la propria teoria? Non certo dimostrandola! Una
teoria esperienziale non va dimostrata dal suo promulgatore, ma va resa esperibile da
o44
ogni persona. L'autorevolezza di una teoria risiede nella capacità della sua prassi di
rendere esperibile la sua teoria agli altri. Condivisione nel senso di condividere la
conoscenza tenendo conto che conoscere significa vivere. L'autore di una teoria
esperienziale per definizione non può dimostrarla ad un altro, né convincerlo
(argomentando) ma ha la responsabilità metodologica di rendere la sua teoria
esperibile all'altra persona, cioè di individuare, elaborare o proporre esperienze e
metodi che possano permettere all'altra persona di esperire e quindi conoscere la
teoria.
Da qui se ne deduce che se nella Scienza posso condividere (nel senso di accettare)
una teoria perchè dimostrata, in ambito esperienziale posso condividere una teoria
perchè resa esperibile dal suo autore.
La condivisone è lo strumento tramite il quale chi promulga una teoria la rende
adottabile nel panorama delle discipline e teorie esperienziali.
2.9 - CHI È LA FIGURA DI RIFERIMENTO? Qui si presenta un problema di termini: se la figura di riferimento è il filosofo per la
Filosofia e lo scienziato per la Scienza, non vi è ancora un termine che denoti la figura
di riferimento delle discipline esperienziali, tuttavia se ne possono definire le
caratteristiche.
Avevamo notato parlando della necessità di un'epistemologia esperienziale che la
terapia ha già uno stato a cui tendere, ovvero l'assenza di quella precisa malattia.
Questo stato è conosciuto e facilmente definibile se non altro perchè il terapeuta
stesso lo vive. Dall'altra parte la crescita personale ha un problema intrinseco di
definizione dello stato a cui tendere perchè, affinchè si possa definire uno stato a cui
tendere, è necessario che almeno una persona ne faccia esperienza.
Senza uno stato psicofisico a cui tendere ogni metodologia esperienziale può aspirare
ad un vago stato di benessere, o ad un vago senso di miglioramento del proprio stile di
vita senza che questo significhi una reale crescita perchè mancano dei parametri con
o45
cui confrontarsi. In questi casi si può utilizzare la disciplina esperienziale in questione a
fini terapeutici in quanto la risoluzione di patologie è ben riscontrabile, ma la crescita
personale, in mancanza di parametri di riferimento non è definibile. Anzi, non di rado
accade che si rimanga intrappolati nel proprio “raccontarsela” se qualcuno, che ha
conosciuto (vissuto) un'esperienza simile non ci rispecchia la dinamica che non
riusciamo a cogliere.
La figura di riferimento è quella figura che ha fatto e continua a fare un percorso di
crescita volto a sviluppare il suo “sentire” e ad accedere alla conoscenza esperienziale.
La definizione del paradigma esperienziale mira a dare liceità a quel tipo di
conoscenza che la figura di riferimento possiede e che nasce dall'esperienza. La liceità
stessa della divulgabilità della conoscenza esperienziale che dal mondo
fenomenologico di un individuo passa al mondo fenomenologico di un altro individuo è
garantita dal rispetto delle regole del paradigma.
Si evidenzia qui un punto fondamentale che è il momento di prendere in mano.
Nell'introduzione del paradigma esperienziale ho parlato di crescita personale e cura,
di cambiamento e guarigione.
Nel definire il paradigma esperienziale ho sempre utilizzato il termine conoscere senza
mai nominare la guarigione e la crescita.
Perchè?
Concettualmente curare e guarire implicano un'azione ben definita nei suoi effetti che
va da una persona ad un'altra. Anche i termini guarirsi e curasi, sono termini in cui
l'azione del curare, che sarebbe diretta verso, l'esterno torna alla persona che cura e
contemporaneamente ha bisogno di cure.
In ambito esperienziale non si può parlare in questi termini di cura e guarigione. La
metodologia esperienziale è per sua definizione una metodologia in prima persona che
non presuppone necessariamente (ma comunque potrebbe presupporre) un'azione
diretta ad un'altra, anche se l'altra persona è sé stessi. Di conseguenza in ambito
esperienziale non si guarisce, ma si accede al benessere (si fa esperienza del
benessere, si conosce il benessere), non ci si cura, ma si fa esperienza, si conosce
o46
uno stato di salute migliore. L'esperienza del benessere e dello stato di salute sono
solo alcune delle diverse esperienze che si possono fare in ambito esperienziale e di
fatto la maggior parte di esperienze non implicano uno stato di malattia da cui guarirsi.
Se, uscendo dal paradigma, si può dire che la figura di riferimento ha intrapreso un
percorso di guarigione esso è da intendere come un aver avuto accesso a stati di
benessere, soddisfazione, energia (o in qualunque altro modo si voglia definirli)
superiori alla media. La figura di riferimento conosce per esperienza lo stato psicofisico
a cui si vuol giungere ma, cosa più importante, ha integrato in sè gli strumenti (in
termini di strategie, approcci alle situazioni, interpretazioni della realtà fenomenologica
etc.) utili per accedere. Conoscendo lo stato di rifermento a cui si vuole accedere è in
grado di condividerlo, nel suo significato esperienziale, con altri fornendo gli “strumenti
conoscitivi” affinchè anche gli altri possano fare il loro percorso esperienziale di
conoscenza.
L'aspetto importante è che la figura di riferimento non necessariamente vive sempre a
quel livello di esperienza, tuttavia ne è abbastanza vicino da poterne fare anche solo
delle sporadiche esperienze. Ciò che invece è fondamentale che abbia integrato sono
quelle strategie e dinamiche che consentono di “automonitorarsi”, un insieme di
strategie che emergono spontaneamente nell'arco della crescita personale e che
forniscono gli strumenti per poter “camminare da soli”. Il passaggio è simile a quello in
psicanalisi: all'inizio il terapeuta aiuta il paziente a interpretare, segue una fase in cui il
paziente, anche quando non è in seduta, immagina il terapeuta che gli interpreta la
situazione che sta vivendo, e infine giunge a interiorizzare completamente la figura del
terapeuta e a interpretare egli stesso la realtà. Il paziente introietta la metodologia per
accedere alla cura dal terapeuta.
In ambito esperienziale avviene qualcosa di simile e ciò che la figura di riferimento,
nella veste di conduttore di esperienze, passa è l'insieme di strategie (che più avanti
chiameremo metastrategie) che egli stesso adotta e che sono implicite
nell'impostazione stessa dei suoi corsi o seminari.
Questo stesso passaggio ci porta inevitabilmente a toccare l'ultimo aspetto del
o47
paradigma: gli strumenti della metodologia esperienziale.
2.10 - GLI STRUMENTI DELLA METODOLOGIA ESPERIENZIALE In un contesto in cui la conoscenza nasce dall'esperienza gli strumenti per il passaggio
della conoscenza passano inevitabilmente dall'esperienza stessa.
L'esperienza è il metodo tramite il quale si palesa la teoria esperienziale. Tramite
l'esperienza si può cogliere il valore esperienziale di una teoria.
Contemporaneamente però il passaggio di una conoscenza (conoscenza in ambito
esperienziale passa sempre dal fare esperienza) è inestricabilmente legato al fare
esperienza.
Mentre il metodo scientifico utilizza l'esperimento per verificare la teoria e la lezione
teorica (o la lezione pratica in laboratorio) per trasmettere la conoscenza, nella
metodologia esperienziale accesso alla conoscenza e trasmissione della conoscenza
si sovrappongono in parte.
Per esperienza si intende l'esperienza che si può vivere in prima persona nella vita di
tutti i giorni (esperienza nel microcosmo), ma, per la stessa natura della conoscenza in
ambito esperienziale, la trasmissione di conoscenze in un corso o in un seminario,
passa sempre e comunque attraverso l'esperienza (esperienza nel microcosmo).
Macrocosmo e microcosmo individuano due realtà diverse ma con un profondo
legame.
Il macrocosmo è la realtà di tutti i giorni mentre il microcosmo è la realtà “in piccolo” di
un corso o seminario. Il legame tra i due è dato dal fatto che ogni partecipante esprime
nel microcosmo le stesse strategie, modalità relazionali, schemi mentali (i nomi
dipendono dalla teoria stessa che li adotta) che mette in atto nella vita di tutti i giorni.
Quando parliamo di mettere in atto schemi e comportamenti andiamo a toccare
l'aspetto cardine dello strumento.
Nel seminario o corso o workshop il partecipante agisce in prima persona e sente in
prima persona. Ogni conoscenza che passa attraverso l'esperienza, come abbiamo
o48
visto precedentemente, passa attraverso il corpo. Il corpo è lo strumento del
partecipante per accedere alla conoscenza nella misura in cui è “radicato” nel corpo. Il
“sentire” stesso è un sentire il corpo perchè è attraverso di esso che passano emozioni
e sensazioni e non attraverso le facoltà logiche della mente. Ogni esperienza quindi
coinvolge il corpo direttamente nella misura in cui nel corpo si palesano le sensazioni e
le emozioni coinvolte nell'esperienza.
Tuttavia anche le facoltà razionali hanno il loro posto essendo comunque parte
integrante dell'essere umano. La mente (intesa come facoltà logiche e pensiero), viene
coinvolta nella misura in cui restituisce e palesa l'interpretazione della realtà. È
nell'interpretazione della realtà che le strategie comportamentali trovano la loro
giustificazione. Un'interpretazione della realtà che nasce da un sentire con un range
percettivo limitato dalla repressione di troppe emozioni e sensazioni è inevitabilmente
un'interpretazione della realtà orfana di quegli aspetti repressi e quindi incapace di
cogliere tutte le sfumature della realtà che interpreta. Ciò che è importante notare è che
alla mente non si delega un ruolo che spetta tutto l'individuo (corpo compreso) nel suo
insieme.
Spesse volte nel colloquio si da importanza a ciò che il cliente/paziente dice di sé:
questo è un esempio di quando alla mente si delega un ruolo che non le spetta. Se una
persona dice che in una determinata situazione ha agito in un certo modo o agirebbe in
un certo modo non significa che ciò sia vero perchè nella descrizione dell'evento
intervengono tutta una serie di meccanismi esplicitati dalla ricerca in ambito clinico che
distorgono il resoconto allo scopo di preservare l'autostima del cliente/paziente. È nella
relazione e nelle strategie relazionali all'interno della relazione colloquio che il colloquio
stesso conserva il suo valore esperienziale ed in questi termini anche il colloquio è uno
strumento in ambito esperienziale anche se di minor importanza rispetto al seminario in
gruppo.
La natura delle esperienze del seminario è un altro aspetto importante della pratica
esperienziale. Se fare esperienza e conoscere, e la conoscenza empirica si fonda
sull'esperienza, è anche vero, da quello che avevamo detto precedentemente, che
o49
l'esperienza non è da intendere come un qualcosa definibile dall'esterno: fare
esperienza del passeggiare in montagna o del guidare in autostrada non è il tipo di
conoscenza che si ricerca in ambito esperienziale. La conoscenza del mondo
fenomenologico, delle sue regole e di tutto ciò che posso osservare passa
inevitabilmente attraverso la conoscenza di sé. La realtà fenomenologica è
inevitabilmente interconnessa al binomio sè-realtà oggettiva. L'oggettività
fenomenologica ha una natura diversa dalla realtà oggettiva in quanto tale (oggettiva
perchè non coinvolge il sistema percettivo) e risiede nell'uniformità della struttura del
sistema percettivo umano (non dei suoi contenuti).
Detto questo è possibile spiegare la natura delle esperienze nei seminari o workshop.
L'esperienza che si ricerca nel seminario non è un'esperienza simile a quella nella vita
di tutti i giorni: non è il riprodurre un'esperienza che nei suoi aspetti manifesti imita la
realtà di tutti i giorni. Non si imita ad esempio l'uscita a cena del primo appuntamento o
non si tende a riprodurre un colloquio di lavoro.
Viceversa se nella vita di tutti i giorni in ambito ad esempio relazionale agiamo in base
a interpretazioni della realtà, sensazioni ed emozioni ben precise, e la conoscenza
esperienziale passa attraverso la conoscenza di sé, nei seminari e workshop ciò che si
vuole riprodurre della realtà è il vissuto individuale e non il tipo di esperienza manifesta
che lo genera. Ecco che le strutture delle esperienze proposte non sono studiate per
imitare la realtà ma per elicitare quegli stessi vissuti che nella vita di tutti i giorni sono
elicitati da determinate situazioni. Detto in altri termini le esperienze del seminario
elicitano gli stessi vissuti che elicitano le situazioni della vita reale.
Di fatto la stessa situazione reale riprodotta in un workshop non elicita il vissuto
esperienziale con la stessa forza della situazione reale in sé. Ma questo non esclude la
possibilità di utilizzarlo proprio per questo motivo: rivivere la situazione con un
coinvolgimento emotivo meno totalizzante permette al partecipante di poter osservare
“come sono andate le cose” e di poter integrare emozioni e sensazioni che in un primo
momento erano state represse perchè troppo forti. Questo “meccanismo” è utilizzato in
quelle discipline esperienziali che usano il teatro e la drammatizzazione per accedere
o50
al vissuto esperienziale.
Se per il partecipante il corso o il seminario è strumento di esperienza e quindi luogo
privilegiato per fare esperienza/conoscere in uno spazio protetto, per il conduttore (la
figura di riferimento nel suo aspetto di colui che trasmette la “sua” conoscenza) diventa
strumento di trasmissione della conoscenza ma anche luogo privilegiato di verifica
dell'efficacia della sua trasmissione. Non solo, il seminario o il corso, tramite le
condivisioni dei partecipanti (si ricordi il ruolo della condivisione in ambito
esperienziale) è anche un luogo di verifica del passaggio della conoscenza e, sempre
tramite le condivisioni e le osservazioni dei partecipanti in azione, il seminario è
strumento di elaborazione e rielaborazione della teoria stessa.
In quest'ultima frase non sfugge una sorta di contraddizione con quanto detto prima: ho
affermato che la conoscenza esperienziale passa attraverso l'esperienza in prima
persona ed ora affermo che si può “fare teoria esperienziale” attraverso l'osservazione
in terza persona ritrovandosi più in un approccio di tipo scientifico nella misura in cui
l'oggetto di studio differisce dal soggetto che conosce.
La contraddizione è solo apparente: il conduttore ha già sviluppato una teoria
esperienziale tramite l'esperienza diretta ed in questo momento (che è sempre
successivo alla formulazione della teoria) ne verifica la liceità nella misura in cui la può
utilizzare come chiave interpretativa di ciò che osserva e sente condividere dai
partecipanti.
In ambito esperienziale la teoria nasce nell'esperienza in prima persona e poi viene
utilizzata come chiave interpretativa in terza persona, in altri approcci la teoria nasce
dall'osservazione in terza persona e diventa strumento per inferire la struttura della
psiche. Se anche una teoria con aspirazioni scientifiche partisse da un'esperienza
personale, questa di solito viene taciuta o non le viene riconosciuta dagli altri del
settore la stessa importanza che rivestirebbe in un contesto esperienziale. L'aspetto
predominante per la veridicità della teoria resta in questo caso la possibilità di
osservarla in terza persona. In ambito esperienziale invece una teoria può nascere
solo dall'esperienza in prima persona perchè ciò che viene trasferito è essenzialmente
o51
la possibilità di fare la stessa esperienza che il conduttore del gruppo ha fatto prima dei
partecipanti.
Il corso o seminario come strumento di osservazione dei partecipanti assume per il
conduttore un ruolo di “messa alla prova” della sua teoria in termini di pragmaticità
della teoria stessa e di sua funzionalità per accedere a quelle conoscenze esperienziali
a cui egli stesso ha avuto accesso.
Una teoria esperienziale è una teoria le cui affermazioni sono esperibili in prima
persona, è la traduzione in parole di un vissuto esperienziale che per sua stessa natura
è trasmissibile, ovvero esperibile da chiunque (la struttura del sistema percettivo è
identico per ogni persona), tuttavia la traduzione in parole del vissuto esperienziale
necessita di verifica in termini di aderenza all'esperienza personale e di efficacia e
pragmaticità nel trasmetterla.
Accogliere questa responsabilità consente al conduttore di rendere trasmissibile e
condivisibile la sua teoria.
Il seminario per sua natura ha anche un'altra caratteristica. Nel colloquio psicologico
(non necessariamente clinico) si palesano schemi mentali, strategie comportamentali
etc. e i nomi come sempre dipendono dalla particolare teoria di riferimento (e che
rimanendo in tema potremmo definire genericamente come i contenuti del sistema
percettivo), tuttavia sono i contenuti di un singolo. Nel colloquio si mostrano i contenuti
di una persona alla volta e per la stessa metodologia il professionista (sia esso
psicologo o councelor o coach) non può osservare un numero sufficientemente
significativo (in termini statistici) di persone alla volta. Dall'altra parte il convegno o
lezione in aula permette di osservare un numero significativo di persone, ma per la
stessa natura della lezione in aula non consente di far emergere i contenuti
esperienziali. Infine la terapia in gruppo (che comunque non prevede, di solito, un
numero di partecipanti superiore a dieci) consente da un lato di far emergere alcuni
contenuti emotivi con un numero maggiore rispetto al colloquio, tuttavia esso non è
sufficientemente elevato per avere valore statistico, inoltre i contenuti non sono
direttamente visibili nell'esperienza ma si limitano al dialogo.
o52
Il seminario per sua natura è in una situazione privilegiata per far emergere
caratteristiche e dinamiche che diversamente non sarebbe possibile osservare. La
struttura del seminario consente di accedere ai contenuti di un numero statisticamente
significativo di persone e, in quei casi in cui il seminario non è singolo ma prevede un
vero e proprio percorso di seminari esperienziali, anche per un intervallo di tempo
sufficientemente lungo da poter cogliere la modifica nel tempo del contenuto del
sistema percettivo di un numero elevato di persone.
Da questo si può dedurre come possa essere uno strumento indispensabile al
conduttore che nel seminario “mette alla prova” la sua teoria esperienziale nella misura
in cui può essere uno schema interpretativo valido della realtà fenomenologica.
2.11 - CONCLUSIONI Abbiamo definito nei paragrafi precedenti le basi metodologiche e le linee guida per
poter fare ricerca in ambito esperienziale.
Questa prima definizione (è possibile che la si possa rivedere) mette in luce quegli
aspetti e peculiarità che consapevolmente o inconsapevolmente ogni disciplina
esperienziale utilizza per accedere alla conoscenza.
Tuttavia ogni disciplina esperienziale ha caratteristiche proprie che la differenziano
dalle altre. Queste caratteristiche però sono riconducibili al modo in cui adempiono le
richieste del paradigma. Così possiamo trovare approcci esperienziali in cui sviluppare
il sentire significa addestrarsi a sentire ed altri approcci che prediligono “sciogliere i
nodi” che impediscono di sentire. In altri casi un approccio è orientato verso l'utilizzo di
una tecnica ben precisa ed allo sviluppo della stessa per coglierne gli insegnamenti
che da essa derivano, in altri casi un approccio utilizza diverse tecniche per
“conoscere” i diversi insegnamenti delle tecniche usate. Inoltre in alcuni approcci il
conduttore resta sullo sfondo e non si lascia coinvolgere dalle dinamiche dei
partecipanti, mentre in altri il conduttore entra in relazione con i partecipanti mettendosi
in gioco in prima persona.
o53
Le caratteristiche chiave del paradigma esperienziale che restano univoche per tutti i
metodi sono la definizione di conoscenza intesa in termini di conoscenza vissuta e non
teorica, l'oggetto di conoscenza che è sempre la realtà fenomenologica, il corpo e il
sentire, la condivisione e il metodo esperienziale come strumento di trasmissione della
conoscenza. E d'altronde non potrebbe essere diversamente perchè altrimenti ci si
muoverebbe su un piano diverso da quello esperienziale e di conseguenza sarebbero
necessari altri metodi e altri approcci.
Viceversa la possibilità di avere un proprio paradigma di riferimento per chi si muove
nell'ambito delle discipline esperienziali dà valore epistemologico ed autorevolezza
mentre evita invasioni di campo nell'ambito del suo operato.
L'autorevolezza di una qualsiasi disciplina nasce dall'avere un corpus metodologico ed
epistemologico che definisca il campo di validità delle sue affermazioni, non nasce
dall'ispirarsi o dal richiamarsi ad altre teorie ben più accreditate.
Il fatto che un metodo si ispiri alla Medicina Quantistica non significa che è scientifico!
Introdurre termini delle Scienza utilizzandoli senza conoscerne le radici storiche e i
metodi che li hanno definiti non significa rendere scientificamente plausibile la propria
teoria.
In questi anni il termine scientifico è stato utilizzato in due accezioni, quella che gli è
propria in termini di corpus di conoscenze che derivano da un preciso metodo di
indagine della realtà ed una impropria ovvero Scienza come autorevolezza. Discipline
che con il metodo scientifico non hanno niente a che fare perchè il loro oggetto di
studio non ha niente a che fare con l'oggetto di studio della Scienza si affannano a
dare qualche barlume di scientificità alle loro teorie, ma risultano solo un'accozzaglia di
pseudo affermazioni simil-scientifiche che inevitabilmente lasciano il tempo che trovano
nell'ambiente scientifico. Dall'altra parte incontrano l'attenzione (non positiva
ovviamente) di scientisti, più che di scienziati, che dall'autorevolezza che dalla Scienza
deriva pretendono l'applicazione del metodo scientifico anche in quei contesti in cui
l'oggetto di conoscenza non attiene alla Scienza e la dimostrazione non ha il minimo
significato.
o54
L'esplicitazione del paradigma esperienziale, come comune sentire di chi pratica in
ambito esperienziale, ha lo scopo di affrancarsi da scientismi inutili ma anche di evitare
di sfociare in dogmatismi che non si prestano all'esplorazione esperienziale.
Solo trovando una propria identità epistemologica le discipline esperienziali possono
trovare il loro posto nell'ambito delle discipline di conoscenza divenendo anche
proficue per quelle scienze umanistiche che mirano alla conoscenza scientifica
dell'uomo e che di fatto già utilizzano le conoscenze empiriche delle loro applicazioni
pratiche. Allo stesso modo la conoscenza dell'uomo in termini scientifici può essere un
valido aiuto per le discipline esperienziali se esso è utilizzato come spunto di lavoro e
non come ricerca di autorevolezza.
Nella misura in cui si espliciterà il proprio paradigma di riferimento e ad esso ci si
atterrà, le discipline esperienziali potranno creare un valido e proficuo dialogo con le
altre discipline di conoscenza perchè vanno a coprire quello spazio della conoscenza
lasciato libero e che è la conoscenza tramite l'esperienza.
3.0 - L'APPROCCIO EMPIRICO DEL PROF. MICHEL HARDY
3.1 - INTRODUZIONE Questa terza parte prende in considerazione l'Approccio Empirico del prof. Michel
Hardy. L'Approccio Empirico del prof. Michel Hardy è una teoria esperienziale che
come tale si muove all'interno del paradigma precedentemente esplicitato. Lo scopo è
quello di illustrare con un esempio cosa si intende per ricerca esperienziale e teoria
esperienziale, quali possono essere i campi di applicazione e come si colloca nel
panorama delle “discipline di conoscenza”.
Ho conosciuto questo approccio nel 1999, allora non era ancora l'Approccio Empirico
che conosciamo oggi, anzi ne era ben distante dalla sua enunciazione attuale
o55
provenendo dal Pensiero Positivo di Luise Hay; tuttavia se ne poteva intuire il futuro
eclettismo metodologico che avrebbe portato alla formulazione di una teoria
esperienziale unitaria sebbene caratterizzata da una molteplicità di tecniche
esperienziali.
Conoscendo il professor Hardy da diversi anni ho potuto seguire i diversi sviluppi e in
particolare conoscere il suo percorso formativo prima e durante la nascita
dell'Approccio Empirico così come è formalmente enunciato oggi.
L'Approccio Empirico nella sua formulazione attuale è una teoria esperienziale che
nasce dalle esperienze e dalle conoscenze (intese come conoscenze esperienziali) del
suo fondatore, di conseguenza tutta la scuola esperienziale della Libera Università
Michel Hardy non ha lo scopo di “capire” i suoi insegnamenti, ma di vivere in prima
persona quanto formalmente enunciato. Non si chiede di aderire o non aderire a
conoscenze intellettuali, ma di sperimentarsi e lasciar emergere quelle conoscenze che
inevitabilmente emergono quando ci si ”da il permesso di sentire”.
L'Approccio Empirico nasce e si muove nell'ambito della crescita personale e di
conseguenza presenta come effetto secondario anche la cura psicofisica, tuttavia
l'espressione approccio fa riferimento non solo a un ambito terapeutico o di crescita
personale ma si estende come approccio ai più diversi campi.
Si noti come ho già spiegato perchè nell'enunciazione del paradigma esperienziale
abbia sempre utilizzato il termine conoscenza, anzichè cura, guarigione o terapia.
Se è vero che non “ci si cura” o non “si cura” ma si accede al benessere e alla salute
intesa non solo come stato psico-fisico di assenza di patologie, ma anche nella sua
componente esperienziale di benessere, energia, stabilità dell'umore e approccio
propositivo alla vita, è anche vero che da questa frase si deduce che si possa
accedere ad altre “conoscenze” che non hanno direttamente a che fare con la cura o la
crescita personale rimanendo in ambito esperienziale.
Lo Sciamanesimo così come descritto da Mircea Eliade in quello che è considerata la
più grande opera sul tema mostra una disciplina esperienziale praticata da millenni che
fa della realtà fenomenologica il suo campo di studio. L'antropologo Michael Harner ha
o56
raccolto i metodi degli sciamani individuando uno Sciamanesimo “core” in cui insegna
esperienzialmente le tecniche comuni a tutti i tipi di Sciamanesimo. Nello
Sciamanesimo è molto importante la relazione con ogni evento naturale, con gli spiriti
della natura e lo sciamano entra in contatto con essi tramite il viaggio sciamanico. Il
viaggio sciamanico ha molte similitudini con le visualizzazione e “entrare in contatto
con gli spiriti” ha molte similitudini con altri tipi di visualizzazione in cui si visualizza una
figura positiva e con essa si instaura un dialogo.
Al di là di ogni pregiudizio su questa metodologia millenaria si può notare come per noi
occidentali il viaggio sciamanico e il dialogo con gli spiriti possa essere ben compreso
come proiezione del nostro contenuto inconscio sull'oggetto; così, fare un viaggio
sciamanico e incontrare lo spirito di un albero è interpretabile psicanaliticamente come
l'utilizzo della visualizzazione per proiettare sull'albero le parti inconsce di sé. L'albero
così inteso ci restituisce conoscenze che sono già nostre ma che diversamente non
emergevano.
E tuttavia l'aspetto esperienziale è quello di “dialogare con l'albero”. Un dialogo che
non ricerca la cura o la guarigione (non sempre almeno) ma che ci mostra come si
possa approcciare la natura esperienzialmente e conoscerla in quanto parte della
nostra realtà fenomenologica. Il paradigma esperienziale si muove e si applica molto
oltre la crescita personale o la cura cogliendo l'aspetto esperienziale di realtà oggettive
in sé, in quanto la realtà oggettiva rientra ed è percepita dal nostro sistema percettivo
diventando quindi anche realtà fenomenologica. La metodologia esperienziale si presta
ad approcciare la realtà evidenziando gli aspetti esperienziali della stessa e lasciando
gli aspetti oggettivi in quanto tali alla Scienza.
Tornando al nostro sciamano egli imparerà esperienzialmente che dialogando con un
albero potrà ottenere un tipo di informazioni e dialogando con una pietra ne otterrà
altre: se da una parte è vero che sono sue proiezioni, dall'altra è anche vero che
determinati stimoli (albero o pietra) li elicitano ed altri stimoli invece no. Muovendosi
all'interno della realtà fenomenologica può accedere a quelle conoscenze. Dall'ipnosi
sappiamo bene quanto la realtà fenomenologica che si sperimenta sotto ipnosi abbia
o57
conseguenze consistenti nella vita reale.
L'esempio dello Sciamanesimo serve ad illustrare come il paradigma esperienziale si
possa applicare anche in quei contesti che esulano dalla crescita personale in senso
stretto purchè si riconosca di muoversi all'interno della realtà fenomenologica e del suo
modello di oggettività evitando di estendere i risultati alla realtà in quanto tale (priva del
sistema percettivo che la “costruisce”).
L'Approccio Empirico nella formulazione della sua teoria tocca di fatto passaggi che
esulano da un concetto di crescita personale in senso stretto approcciando la realtà
nella sua componente esperienziale per cogliere quelle relazioni sistemiche che la
realtà fenomenologica presenta, ma che essendo fenomenologiche non rientrano nel
campo della Scienza. Nel paradigma scientifico sistemico le componenti relazionali
sono prese in considerazione, anzi, il paradigma sistemico si fonda su esse, tuttavia
sono considerate nella loro componente oggettiva in quanto tale escludendo quegli
aspetti dal contenuto esperienziale che invece nell'Approccio Empirico rivestono un
ruolo importante in quanto direttamente interconnessi con la realtà oggettiva
fenomenologica.
Il fatto che l'oggetto di studio appartenga alla fenomenologia risulta chiaro: asserire che
il rispetto e l'assolvimento dei ruoli sistemici all'interno della famiglia porta alla
sensazione di essere al proprio posto e questa apre la strada a cogliere la sacralità
della vita in ogni nascita evidenzia la componente esperienziale degli enunciati
dell'Approccio Empirico. Al di là della definizione puntuale dei ruoli sistemici il
significato dell'asserzione è facilmente intuibile, ciò che interessa cogliere è come essa
si muova all'interno di una realtà fenomenologica. Se apparentemente è definibile in
senso oggettivo in quanto tale il concetto di ruolo sistemico e rispetto di ruolo
sistemico, nella prassi, da dove nasce la definizione? Quale ricerca potrebbe
individuare il ruolo sistemico ad esempio della madre escludendo qualsiasi
componente fenomenologica? I ruoli di padre e madre si sono modificati nel corso dei
secoli fino ad arrivare a quello che ad oggi sembra un ribaltamento dei ruoli e di
conseguenza il ruolo sistemico potrebbe dipendere allora da una questione sociale...
o58
Solo considerando l'aspetto esperienziale della questione ci si può rendere conto
(ognuno per sé e nella propria esperienza) dell'effetto di un “ribaltamento dei ruoli”, che
va ben al di là del non sentirsi a proprio agio, ma al di là degli effetti, quello che preme
osservare è che la definizione stessa passa attraverso la componente esperienziale. Di
fatto anche la Psicologia clinica ha evidenziato come esistano dei ruoli ben precisi tra
uomo e donna e il mancato rispetto non permette una vita serena, tuttavia anche la
Psicologia clinica ha dedotto questo fatto dall'osservazione clinica dei pazienti (leggi
vissuto esperienziale dei pazienti).
Se da un lato la precedente asserzione evidenzia come anche un'asserzione
dell'Approccio Empirico sia a prima vista oggettivizzabile in quanto tale, in realtà passi
per una componente esperienziale non indifferente, dall'altro evidenzia come sia
strettamente dipendente dal sistema percettivo umano. Dubito fortemente che un cane
percepisca la sacralità della vita (in base alle strutture cognitiva di cui è dotato) così
come dubito che possa percepire la “compensazione” nella sua realtà fenomenologica.
Viceversa l'uomo coglie legami e leggi fenomenologiche che, sebbene “li veda” nella
realtà tuttavia sono percepibili perchè la loro stessa percezione è prevista dal suo
sistema percettivo, di conseguenza enunciati del tipo precedente si muovono all'interno
di una realtà fenomenologica.
Detto in altri termini la conoscenza a livello intellettuale espressa nell'Approccio
Empirico può essere condivisibile o meno, capibile o meno, tuttavia la sua conoscenza
prevede un coinvolgimento in prima persona per coglierne implicazioni ed effetti. In
base a quanto detto per le discipline esperienziali e al loro pari, nell'Approccio Empirico
si accede alla conoscenza sistemica tramite il sentire, diversamente si può “capire” il
sistema, ma non è ciò a cui si mira all'interno della scuola.
Le asserzioni dell'Approccio Empirico prima che conoscenza intellettuale sono la
conoscenza esperienziale del suo fondatore e in quanto conoscenza esperienziale
richiedono una trasmissione esperienziale in base ai canoni del paradigma a cui
appartengono. In base allo stesso paradigma la loro accettazione o meno non nasce
dalla dimostrazione (ambito scientifico) ma dalla condivisibilità/esperibilità delle
o59
esperienze (alle quali si accede tramite il sentire).
3.2 - UN APPROCCIO ECLETTICO. I CONTRIBUTI DELLE DISCIPLINE ESPERIENZIALI
l'Approccio Empirico nasce dall'esperienza del prof Michel Hardy. In essa trova il suo
valore esperienziale senza la cui esperibilità si ridurrebbe a mera Filosofia o
speculazione intellettuale. La trasmissibilità dell'esperienza e gli strumenti adottati sono
ciò che la rendono una disciplina esperienziale. In quanto esperienziale nasce dalle
esperienze e dalla successive rielaborazioni delle esperienze fatte dal suo fondatore.
Le esperienze non si limitano alle esperienze di vita, ma toccano in primis il percorso
nelle discipline esperienziali che il prof. Michel Hardy ha conosciuto e praticato.
Si potrebbe affrontare la questione da un approccio storico tuttavia non è quello che
adotterò perchè le esperienze non si limitano a quelle che enuncerò ma tratterò solo le
discipline cardine dalle quali si è potuti giungere alla formulazione completa
dell'Approccio Empirico. Nel presentare questi campi opererò quindi una rielaborazione
personale che non va intesa come stravolgimento degli eventi ma viene fatta per
presentare in forma più strutturata e accessibile alla comprensione l'Approccio
Empirico stesso.
L'Approccio Empirico non nasce dal nulla come si può ben capire, ma origina da tre
esperienze (conoscenze) fondamentali dalle quali e sopratutto dalla rilettura integrata
delle quali nasce la teoria empirica che sta alla base del metdo.
La teoria empirica, essendo una teoria esperienziale prevede l'esperibilità dei suoi
enunciati e di conseguenza le stesse teorie che ne sono alla base sono esperienziali
nel senso paradigmatico del termine.
Le tre teorie sono il Pensiero Positivo di Luise Hay, il Tantra (nella formulazione
“occidentalizzata di E. e M. Zadra) e le costellazioni familiari tramandate da Bert
Hellinger
o60
il pensiero positivo nella formulazione di Luise Hay è stato il punto di inizio del
percorso esperienziale e, sebbene con alcune modifiche, lo è tuttora. Al di là della
liceità di questo metodo da un lato amato e dall'altro controverso e che ha dato adito a
diverse interpretazioni erronee esso resta uno dei metodi più diretti in ambito
esperienziale per accedere a quella parte emotiva e immediata in cui si sono
strutturate tutte le credenze sul mondo che ci portiamo dietro fin da bambini e il
“bambino interiore” del metodo stesso si è rivelata negli anni una delle strategie
esperienziali più proficue per accedere alle nostre emozioni inespresse. Tramite
l’accesso alle proprie emozioni (non solo attuali, ma anche vecchie e represse da
decenni) si può incontrare quella sulla quale si è incentrata la ricerca esperienziale e
personale del prof. Michel Hardy e sempre sulla quale ha pubblicato diversi lavori che
hanno per tema il rilascio emotivo: la rabbia.
La rabbia riveste un ruolo cardine nell'Approccio Empirico avendo ben tre seminari che
la trattano. La rabbia è una delle emozioni più represse nel nostro tempo e proprio
questa repressione le fa ruotare intorno una serie di dinamiche e di problematiche
tipiche di questa emozione. La rabbia però non è solo intesa come emozione da
elaborare, ma è rapportata anche alle altre due discipline esperienziali alla base del
metodo andando ben oltre al semplice rilascio emotivo proprio di altri approcci.
L'esperienza del recupero della propria vita emotiva e del riavvicinarsi alle proprie
emozioni represse, in particolare la rabbia, è ancora oggi il punto di partenza per chi si
avvicina all'Approccio Empirico. Vedremo in seguito dinamiche e ruolo della rabbia e di
altre emozioni in relazione alle discipline esperienziali e alla teoria esperienziale che
compongono l'Approccio Empirico.
Il Tantra è famoso perchè utilizza il sesso e la sessualità come porta di accesso alle
nostre dinamiche più profonde. Esso ha origini molto antiche e le sue radici e
metodologie sono ampiamente riportate nei libri di E. e M. Zadra e quindi non mi
soffermerò su questo. L'aspetto che invece mi preme sottolineare è come il lavoro
tantrico, essendo collegato alla sessualità, porta l'attenzione (più di ogni altra
metodologia) alla distinzione tra i due sessi. Gli aspetti maschili e gli aspetti femminili
o61
sono necessariamente sotto i riflettori in un metodo che ha nella sessualità il suo
strumento principale. In un contesto di questo tipo l'esperienza degli aspetti cardine del
proprio sesso biologico emerge e si presenta alla coscienza mentre mascolinità e
femminilità si mostrano nella loro forza palesando la loro manifestazione non solo in
ambito sessuale ma in ogni aspetto della vita. Si può esistere come uomo o come
donna, nell'essere umano non è contemplata l'asessualità, di conseguenza gli aspetti
legati al sesso biologico emergono e non hanno a che vedere solo con il lato fisico, ma
la psiche tutta ne è coinvolta e influenzata dal sesso dell'individuo.
Le costellazioni familiari, infine, sono il metodo, la tecnica rielaborata e divulgata da
Bert Hellinger. Ci sono diversi libri sull'argomento e di conseguenza non è necessario
soffermarsi su tecniche e metodi. Ciò che invece preme sottolineare è la componente
sistemica dell'approccio. Ad essere sotto i riflettori in una costellazione familiare non è
solo l'individuo, ma la sua rete di relazioni. Tuttavia non è da intendere in modo simile
alla terapia familiare in cui è tutta la famiglia ad essere coinvolta nella terapia stessa.
Le costellazioni familiari non sono una terapia della famiglia, sebbene le relazioni
familiari siano al centro del metodo (è importante notare però che il metodo viene
utilizzato con successo non solo in ambito familiare ma in ogni ambito in cui sia
presente un sistema di relazioni). Le costellazioni familiari evidenziano più di ogni altro
metodo (e di fatto non sono le uniche) che viviamo all'interno di un sistema con regole
e leggi. Il sistema presenta un ordine che nasce e si palesa dallo stato dei membri del
sistema. Ripristinando l'ordine si agisce direttamente sul benessere dei suoi membri.
Il concetto di moto dell'anima, inteso come spinta ad agire in armonia con l'ordine o le
parole catartiche (quelle parole che i partecipanti della costellazione dicono per
rientrare nell'ordine) nascono da questa metodologia, ma nell'Approccio Empirico
rivestono un ruolo fondamentale nel momento in cui sono poste in relazioni con le altre
discipline esperienziali che lo compongono.
“Il tutto è più della somma delle singole parti”. L'Approccio Empirico di Michel Hardy
non è la semplice unione di esperienze in discipline diverse.
o62
Se quelle delineate sono le discipline cardine dell'Approccio Empirico, tuttavia esse
non sono le sole, ma sopratutto ciò che l'Approccio Empirico mira non è far conoscere
tre discipline.
Così se le discipline che compongono l'approccio esperienziale (e che vanno oltre le
tre enunciate e ritenute cardine per i contributi che han dato alla strutturazione del
metodo) sono un percorso obbligato per chi si avvicina all'Approccio Empirico, la
conoscenza della stesse non è la conoscenza che l'Approccio Empirico porta con sé.
La conoscenza che l'Approccio Empirico trasmette è insito nella conoscenza che
deriva dal processo di riallineamento del proprio “sentire” “all'ordine naturale”, inteso
come fatto esperibile e non come teoria o dogma. Il “processo di riallineamento
all'ordine” porta con sé l'esperibilità e l'accesso a quella conoscenza esperienziale in
cui le relazioni tra stato psicofisico e accadimenti esterni e le regolarità
fenomenologiche che possono essere considerate vere e proprie leggi, si possono
manifestare nella realtà fenomenica riducendo quelle alterazioni del sentire che
rendono sfuggevole la percezione dell'ordine stesso o, detto in altri termini, riducendo
l'influenza delle storie pregresse e delle limitazioni percettive che esse impongono e
che non permettono il manifestarsi della conoscenza esperienziale empirica.
Al di là delle metodologie e delle discipline che lo compongono, l'Approccio Empirico si
propone come come metodo di conoscenza della realtà fenomenologica, come studio
delle regole sistemiche che dalla conoscenza (esperienziale) di essa ne derivano
fornendo dei parametri di riferimento per riconoscere quelle “distorsioni percettive” che
nascendo da storie di vita pregresse sono sintomatiche di un sentire alterato.
Nella multiformità delle percezioni che si presentano come realtà fenomenologica
nell'esperienza della sua oggettività che nasce da un sentire “riallineato” l'Approccio
Empirico sceglie di studiare, ma in un contesto esperienziale è più corretta
l'espressione sceglie di tradurre in parole, le relazioni sistemiche che coinvolgono in
egual misura la realtà interiore e la realtà fenomenologica, comprese le loro interazioni
reciproche. Le leggi che ne derivano sono da interpretare come fatto fenomenologico
empiricamente osservabile nella realtà fenomenologica stessa.
o63
Per la “traduzione in parole” dell'esperienza percettiva dell'ordine empirico il prof Michel
Hardy si avvale (e noi con lui) di alcuni termini che dalle tre discipline cardine
derivano, tuttavia gli stessi concetti esperienziali trovano, posti in relazioni tra loro,
significati nuovi e inediti. In questa prospettiva gli studi sulla rabbia e sul rilascio
emotivo del prof Michel Hardy, la mascolinità e femminilità intesi nel senso più vasto
propri del Tantra e l'ordine sistemico delle costellazioni familiari si integrano in un
corpus unitario di conoscenze esperienziali funzionali all'accedere all'esperienza
dell'ordine e al riallineamento con esso tramite il riallineamento del proprio sentire.
La rabbia, quando non adeguata alla situazione, non è solo più un'emozione
potenzialmente distruttiva da accogliere, ma al pari di altre emozioni acquista il ruolo di
“indicatore sistemico”, ovvero un indicatore sintomatico della “distanza dall'ordine”, di
un “debito empirico” che accumuliamo tenendoci distanti con le proprie scelte, con i
propri atti o con i propri atti mancati dall'ordine e che percepiamo come un peso che ci
portiamo dietro o come “quel qualcosa che non va” nella nostra vita. La stessa distanza
dall'ordine e dalle sue regole è riflessa nel mancato assolvimento del porprio ruolo
empirico in quanto uomini o in quanto donne. L'accesso agli aspetti maschili o
femminili con i suoi codici è reso possibile nella misura in cui i nostri indicatori empirici
lo consentono. Di conseguenza vi è una stretta relazione tra gli indicatori empirici,
l'allineamento all'ordine e l'accesso al proprio codice maschile e femminile tale per cui
si può definire il suo divenire nell'asserzione esperienziale della metamorfosi empirica
che si delinea come passaggio inevitabile da un ruolo sistemico alterato ad un altro. I
ruoli sistemici alterati sono ruoli in cui non avviene la giusta miscela di componenti
maschili e femminili all'interno della stessa persona. I singoli ruoli sono ben definiti
nelle opere di Michel Hardy, qui ci basti osservare come esempio il ruolo alterato della
donna yang. La donna yang è una donna che non riuscendo ad accedere al proprio
patrimonio femminile (yin) compensa, nella vita, con strategie maschili: pronta ad agire,
si pone come guida, ha il pelo sullo stomaco etc. Ogni donna yang ha conosciuto
(all'interno del percorso accademico) la relazione tra la sua rabbia repressa e la sua
compensazione di strategie femminili con quelle maschili e di come le strategie stesse
o64
la portassero fuori dall'ordine. “Fuori dall'ordine” resta una pura espressione teorica se
non riconosciuta nella sua componente esperienziale, ma sentire che la propria vita
non è a posto, sentire che ci sono sempre degli intoppi in tutto ciò che si fa, sentire
difficoltà e problemi in ogni relazione, insomma sentire che “niente è in ordine” con
tutta la rabbia (e la rabbia è un ottimo indicatore) che ne consegue sono vissuti
esperienziali di “essere fuori dall'ordine”.
Tuttavia la conoscenza dell'ordine e delle sue leggi non nasce dal “capire” l'ordine,
anzi, il concetto stesso di ordine è spesse volte ostico in chi vede in esso una forza
superiore che lo determina e non gli permette di essere libero. Viceversa l'ordine non è
una realtà superiore da ipostatizzare e aderire ad essa, ma è un evento percettivo che
porta a riconoscere il collegamento profondo di ogni cosa con ogni altra nella nostra
realtà fenomenologica e che abbiamo tutti in un modo o nell'altro percepito nella nostra
vita quando abbiamo sentito che “va bene così” che ogni cosa è al suo posto, o
quando ci siamo sentiti fortunati etc. Proprio nell'accedere all'ordine siamo in grado di
riconoscere quando questo viene infranto e cogliere con “occhio empirico” quel
legame tra emozioni, eventi e strategie comportamentali che apparirebbero come
slegate tra loro se la nostra qualità del sentire non ci consentisse di percepirne il
legame.
È importante osservare che percepire l'ordine va di pari passo con il sentire e con il
risolvere quelle tematiche proprie della nostra vita che dall'ordine ci tengono distanti e
che ci portano a strategie comportamentali disfunzionali. Non è capendo le regole
dell'ordine che ad esso accedo o che grazie al capire modifico le mie strategie. È una
conoscenza esperienziale e come tale cambiamento, sentire e conoscere l'ordine
vanno di pari passo. Le regole dell'ordine empirico si rivelano mentre noi cambiamo,
non prima. Come definito nelle discipline esperienziali quindi la conoscenza implica un
cambiamento e il cambiamento è necessario per accedere alla conoscenza.
Se la conoscenza dell'ordine nasce nell'esperienza dello stesso, la sua trasmissione e
formalizzazione teorica, intesa come traduzione in parole di un'esperienza, necessitano
anche di una verifica di trasmissibilità della conoscenza e contemporaneamente di una
o65
verifica in termini di applicazione della propria chiave interpretativa che dalla
conoscenza esperienziale dell'ordine e delle relazioni ne deriva.
Una teoria esperienziale non è accoglibile in quanto vera (paradigma scientifico) ma in
quanto trasferibile.
Lo strumento del seminario, come già anticipato prima, presenta delle peculiarità
interessanti. Nel seminario è possibile osservare le strategie di un elevato numero di
persone in un microcosmo che elicita gli stessi vissuti della vita di tutti i giorni e per
come è strutturato il percorso accademico della LUMH anche per tempi piuttosto
lunghi.
Tramite l'osservazione empirica (metodo di osservazione simile per strutturazione
all'osservazione antropologica ma che applica come schema di riferimento le
conoscenze dell'Approccio Empirico) si è potuto constatare come le persone seguono
un cambiamento che non sarebbe coglibile con altri strumenti. Le strategie che
emergono dal riallinearsi al proprio sentire tramite lo scioglimento delle proprie
tematiche dolorose (che va di pari passo con la percepibilità dell'ordine empirico) non
sono casuali o inerenti a un “generico” stare meglio, ma convergono verso due punti
ben precisi che si differenziano in base al sesso del partecipante.
Le donne convergono verso strategie femminili mentre gli uomini verso strategie
maschili.
Questo consente di definire un ruolo sistemico funzionale nella misura in cui questo
ruolo emerge come punto a cui si tende nel percorso di crescita (e grazie a questo,
anche di definire per contrasto i ruoli alterati)
Un ruolo integrato, ovvero il ruolo in cui l'essere umano è in contatto con le strategie
del proprio sesso biologico e ad esse si integrano quelle dell'altro sesso, è ciò che è
empiricamente osservabile come “meta” del percorso, il ciò a cui tendere. La
definizione di questo ruolo che nasce dall'osservazione empirica è ciò che meglio
rende, come formalizzazione teorica, la percezione di sé stessi che si ha quando si
accede alla conoscenza esperienziale dell'ordine.
L'accesso alla conoscenza avviene solo tramite il cambiamento. Di fatto c'è un legame
o66
tra ruolo integrato, percepibilità dell'ordine e indicatori sistemici che ogni partecipante
conosce come fatto esperienziale durante il suo percorso.
Se l'esperienza dell'ordine e dello stato di integrazione sono esperienze immediate, nel
senso di non mediate dalla razionalità, la loro definizione formale ha richiesto diverso
tempo nella misura in cui necessità di riorganizzare l'esperienza multiforme in
un'espressione linguistica lineare e razionalizzabile.
Da quanto detto finora appare chiaro come l'Approccio Empirico si ponga in relazione
alle altre discipline esperienziali prima e alle discipline di conoscenza poi.
L'approccio esperienziale va a cogliere quegli aspetti relazionali e sistemici all'interno
della realtà fenomenologica.
L'approccio esperienziale mira a definire quelle leggi che regolano le relazioni
sistemiche e che sfuggono al dominio della Scienza da un lato, ma anche della
Filosofia, nella misura in cui l'oggetto di conoscenza non attiene alla realtà in quanto
tale, ma coinvolge direttamente il soggetto conoscente. Un oggetto di conoscenza che
non è conoscibile in terza persona non rientra nella Scienza, ma potrebbe rientrare
nella Filosofia. Tuttavia, non può esserci conoscenza senza un cambiamento del
soggetto conoscente, di conseguenza il “capire” che è la facoltà per eccellenza della
Scienza e della Filosofia non trova spazio in un oggetto dove il cambiamento è la
conditio sine qua non per fare conoscenza. Se si può “capire” che è necessario
cambiare per conoscere esperienzialmente, tuttavia, “capirlo” non basta perchè il
cambiamento e di conseguenza la conoscenza avvenga.
La relazione e il porsi in relazione con le altre discipline esperienziali è un aspetto
importante che al momento non è ancora stato colto, in ambiente esperienziale, in tutta
la sua portata.
Rimanendo in tema Approccio Empirico, il sentire e quindi la possibilità di riallinearlo
porta con sé un aspetto pragmatico non indifferente.
Di fatto non esiste parametro di misura del riallineamento al sentire. Se è vero che un
sentire allineato consente di accedere all'esperienza dell'ordine e si traduce nel
cambiare verso un ruolo integrato, allo stesso modo come posso essere certo che il
o67
sentire sia al massimo grado di riallineamento? Di fatto si può solo affermare che un
sentire SUFFICIENTEMENTE riallineato consente di accedere all'esperienza
dell'ordine. Sufficientemente riallineato cosa significherebbe? Sufficientemente
riallineato a sentire l'ordine.... è in sé una tautologia!
È vero però che l'oggettività fenomenologica è tale perchè condividiamo tutti la stessa
struttura del sistema percettivo e che il sentire, nella misura in cui ci porta fuori dalle
nostre “soggettività” (che nascono da schemi mentali, fattori non risolti etc.) prospetta
tout court un'unica realtà fenomenologica esperibile. Di conseguenza se scuole diverse
con metodi diversi mirano all'accesso di questa stessa realtà, è anche evidente che le
loro conoscenze convergeranno, o quanto meno si potranno stabilire dei parallelismi.
Similmente alla validità concorrente del metodo scientifico il confronto come riscontro
(detto anche “condivisione”) diventa un metodo transdisciplinare utile come parametro
di verifica delle proprie conoscenze. Parleremo più approfonditamente di ciò nel
capitolo “lo stato dell'arte”. In questa sede ci basti osservare che nell'Approccio
Empirico la compresenza di discipline esperienziali diverse non genera una lotta tra
discipline o conflitti teorici ma ogni disciplina aggiunge un qualcosa in termini di metodo
e di fatti esperibili che concorrono a rendere più accessibile la conoscenza
esperienziale e tuttavia l'integrazione tra metodi non può avvenire in base alla tecnica
che una disciplina porta con sé, ma alla sua funzionalità per accedere alla conoscenza
in termini di “far luce su“ aspetti diversi delle conoscenze empiriche. La tecnica non è
fine a sé stessa ma funzionale (e la sua funzionalità va ricercata) per accedere alla
conoscenza empirica, diversamente resterebbe solo un collage di tecniche che non ha
niente a che vedere con l'Approccio Empirico.
3.3 - TEORIA DEL SEMINARIO E TEORIA NEL SEMINARIO. L'ENERGIA DEL GRUPPO
Abbiamo prima delineato l'oggetto di conoscenza dell'Approccio Empirico, esso è
individuabile nelle relazioni sistemiche, nelle leggi che nell'ordine empirico si
o68
manifestano e che, in quanto disciplina esperienziale, fanno parte della realtà
fenomenologica. L'oggetto di studio nasce nell'esperienza in prima persona del suo
fondatore e la plausibilità di ciò che l'Approccio Empirico asserisce nasce dalla
trasferibilità esperienziale dei suoi contenuti.
Prima di passare al metodo è necessario però soffermarsi sullo strumento: il seminario.
Come vedremo ogni seminario porta con sé una parte del tutto, tuttavia ci sono aspetti
dello strumento che sono alla base del seminario stesso come metodo: l'energia del
gruppo e la teoria nel seminario.
Abbiamo visto precedentemente come il seminario esperienziale è tale perchè formato
da una serie strutturata di esperienze che mirano a rendere esperibili le conoscenze
esperienziali. Le esperienze consentono di accedere alla conoscenza o di evidenziare
quelle parti in ombra di sé che non consentono di sentire per poterle “risolvere”. Detto
in termini più in linea con le conoscenze empiriche le esperienze dei seminari
consentono di mettere in luce e assolvere al proprio debito empirico.
Nel capitolo precedente abbiamo invece fatto luce su un aspetto del seminario
strettamente funzionale al conduttore e che risiede nella possibilità di osservare in
profondità, un numero elevato di persone per un tempo sufficientemente lungo.
Non è questa la sede per approfondire il seminario come strumento, tuttavia è
necessario considerare altri due aspetti del seminario.
Nella Psicologia del lavoro e delle organizzazioni si definisce clima (un termine
fortemente esperienziale) quella componente più sfuggevole dell'organizzazione che
ha a che vedere con l'ambiente di lavoro, con le relazioni (buone o cattive) con i capi, i
colleghi, con il tipo di lavoro, se soddisfacente o meno, con il livello di richieste
lavorative. Tutta la letteratura psicologica sul tema tenta di individuare quei parametri
oggettivizzabili per definire un aspetto esperienziale altrimenti difficile da concretizzare
operativamente.
Sul versante clinico lo stesso termine non viene utilizzato. Si parla di relazione buona o
no con il terapeuta, di capacità empatiche etc. ma il termine esperienziale clima non
viene adoperato.
o69
Tuttavia anche il clima di una relazione terapeutica esiste, ma il numero minore delle
persone coinvolte è tale per cui non si palesa in modo evidente nella relazione, mentre
in ambito organizzativo il clima inteso esperienzialmente si manifesta subito fin dal
primo contatto con l'organizzazione.
Nel seminario, proprio perchè utilizza un gruppo di persone e non una relazione a due,
l'aspetto esperienziale del clima si manifesta subito. Al pari dell'ambito organizzativo la
sensazione di trovarsi in un bel clima o in un clima pesante (inteso nello stesso
significato usuale nella vita di tutti i giorni) è un fatto esperienziale che balza subito
all'occhio (ma sarebbe meglio dire al “sentire”). In ambito organizzativo è stato definito
nelle sue componenti manifeste e oggettivizzabili in termine di relazioni, stress, lavoro
e ambiente lavorativo. In una relazione terapeutica a due non si utilizza il termine clima
ma il rapporto tra relazione terapeuta paziente e setting è confrontabile con la
definizione di ambiente lavorativo e relazione con capi e colleghi.
Il seminario per sua natura può mettere insieme la componente esperienziale del
termine clima con quelle componenti di setting terapeutico che trovano parallelismi
nella definizione di clima lavorativo. In ambito esperienziale si preferisce però il termine
energia o energia del gruppo, del posto etc.
Come la letteratura clinica evidenzia la qualità della relazione è un prerequisito
fondamentale per la terapia allo stesso modo nel seminario quegli aspetti in relazione
con il clima, che in ambito di terapia a due si esauriscono nel setting e nella qualità
relazionale, sono un prerequisito fondamentale perchè il cambiamento avvenga.
Se da un lato questo è abbastanza banale, dall'altro voglio mettere in luce un aspetto
fondamentale dell'Approccio Empirico che si ritrova anche, ma non sempre, in altre
discipline esperienziali. La gestione in ambito esperienziale del clima e la sua
definizione non sono formali: non vi è un “capire” cosa rende l'energia del gruppo più o
meno funzionale. Non si definiscono formalmente quelle componenti oggettivizzabili
che concorrono a creare una “buona energia”. La definizione di energia come anche il
suo lato pragmatico nascono nell'esperienza e nel sentire. Il sentire diventa il metro di
misura dell'energia del gruppo e grazie al proprio sentire l'energia si crea: cogliere la
o70
musica più adatta, il momento esatto per intervenire, la disposizione, delle candele e
dei materassini, la luce nella stanza e l'esperienza adatta al momento adatto sono
parte integrante del percorso formativo ed avvengono a livello esperienziale. La piena
consapevolezza della propria natura esperienziale si traduce nell'Approccio Empirico in
una formazione fortemente esperienziale anche per quegli aspetti che potrebbero
essere “capiti” ma il cui capire non genera tout court una conoscenza fattiva.
Ogni seminario è guidato dall'energia del gruppo e il conduttore, nel cogliere l'energia
del gruppo, adegua (senza stravolgere) esperienze e tempi del seminario stesso.
Questo aspetto è importante perchè alla base dello strumento seminario dell'Approccio
Empirico. Il seminario è uno strumento flessibile che segue le energie del gruppo e se
da una parte resta fedele alla sua tematica dall'altra calibra tempi e modi in relazione
all'energia che c'è e che esso stesso genera in relazione al gruppo.
L'altra componente trasversale di ogni seminario e che sembra in contrasto con la
natura esperienziale dello stesso è la teoria.
Ogni seminario ha una parte teorica sebbene meno consistente rispetto alla parte
esperienziale.
Da una parte vi è la teoria del seminario, intesa come concettualizzazione della pratica
esperienziale dello stesso in termini di pragmaticità e funzionalità dello strumento.
Dall'altra vi è la teoria esperienziale che è il corpus di asserzioni esperibili e che
compongono, nel nostro caso l'Approccio Empirico. Infine è presente la teoria nel
seminario: essa non ha funzione di formalizzare alcuna pratica o di definirla, né
tantomeno è essa stessa sempre (ma in alcuni casi sì) una teoria esperibile. La sua
funzione è pragmatica e mira a inquadrare ciò che si fa. Nell'attimo stesso in cui si
parla di qualcosa ecco che quel qualcosa dentro di noi si “sente toccato”. La teoria nel
seminario, al di là dell'essere vera o esperibile, ha la funzione di stimolare, portare
l'attenzione, allertare quelle strategie corporee che attiviamo in determinate situazioni.
Viene utilizzata prima di un'esperienza importante per “tranquillizzare” la mente
all'esperienza che si sta preparando, per ottenere quel “sì” dalla mente che consente di
vivere l'esperienza senza che la mente interferisca, o interferisca in misura minore, al
o71
fine di rendere più efficace l'esperienza stessa.
Un altro uso della teoria risiede nella sua praticità. Spesse volte è una teoria semplice
e diretta ma che ha il ruolo di essere utile per chi la ascolta perchè pone in luce diversi
aspetti che prima erano confusi o slagati. Un esempio in questi termini è la teoria
dell'agency. Una teoria a buccia di cipolla (lo strato di agency, del carettere, delle
emozioni e così via) che dal punto di vista strettamente esplicativo è molto riduttiva, ma
che ha nella sua definizione di agency un forte potere illuminante per far luce su quelle
situazioni in cui come un'agenzia (agency) ci “compriamo l'amore”. La teoria non serve
al conduttore per capire quando il partecipante stesso si “compra l'amore” ma serva al
partecipante per notare e portare l'attenzione su quando egli stesso si “compra
l'amore”.
La teoria nel seminario non va intesa nel suo aspetto di conoscenza ma di praticità
nella misura in cui dà al partecipante stesso la possibilità di osservarsi e di aprirsi la
strada per cogliere e dare un senso a quegli aspetti di sé che diversamente
apparirebbero slegati da una visione unitaria di sé stesso.
C'è un aspetto del seminario che si rivela molto bene nel percorso accademico della
LUMH e sebbene sia proprio di ogni seminario esperienziale, la natura della sequenza
dei seminari all'interno del percorso lo mette in evidenza.
I seminari non sono a scompartimenti stagno. In un seminario non si esplora
semplicemente la tematica inerente il seminario. Un seminario sul sesso non evidenzia
solo le problematiche sessuali del partecipante così come il seminario sulla rabbia non
evidenzia solo la relazione con questa emozione. Il seminario non nasce e non si
evolve dalla tematica sua. Ogni partecipante in un seminario mette in gioco ciò che c'è
in quel momento della sua vita, il tema del seminario ne evidenzia quelle componenti in
relazione al tema stesso, ma a essere coinvolto è tutta la problematica o il nodo o tema
dominante che si palesa sotto la luce del tema del seminario stesso. Detto in altri
termini i diversi seminari sono specchi in cui il tema dominante della persona in quel
periodo si riflette nelle sue componenti inerenti alla tematica del seminario stesso.
È un approccio diverso per metodo rispetto alle terapie a due in cui il terapeuta ascolta
o72
il paziente e si parla il “linguaggio” del paziente. La metodologia esperienziale non
prende un'altra strada. Va oltre il singolo modo del partecipante di vedere il suo
problema e lo illumina da più angoli in relazione alla conoscenza esperienziale che
vuole trasmettere. Quel nodo che il partecipante porta nel gioco, il dolore alla base del
suo debito empirico, viene reso osservabile da più visuali in modo da ampliare la
visuale e permettere una conoscenza esperienziale a tutto tondo di ciò che il
partecipante porta nel gioco.
Gli aspetti visti in questo e nei precedenti paragrafi inerenti al seminario come
strumento sono quei principi che ogni conduttore adotta e che in particolare vengono
adottati nella loro componente pragmatica all'interno dell'Approccio Empirico e che dei
quali è necessario tenere conto per rendere trasferibile la conoscenza esperienziale.
3.4 - STRATEGIE E METASTRATEGIE NEI SEMINARI G.Bateson utilizza ampliamente il concetto di conoscenza e metaconoscenza nei sui
scritti, la metaconoscenza è la conoscenza sulla conoscenza. Allo stesso modo utilizzo
il termine metastrategie per indicare quelle strategie che fanno emergere le strategie.
Nell'ottica del paradigma esperienziale in cui una conoscenza esperienziale è tale se
trasferibile esperienzialmente da chi conosce a chi vuole conoscere è necessario
individuare quel passaggio fondamentale che consente il trasferimento della
conoscenza. Non è sufficiente in questi termini semplicemente affermare di “curare”, o
di risolvere i conflitti etc. In un ottica terapeutica la crescita è “un andare via da” uno
stato di malessere, viceversa in un'ottica esperienziale la crescita è “un andare verso”
la conoscenza esperienziale, quindi se in un'ottica terapeutica la cura è un andare via
da uno stato di malessere verso qualsiasi altro stato in cui il malessere non c'è, in
ambito esperienziale l'andare verso implica necessariamente che il conduttore del
seminario non si limiti a portare via da una situazione di disagio il partecipante, ma lo
porti verso quello stato che egli stesso conosce. Nel fare ciò il conduttore inserisce
quelle metastrategie che permettono di accedere a quella conoscenza e non a un’altra,
o73
che permettono di andare verso uno stato psicofisico e non andare semplicemente via
da uno stato psicofisico di disagio. Esse sono le stesse metastrategie la cui
integrazione ha consentito al conduttore di accedere alla conoscenza esperienziale.
Ognuno di noi è portatore di strategie individuabili nel modo di affrontare la realtà ed il
legame tra strategie comportamentali e stato psicofisico risiede nel fatto che in uno
stato psicofisico salutare emergono strategie adeguate, viceversa in chi vive disagio,
automaticamente le sue strategie sono disfunzionali. La relazione causale è di tipo
sistemico, se è vero che uno stato psicofisico salutare porta a strategie funzionali è
anche vero che strategie funzionali portano a uno stato psicofisico saltuare come
dimostrano diverse terapie che agiscono prima sul livello del comportamento per avere
un effetto sulla salute psicofisica.
Il termine strategia nel contesto empirico non ha nulla a che vedere con la strategia
intesa come ragionamento o studio della situazione come potrebbe essere una
strategia militare.
La strategia ha il significato di schema di comportamento che emerge nella situazione,
di fatto spesse volte è inconscio ed è il modello comportamentale che nel corso dei
millenni la natura ha sviluppato come modo di far fronte alle situazioni.
Nell'Approccio Empirico si distinguono strategie di apertura nei confronti della vita e
delle situazioni e strategie di chiusura mentre parallelamente è individuabile una
strategia più funzionale rispetto a tutte le altre e che naturalmente emergerebbe se non
fosse impossibilitata da tutta una serie di paure ed emozioni. La nostra consegna
familiare in termini di modello genitoriale avuto determina quali strategie metteremo in
atto da adulti nella misura in cui permette o impedisce la strategia più funzionale.
Strategie maschili e strategie femminili appartenenti per natura ad un ruolo piuttosto
che a un altro si compensano a vicenda nella misura in cui, come uomini ci è stato
impedito l'accesso a strategie maschili o come donne a quelle femminili. L'uomo
sempre gentile e remissivo compensa con la gentilezza la sua impossibilità ad
accedere alla sua forza: compensa con una strategia yin la mancanza di una strategia
yang che sarebbe propria del suo bagaglio naturale. La strategia compensativa è una
o74
strategia di chiusura nella propria paura (in questo caso) mentre una strategia
adeguata al ruolo è una strategia di apertura verso la realtà fenomenica.
Se queste sono le strategie, quali sono le metastrategie? Le metastrategie sono quelle
strategie rivelatesi efficaci nel far emergere le strategie più adeguate.
La metastrategia più diffusa e nello stesso tempo più inefficace è la razionalità quando
la si vuole utilizzare per cambiare. Ragioniamo e ragioniamo su un probblema, diciamo
a noi stessi cosa si deve fare, abbiamo capito come funziona e cosa bisognerebbe
fare, capiamo da dove nascono i nostri problemi etc. ...ma tutto resta uguale! Ci
illudiamo che se capiamo da dove arrivano i nostri problemi allora il problema si risolve,
nonostante la realtà empirica ci riveli tutt'altro siamo convinti che se ci spieghiamo che
non c'è niente da aver paura gli attacchi di panico passino e crediamo che il
ragionamento influisca sul nostro vissuto emotivo.
La realtà empirica del problema è ben altra e la mente razionale ha un legame debole
con le emozioni, rivelandosi solo come repressore di un contenuto emotivo doloroso.
La metastrategia più usata da tutti è in realtà una metastrategia inefficace, di
conseguenza è necessario individuare quelle metastrategie, ovvero quelle strategie
che portano alla luce le strategie più efficaci per vivere la vita, che si rivelano più
funzionali al cambiamento perché permettono di osservare aspetti diversi del problema
o perché mettono in una disposizione interiore, in uno stato emotivo, più efficace o
ancora perché donano una carica di energia tale da essere più pronti a reagire pro
positivamente alla situazione...
Ogni situazione presenta una carica empirica in sé che richiede una risposta adeguata
al ruolo di chi è coinvolto. Ma se questa risposta è inibita e la strategia adeguata non
parte, come si accede ad essa?
Il passaggio da quando una persona non riesce a esprimere una strategia a quando
invece riesce è preceduto da una serie di passaggi in cui una metastrategia rende
possibile far emergere la risposta adeguata. Anzi, interiorizzare una metastrategia
consente di far emergere una serie di strategie che da essa possono esprimersi.
Se l'Approccio Empirico fosse una Filosofia cercherei di argomentare quanto detto con
o75
ragionamenti più o meno arguti, ma trattandosi di una disciplina esperienziale utilizzerò
la condivisione per rendere meglio l'idea.
Nel primo anno di seminari esperienziali avevo imparato il lavoro allo
specchio. Fare un'affermazione positiva di fronte allo specchio genera una
reazione emotiva interna che evidenzia come ci si sente se l'affermazione
fatta fosse una nostra realtà.
Durante il seminario che avevo fatto da poco avevo potuto osservare
empiricamente come ciò che mi succede nella vita o ciò che non mi succede
dipenda dal mio assetto emotivo. In quel periodo ero uno studente senza
uno stipendio e non potevo permettermi di pagare un affitto ma avevo
bisogno di allontanarmi dai miei per un po'. Possibilità di lavoro part time non
ce n'erano e mi dicevo che senza uno stipendio non potevo pagare un affitto
e quindi come potevo trovare casa? Riflettere era la mia metastrategia che
generava solo la strategia di lamentarsi per la mancanza di lavoro e gli
esami da dare. A quel punto mi sono detto – provo – e così ho iniziato
davanti allo specchio ad affermare che avevo una casa, a fantasticarci sopra
etc. fino ad abituarmi di averla. Era il 2000, di lì a poco in Piemonte è
avvenuta l'alluvione, mia nonna per un po’ non poteva stare a casa perchè
era allagata ed è venuta a Chivasso. Tutti noi abbiamo chiesto in giro per
trovarle una casa e così io ho chiesto a un mio amico se sapeva se c'erano
case in affitto e lui mi ha detto – ne parlo con i miei perchè si è liberata quella
che affittavamo, un piccolo monolocale ma si trova a Castagneto Po. Basta
che paghi le spese e va bene così - . mia nonna non guida e la conseguenza
è stata ovvia. Sono andato io! La metastrategia di accettare di poter avere
una casa che è nata dal lavoro allo specchio è stata la metastrategia che ha
fatto emergere la strategia di chiedere piuttosto che lamentarmi.
Parecchi anni dopo prima di poter aprire lo studio lavoravo full time in
un'azienda. Avrei voluto utilizzare un macchinario piuttosto costoso e non
o76
potevo permettermelo, tuttavia sentivo che era adatto a me e “accettai di
poterlo avere e che qualcosa sarebbe successo”. Nello stesso periodo la mia
azienda dava gli incentivi per il licenziamento ed erano piuttosto consistenti.
Mi informai e di lì a poco mi licenziai, diedi l'esame di stato, aprii lo studio e
...comprai il macchinario senza indebitarmi!
L'aspetto importante per quel che concerne le metastrategie è che la metastrategia di
accettare che sia possibile mi ha consentito di far emergere la strategia di chiedere e di
agire come se fosse veramente possibile, per arrivare a realizzarlo effettivamente.
La prima volta il ricorso alla metastrategia è stato consapevole e preparato tramite
l'esperienza del lavoro allo specchio, la seconda volta non era necessaria e la
metastrategia era sufficientemente integrata perchè potessi adottarla. La strategia
efficace non è stata la metastrategia, ma la strategia di chiedere, la metastrategia è
stata “solo” la strategia che mi ha consentito di chiedere visto che io ero uno che a
chiedere aveva molte difficoltà. Chi chiede naturalmente è come se avesse già in sé,
inconsapevolmente, la metastrategia di accettare che sia possibile, ma per chi non
possiede questa metastrategia è necessario impararla esperienzialmente.
Passando a un livello più macro, chi accede a una determinata conoscenza
esperienziale ha integrato in sé quelle metastrategie che fanno emergere le strategie
legate a quella conoscenza perchè le metastrategie sono come delle valvole di
sicurezza che scattano quando rischiamo di finire preda del nostro dolore e rimaniamo
legati alle paure, alla rabbia etc. impedendoci di sentire e di essere efficaci esprimendo
la strategia giusta. C'è un forte legame tra sentire, dolore che ognuno porta nel gioco e
accesso alla conoscenza esperienziale. Alla conoscenza si accede, poi si torna indietro
quando il dolore impedisce di sentire, poi si riaccede fino a quando non si stabilizza e
si rimane in quella conoscenza raggiunta. Una volta che uno ha vissuto lo stato
psicofisico legato alla conoscenza esperienziale appena toccata se lo ricorda come
un'eco, tuttavia non basta. Questo andare e tornare da quello stato psicofisico è
condiviso dai partecipanti come fare due passi avanti e uno indietro e mostra come
o77
solo la piena integrazione di esperienze funzionali consenta di avere un accesso
stabile allo stato desiderato.
Allo stesso modo chi conosce esperienzialmente l'ordine ha la necessità di aver
integrato quelle metastrategie che consentono di permanere in quella conoscenza.
Nei seminari esperienziali il conduttore trasferisce la sua conoscenza tramite l'utilizzo
consapevole o inconsapevole delle sue metastrategie. Esse si rivelano solo in un
attento esame dei seminari.
Nel suo libro il prof Miche Hardy nota come il pensiero positivo ad ogni costo non sia
sufficiente e svicoli il singolo da una realtà fenomenologica più articolata, infatti nei
seminari del percorso sono insite metastrategie che vanno ben oltre l'accettazione
delle possibilità proprie del primo Pensiero Positivo.
Quando vissi per la prima volta un seminario esperienziale la cosa che mi
affascinò più di ogni altra era l'energia che si genera in un seminario. Mi
apparve come una magia!
Col tempo mi resi conto di come le cose non avvengono solo quando ne
accettiamo la possibilità o ci apriamo ad esse, ma imparai a riconoscere
esperienzialmente il ruolo dell'energia (intesa come fatto fenomenologico)
in relazione all'accadere degli eventi. Quando un cambiamento consistente
nella mia vita sta per accadere lo percepisco come un periodo luminoso,
una sicurezza interiore e una serie di energie che circolano nell'aria. Creare
quell'energia nel seminario è una metastrategia che consente il
cambiamento e che ho imparato a portare nella mia vita ricercando quello
stato energetico e adottando una serie di misure per generarlo, alcune
delle quali riesco ad adottare sempre, altre invece no. L'aspetto energetico,
il sentirsi energizzatisi sono rivelati alla mia coscienza negli ultimi mesi e
chiedono di essere integrati come metastrategia per stabilizzare la mia
qualità della vita a un livello più alto e per accedere a quelle conoscenze
esperienziali ad esso abbinate.
o78
Come abbiamo visto parlando del paradigma esperienziale il conduttore trasferisce la
sua conoscenza. Nell'Approccio Empirico la conoscenza viene trasferita
esperienzialmente e ad essa si può accedere perchè nei seminari sono contenuti
quelle metastrategie che consentono di accedere e di stabilizzarsi in quello stato
psicofisico che si abbina alla conoscenza esperienziale dell'ordine empirico.
In questi termini la conoscenza dell'ordine diventa esperienza dell'ordine, ma senza le
metastrategie rimarrebbe pura speculazione filosofica o un semplice modello di
osservare la realtà.
Le metastrategie nei seminari altro non sono che le metastrategie interiorizzate da chi
ha formulato la teoria esperienziale e che trasferisce esperienzialmente inserendole nel
seminario. Non sono la singola esperienza, perchè la stessa strategia si ottiene in
esperienze diverse, esse si manifestano anche nelle esperienze proposte ma non solo,
infatti sono insite nella gestione del seminario, nel setting, nell'ordine delle esperienze,
nel metodo per decidere le esperienze da adottare in relazione all'energia del gruppo e
hanno a che vedere con tutto ciò che il conduttore ritiene efficace per la riuscita del
seminario e che macrocosmicamente ritiene efficace nella sua vita.
Per il partecipante integrare le metastrategie passategli consente di camminare sulle
proprie gambe nella vita. È un processo lungo, doloroso ma fondamentale per
conoscere (vivere) la vita.
Allo stesso modo ricordo un episodio che mi è successo con un mio amico quando
avevamo letto un passaggio di un libro di Psicologia. L'autore è un personaggio famoso
di cui tralascerò il nome, molto prolifico nelle medicine alternative. L'autore evidenziava
l'importanza di vivere nel momento presente sollecitando il lettore a vivere nel
momento presente. Sembrava un gran pensiero e un utile consiglio.... ma la mia
domanda era -lui vive nel momento presente?- ovvero -la sua scuola porta a vivere nel
momento presente o è solo uno di quei buoni propositi e utili consigli che lasciano il
tempo che trovano?- il primo a formulare il concetto esperienziale di vivere nel
momento presente fu Buddha e da allora chiunque può ripetere pappagalescamente le
o79
stesse parole, tuttavia non hanno la stessa valenza. In Buddha riflettevano un vissuto
esperienziale, in questo autore un semplice monito passato come saggio. In mancanza
di metastrategie adatte e trasmissibili non ha senso l'affermazione vivere nel momento
presente: ancora più assurda lo diventa quando viene passata come utile consiglio: tu
che sei del ramo non riesci a vivere nel momento presente e inciti un altro a farlo che
generalmente non è neanche un esperto del settore???
In altri termini: solo se la figura di riferimento delle discipline esperienziali (per usare il
termine del capitolo precedente) conosce esperienzialmente ciò di cui parla allora la
sua affermazione ha una valenza profonda che nasce da tutte le metastrategie
acquisite che gli consento di vivere ciò che afferma, diversamente resta pura
speculazione quando non è pubblicità ingannevole o specchietto per le allodole. Di
fatto il trasferimento di una teoria esperienziale non nasce dalla capacità di dare buoni
consigli ma dalla capacità di trasferire la conoscenza tramite gli strumenti delle
discipline esperienziali e questo avviene attraverso la strutturazione degli stessi in base
alle metastrategie rivelatesi efficaci.
La differenza tra una teoria esperienziale e una speculazione non risiede nella teoria in
sé, ma nella metodologia: i buoni consigli funzionano (a volte) quando l'altro riesce a
metterli in pratica, ma quando non riesce? Che si fa ? Ovvero esiste nel metodo il
“piano B”? Una teoria esperienziale non è tale per quello che dice, ma rivela la sua
profondità nella misura in cui contiene anche una teoria del “non accesso alla
conoscenza”, una teoria esperibile che renda conto e gestisca quelle situazioni in cui
non si può accedere alla conoscenza. L'Approccio Empirico non sarebbe esperienziale
se si limitasse ad affermare che esiste un ordine naturale senza considerare il debito
sistemico, ovvero quell'aspetto che tiene distante la persona dall'ordine, e non sapesse
gestirlo rendendo il debito assolvibile. Di fatto nelle pure speculazioni e nei buoni
propositi del “viviamo tutti nel tempo presente” il buon proposito è espresso, ma di
contraltare non vi è una pari conoscenza e gestione di quando “il tempo presente non
lo si vive”.
Nel capitolo dedicato alla metodologia esperienziale abbiamo visto come la figura del
o80
conduttore renda la sua teoria esperibile “condividendola” tramite lo strumento
esperienziale del seminario. I capitoli successivi inerenti i seminari mostrano il binomio
conduttore-strumento nell'ambito dell'Approccio Empirico e in qualità di praticante
utilizzerò la condivisione personale per “dare un'idea o ispirare” secondo la
metodologia esperienziale stessa. Viceversa il modello esperienziale inerente il debito
empirico ovvero quella parte della teoria che tratta del mancato accesso alla
conoscenza e il relativo modello del cambiamento verranno trattati nei capitoli
successivi inerenti il sentire, il non sentire e il tornare a sentire.
3.5 - LO STATO DI ECCELLENZA: QUEL LEGAME COL MONDO FENOMENICO
Nel '95 era appena finita la mia prima relazione importante. Sebbene il mio
interesse per la Psicologia mi avesse già portato a iscrivermi a questa
facoltà, fu quello il primo momento in cui conobbi esperienzialmente la
stretta relazione con il mondo fenomenico. Prima di lei avevo sempre avuto
qualcuna, sebbene non mi consideri “bello”, mi considero nella media, a
qualcuna piaccio e a qualcuna no, ma dalla fine di quella relazione mi
trovai da un giorno all'altro a non piacere a nessuna, a vedere il mondo con
un senso di estraneità e più “scuro”, insomma, nel giro di una sera, la mia
realtà fenomenologica era cambiata di colpo. Di fatto i miei lineamenti non
erano cambiati dal giorno alla notte, e allora com'è che nessuna mi trovava
più “carino”? Nemmeno la luce del sole era cambiata... com'è che vedevo
tutto più scuro e distante?
Fu un'esperienza forte ma penso che fosse stata illuminante nella mia
scelta di “lavorare su di me” perchè era chiaro che ciò che esperivo non
dipendesse da realtà esterne, ma da me e da qualcosa in me: era il mio
“mondo interiore” che mi presentava un diverso mondo esteriore.
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Il cambiamento, come abbiamo visto, è alla base della possibilità di esperire e di
conoscere. Nell'Approccio Empirico l'espressione stato di eccellenza indica quel
particolare stato caratterizzato dalla massima funzionalità sistemica. Nell'uomo è
individuato come il ruolo integrato: l'uomo yang integrato e la donna yin integrata. Lo
stato di eccellenza nell'essere umano si rivela come quel particolare stato in cui è
possibile conoscere esperienzialmente l'ordine. Stati sistemicamente meno funzionali
consentono l'accesso alla conoscenza dell'ordine in modo parziale quando addirittura
non la impediscono. Sebbene uno stato meno funzionale consenta di “capire” l'ordine,
non consente di conoscerlo esperienzialmente.
Nei seminari relativi allo stato di eccellenza e ai ruoli sistemici si rivelano le
metastrategie utili ad accedere a quello stato.
Il lavoro allo specchio di cui ho precedentemente parlato, il portare l'attenzione sui
propri “devo” nella vita, il rilascio emotivo, il “perdono” e l'espressione d'amore, insieme
all'agency di cui abbiamo già parlato sono parti integranti di una metastrategia in cui
riacquisire consapevolmente la propria libertà al di là delle imposizioni inconsce che ci
si pone (“devo”), ricontattare quella parte bambina (bambino interiore) che resta in noi
come “conoscenza esperienziale non consapevole” e osservare cosa ha imparato in
termini di come presentarsi per essere amata (agency) permette di riaccedere a quelle
emozioni represse in particolare la rabbia, associate al non esprimersi per non perdere
l'amore, mentre il rilascio emotivo delle stesse permette di fare esperienza del
benessere che consegue dall'esprimere le proprie emozioni. Questo ciclo è una
metastrategia che ci si porterà dietro nella vita di ogni giorno al di là dei singoli esercizi
ed esperienze che hanno consentito di esperirla. Questo tipo di metastrategia porta
alla luce la relazione tra il proprio stato emotivo (non sempre di eccellenza) e ciò che ci
accade nella vita di tutti i giorni.
Essere o non essere nel proprio stato di eccellenza non dipende da situazioni esterne,
se una persona è spesso arrabbiata, se è spesso triste, se qualcosa va sempre storto
non ha a che vedere con il mondo esterno, ma con il proprio mondo interiore. Senza un
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accesso ad esso e senza poter cogliere la relazione tra sé e il mondo fenomenologico
non può esserci il cambiamento.
L'ordine empirico è un ordine d'amore, non ovviamente inteso come l'amore romantico
in stile telenovelas, ma neanche l'amore semplicemente inteso come accettazione e
che va di moda in molti metodi esperienziali New Age. Sebbene anch'esso sia una
parte dell'amore esso è solo parziale, al pari di questo amore yin esiste anche un
amore yang fatto di regole e di guida. Queste due forme d'amore sono la qualità
propria dei due ruoli sistemici fondamentali nell'evoluzione, quello del padre e della
madre. Cogliere esperienzialmente la nostra relazione con l'amore, ovvero ciò che
esperienzialmente abbiamo imparato su esso in termini di “cosa fare per ottenerlo” e la
qualità d'amore che i nostri genitori ci hanno fornito come modello è un passaggio
fondamentale per collegare l'amore con le emozioni represse, esse sono gli indicatori
sistemici del nostro stato di eccellenza.
In particolare paura, rabbia tristezza hanno un ruolo fondamentale nel determinare a
quali strategie del proprio sesso biologico si potrà accedere, esse si rivelano nei ruoli
relazionali di vittima e carnefice.
La metastrategia di potersi vivere in entrambi i ruoli permette di esperire direttamente
come un ruolo porta con sé un lato luce inevitabilmente compensato e associato ad un
lato ombra. Se la vittima può bearsi della sua innocenza e bontà, inevitabilmente si
renderà conto come non potrà esimersi dalla sua percezione di impotenza e scarsa
autostima in un mondo in cui “tutto va sempre male” e “ce l'hanno tutti con me”.
Viceversa, sperimentarsi nel lato opposto, del carnefice, permette di coglierne il lato
luce che ogni vittima si nega e in relazione ad esso può cogliere l'effetto che quel lato
suscita su di lei (non è facile per una vittima cogliere il piacere del potere, anzi spesse
volte si prova molta colpa per la propria forza).
Nel ruolo di vittima o di carnefice emergono quelle strategie yin o yang che si
associano ai ruoli empirici e che hanno nella rabbia repressa il loro humus emotivo
nella misura in cui la rabbia spinge troppo o troppo poco perchè la paura ha il
sopravvento. La gestione della propria rabbia passa dal semplice rilascio emotivo al
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riconoscimento della stessa come moto empirico del bambino verso il padre, il cui
riappropriarsi della stessa permette al figlio o figlia di gestirla e di renderla propria
alleata.
La metastrategia del viversi sia come vittima che come carnefice viene portata nella
vita di tutti i giorni. Solo dall'accettazione del porprio lato opposto nasce la possibilità
rendere la propria rabbia un'alleata nella vita di tutti i giorni così come il riconoscersi in
quegli aspetti tipici del proprio ruolo alterato permette di cogliere quando si reprime la
rabbia e quando non la si gestisce o la si esprime nel modo sbagliato.
Sopratutto la relazione con la rabbia svela la vera natura compensativa e disfunzionale
di molte strategie ritenute invece lodevoli. La gentilezza, l'essere amico di tutti, “non mi
arrabbio mai” hanno la loro radice nella paura più che nell'amore e la conoscenza
empirica del proprio ruolo alterato ne mette in luce esperienzialmente la loro natura
come strategie di chiusura e di paura atte a compensare la non accessibilità alle
proprie strategie vitali più funzionali allo stesso modo in cui strategie di forza e di sfida
nelle donne nascono dalla rabbia per non sentirsi riconosciute dal padre come tali più
che nella loro forza. Infatti la forza “al femminile” quando è veramente tale ha un ruolo
di sostegno delle qualità femminili.
Il riconoscere la radice delle proprie strategie e ricollocarle nell'ambito di una visione
empirica non è sufficiente per accedere alle proprie strategie vitali.
L'accesso ad esse è possibile tramite il recupero di quella strategia che conoscono
molto bene gli adolescenti e che nel fare gruppo fornisce ad ogni uomo la
metastrategia più adeguata per recuperare la sue naturali strategie yang, così come
fornisce alla donna l'accesso alle sue strategie yin. Nell'ambito della teoria del
cambiamento dell'Approccio Empirico riveste un ruolo importante il rispecchiamento
empirico tale per cui rispecchiarsi nell'altro consente di accedere a quelle strategie che
l'altro già adotta.
La metastrategia di fare gruppo tra uomini o tra donne permette di ricollegarsi al
proprio essere maschile o femminile.
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Ho partecipato a diversi cerchi degli uomini nel seminario Maschile e
Femminile e poco per volta ho incominciato a cogliere molti aspetti che
prima sfuggivano alla mia percezione. La sfida, la gerarchia che da essa
nasce e il proprio ruolo all'interno di essa si sono arricchite della
percezione delle richieste che dal mio ruolo percepivo come lecite. Non
sono richieste precise di fare una cosa o un'altra, ma risuonano dentro
come un moto interiore, un sentirsi chiamati ad assolvere un compito che è
implicitamente richiesto nel ruolo gerarchico che occupo. Non è facilmente
definibile ma si presenta come la richiesta di essere pronti e reattivi
riconoscendo la situazione che richiede un intervento. Una richiesta che
sento pervenire da Michel in quanto Capo che da le regole con la sua
presenza.
In questo passaggio è evidente come si possa avere anche una prima percezione
dell'ordine empirico.
È importante osservare che le metastrategie di cui sto parlando non sono la teoria del
cambiamento dell'Approccio Empirico, ovvero esse non rendono conto del
cambiamento dei partecipanti in termini di assolvimento del debito empirico e di cura.
In questo momento non mi sto occupando del perchè e del per come le persone
cambiano. La teoria del cambiamento dell'Approccio Empirico si occupa di cosa fa sì
che in un seminario le persone cambino, viceversa l'esplicitare le metastrategie
all'interno dei seminari ha a che vedere con la relazione conoscenza esperienziale del
conduttore e trasferibilità della stessa, viceversa la teoria del cambiamento ha a che
fare con quella parte della teoria esperienziale che si occupa di gestire quelle situazioni
in cui il partecipante non può accedere alla conoscenza e che, al posto della
conoscenza si manifesta il debito empirico che porta con sé. L'assolvimento del debito
empirico, il come viene assolto e la teoria che ne sta alla base e che consente “la cura”
fanno parte della teoria del cambiamento. La relazione che intercorre tra le
metastrategie all'interno del seminario e la teoria del cambiamento è che la teoria del
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cambiamento comprende le metastrategie. Esse rendono conto non del cambiamento,
ma del verso del cambiamento quando esso c'è. In un ottica terapeutica guarire
significa uscire da uno stato disfunzionale verso qualsiasi altro stato psicofisico dove la
malattia è guarita. In ambito esperienziale invece si va verso uno stato ben preciso.
Nell'ottica esperienziale il cambiamento significa uscire da uno stato per andare verso
un altro stato psicofisico. Da un lato è necessario che il partecipante prenda in mano
ciò che porta nel gioco e lo mantiene in situazioni meno funzionali, dall'altro accedere
alla conoscenza implica che il conduttore la trasmetta con il metodo adeguato.
Nella stessa trasmissione della conoscenza esperienziale attraverso il seminario, il
partecipante porta fuori e palesa a sé stesso il suo debito empirico. Trasmissione della
conoscenza e cambiamento sono intrinsecamente legati sebbene siano due cose
diverse.
Le metastrategie non hanno solo lo scopo di cambiare, ma trasmettere una
conoscenza esperienziale tramite il cambiamento.
Lo stesso metodo delle affermazioni positive allo specchio tipico del Pensiero Positivo
consente di cambiare e di guarirsi come testimoniano diversi libri e persone che
l'hanno adottato, tuttavia non porta necessariamente alla percezione dell'ordine
empirico e da solo non consente di accedere alla percezione delle relazioni tra rabbia
ruolo sistemico e ordine empirico.
Sebbene il metodo in questione può essere adoperato per tutto, per volerlo utilizzare
per qualcosa è necessario sapere che quel qualcosa ha bisogno di essere preso in
mano. Posso anche utilizzare il metodo delle affermazioni per ricollegarmi alle radici
maschili (forse) tuttavia se non conosco esperienzialmente l'importanza di questo
collegamento difficilmente lo ricercherò, limitandomi al massimo ad adoperare il
metodo quando qualcosa di palese nella mia vita non va.
La metastrategia di osservare e agire sulla relazione tra convinzioni personali e realtà
fenomenologica non è sufficiente ad accedere alla conoscenza empirica, sebbene sia
sufficiente (o potrebbe esserlo) per cambiare qualunque cosa della propria vita. La sola
metastrategia illustrata non consente di accedere ad una visione più ampia (vedremo
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nell’ultimo capitolo perché).
Nell'Approccio Empirico le metastrategie esposte sono le stesse strategie conosciute
dal conduttore e che vengono trasferite al partecipante per accedere alla conoscenza
empirica. La loro integrazione consente il progressivo riavvicinarsi al proprio stato di
eccellenza ricollegandosi alle proprie radici biologiche anche nella vita di tutti i giorni.
Qualche anno fa con un mio amico e altri due del gruppo siamo andati ad
Arezzo a fare un giro. Abbiamo passato tutto il giorno insieme a girare per
la città approfittandone per farci una bella mangiata di fiorentina e buon
vino.
Uno dei tre era un compagno delle elementari del mio amico con una
buona carica yang che esprimeva nel far casino, nell'espansività, nel non
aver peli sulla lingua, nel conoscere ragazze, nello scherzare a volte rozzo
ma non cattivo. Insomma una persona con cui ci si diverte sicuramente in
compagnia. Tuttavia io sono uno a cui non piace fare battute rozze, ma
quella volta avevo sentito la carica maschile della situazione e mi ero
concesso di farle anch'io. Non solo mi ero divertito parecchio tutto il giorno,
ma la sera tornando a casa percepivo una sorta di gioia, forza e piacevole
energia mentre percepivo nitidamente i miei genitali. Sentivo un contatto
con la mia mascolinità molto forte.
Darmi la possibilità di esprimermi liberamente, sperimentarmi nella
componente aggressiva in un contesto maschile permettendomi di fare
gruppo (diversamente dalle altre volte) con la consapevolezza che mi
derivava dall'esperienza di ciò che stavo facendo ha trasformato una
giornata di gita in una giornata “terapeutica” ...divertendomi parecchio!
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3.6 - LE RELAZIONI: DINAMICHE DI COPPIA, DINAMICHE E RELAZIONI E TANTRA: OSSERVARE, INTEGRARE, OSARE
Nel precedente capitolo abbiamo visto come radicarsi nelle proprie radici sia
necessario per recuperare le proprie strategie vitali. Il seminario dove ciò avviene,
“Maschile e Femminile” potrebbe essere visto come la “cura” intesa come passaggio
cruciale del cambiamento. In questo seminario è previsto che uomini e donne siano
separati per meglio sostare nell'energia maschile o femminile, tuttavia entrambi i sessi
si sperimentano per un breve periodo nel sesso opposto contattando quel lato
femminile (in un uomo) e quel lato maschile (in una donna) che sono parte del bagaglio
psicofisico di ognuno. Un maschile forte non si può esprimere senza un femminile che
lo accolga e un femminile accogliente non si può esprimere senza un maschile che lo
sostenga e protegga. Solo dall'integrazione dei due aspetti nasce un ruolo sistemico
funzionale e che per questo motivo viene chiamato integrato.
Il seminario “Maschile e Femminile” non è solo il diretto sviluppo dei seminari sul ruolo
di eccellenza e sui ruoli empirici, ma in esso confluiscono anche quei seminari che
hanno come tema principale le relazioni di coppia e la sessualità.
L'effetto di questi seminari è molto importante per l'integrazione e va ben al di là della
semplice relazione uomo – donna.
Si è portati a pensare che l'amore sia un qualcosa che ci capita, che avviene o non
avviene e pare sia regolato dal caso. Magari ci si rende conto che ci sono periodi in cui
siamo più disposti verso l'altro sesso e altri meno, tuttavia crediamo che quando
troviamo un partner tutto sia casuale. Non ci accorgiamo di quel filo sottile che fa da
bandolo della matassa di tutte le nostre relazioni e che trova dei comuni denominatori
tra il nostro mondo interiore e il mondo interiore del partner. Pensiamo di innamorarci
perchè è bella o perchè è intelligente o siamo affascinanti dai suoi modi di fare, ma
questi sono solo la punta dell'iceberg, in realtà il nostro amare è molto superficiale e si
limita al romanticismo che sfocia in una piacevole abitudine.
Capire cosa ci lega a un'altra persona conta poco, la razionalità non trova spazio in
questo contesto, meno ancora che in altri. Tutto nasce nel fare e proprio nel fare si
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possono osservare le nostre relazioni per le leggi sistemiche che esprimono.
Scoprire esperienzialmente che ci leghiamo a quel partner che superficialmente ci
compensa ma che profondamente ci è simile, vivere l'esperienza di riconoscere la
propria relazione nelle energie che essa genera e sentirle allo stesso modo con un
partner del seminario che quasi non conosciamo ha un impatto forte perchè sposta il
punto di vista che abbiamo sempre avuto sull'amore.
La semplice osservazione è la chiave. Osservare il “risultato” di ogni esperienza,
vedere come combacia con la vita di tutti i giorni nelle proprie relazioni ha il potere di
svelare a sé stessi il filo conduttore delle nostre relazioni: non si può più fare finta di
non vederlo.
In un primo momento avevo vissuto le esperienze in coppia come se tutto,
anche il partner fosse rapportato a me. Avendo visto come il mio mondo
interiore influisce sul mondo fenomenologico a cui posso accedere, vissi
l'esperienza come se anche il partner dipendesse da me.
Solo con il tempo (e altre esperienze) questa visione solipsistica ha lasciato
spazio ad una visione più aperta all'esterno.
Cogliere il legame che c'è tra me e ogni compagna mi ha generato molta
gratitudine. Riconoscere quel legame e osservarlo empiricamente all'opera
ogni giorno è qualcosa di incredibile. Se all'inizio l'altro era il tramite per
accedere a me stesso, ora, nella misura in cui mi accetto riesco a “vedere”
l'altro e a riconoscerlo come Lei. La sua individualità emerge nel momento
in cui esco dal mio dolore e mi apro all'esterno e vedere che lei vive quello
stesso dolore, ma porta fuori anche la sua luce è un riconoscersi e
riconoscrerLa molto forte.
Insieme a ciò ho un'altra considerazione sui suoi “difetti”. Ho sperimentato
come siano in realtà quelli che effettivamente mi legano, quindi sono parte
integrante del sentimento che vivo per lei, anzi, senza di loro non proverei
le stesse emozioni con la stessa forza. Questo l'ho sperimentato in quelle
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relazioni a volte meno burrascose, ma anche più “tiepide” proprio perchè
mancano quegli aspetti ombra che danno il sale nella relazione, e che se
prima non li sopportavo, ora so che ho solo bisogno di gestirli perchè senza
quelli la relazione non sarebbe così stimolante.
La semplice metastrategia di poter osservare la realtà per ciò che è, uscire dal noto o
scontato amore romantico nella sua qualità più naif porta il partecipante ad accedere
ad una visione dell'amore e della relazione molto più profonda, un'alleanza tra anime
nel gioco della vita. Un'alleanza (passatemi il termine alleanza) consapevole che un
passo alla volta libera dal bisogno e permette di amare l'altro riconoscendolo in ciò che
è anziché solo come strumento di compensazione. È un processo non immediato ma
che regala doni ad ogni step mentre ci si libera dal bisogno dell'altro e lo si “vede”
realmente (accedere a questo però mi ha generato in un primo momento e anche
tuttora una grande paura…).
Successivamente esplorare il lato maschile e femminile di sé stessi permette di vivere
esperienzialmente la propria donna e il proprio ruolo interiori, quello su cui basiamo le
nostre relazioni nell'aspetto delle strategie che mettiamo in atto e di quelle che il
partner mette in atto nel suo ruolo compensativo.
In un primo momento si osserva il legame tra il proprio dolore e quello del partner e la
compensazione che ricerchiamo nel compagno o compagna, in un secondo seminario
si vivono le strategie comportamentali del nostro lato maschile e femminile e, tramite le
costellazioni familiari ogni partecipante può reintegrare aspetti del suo ruolo in
relazione al ruolo opposto.
Qualche hanno fa dopo aver fatto il seminario “Dinamiche e Relazioni”
cambiai look. Il look non era mai stato tra i miei interessi da dopo l'era dei
paninari quando avevo 14 anni. Tuttavia cambiai look e successe che
conobbi una ragazza al lavoro. Aveva caratteristiche e aspetti differenti da
altre con cui ero stato sebbene riconoscessi in lei molte similitudini
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profonde.
Il suo carattere più vittima era diverso da molte che avevo frequentato e fu
una bella relazione.
Solo in seguito mi fu chiaro il legame con “Dinamiche e Relazioni”. In esso
la metastrategia per accedere al maschile e al femminile è quello di
travestirsi da una figura rappresentativa dei due sessi e recitarla. Cambiare
aspetto è una metastrategia che permette di far emergere strategie diverse
in relazione a quegli aspetti che il vestito stimola. A strategie diverse
corrispondono accadimenti diversi.
La metastrategia del cambiare esteriormente per contattare parti di sé evidenziandole è
una metastrategia importante per potere conoscere (vivere) ogni aspetto del maschile
e del femminile. Nel seminario essa porta alla luce il proprio lato maschile e femminile,
nella vita di tutti i giorni lo porta alla luce in relazione al proprio sesso, mentre il partner
ci riflette il nostro lato del sesso opposto.
Quando i due aspetti sono in sintonia allora tutto va bene, ma quando non sono in
sintonia e, anzi, dentro di noi sono in conflitto lo vediamo nelle nostre relazioni. Come
per vittima e carnefice, vivere le nostre due polarità consente di integrarle.
Fu molto divertente osservare una cosa durante quel seminario: io soffro di
allergia al polline e graminacee, tuttavia, quando ero nel mio femminile
l'allergia passava di colpo. Non è che diminuiva pian piano, ma
istantaneamente quando accedevo al mio femminile passava e non mi
sentivo come quando ho uno sfogo e poi passa mentre rimane solo un po'
di bruciore agli occhi, era proprio come d'inverno (il seminario era in
primavera) che non la sento proprio.
Parallelamente nel mio femminile mi piacevano i miei piedi. Cosa che di
solito non accade, anzi non mi piace stare a piedi nudi, invece nel mio
femminile ho contemporaneamente avvertivo un maggiore contatto con la
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terra come luogo sicuro.
Nel corso degli anni l'accettazione degli aspetti femminili (che si è espressa
in un portare maggiormente fuori il mio lato maschile) e anche il contatto
con la terra sono aumentati: insieme allo stare a piedi nudi!. Man mano che
questa integrazione aumenta sono curioso di vedere quale sarà l'effetto
sulla mia allergia...
Cogliere il legame tra noi e il partner che è un riflesso del legame tra il nostro lato
maschile e quello femminile e l'integrazione che ne nasce sono il punto di partenza per
poter riconoscere l'altro nella sua identità e non come riflesso di noi stessi.
Se pensiamo che ogni difesa psicologica che mettiamo in atto ha la funzione di
proteggerci e le difese maggiori sono nel modo di relazionarci con gli altri possiamo
immaginare quale carica emotiva ha il contatto con il sesso opposto. Il sesso opposto
non lo possiamo conoscere esperienzialmente lo possiamo solo amare. Le sue
logiche, per quanto capibili, sfuggiranno sempre all'altro sesso perchè non potrà fare a
meno di leggerle con la sua logica. È il contatto con l'ignoto rappresentato dall'altro
sesso che genera tutta una serie di difese atte a proteggerci. Tuttavia solo
attraversando la paura del contatto con l'altro si può integrare il proprio lato opposto e
accedere alla vita. In quelle relazioni in cui l'equilibrio è mantenuto da troppe difese,
non c'è lo spazio per sperimentarsi pienamente l'un l'altro, la vitalità e la vivacità sono
impedite e la vita è un vivere a metà. Esperire la vita è esperirne ogni aspetto così
come esperire il partner è esperirne anche quelle parti che ci fanno più paura e che, in
fondo, sono anche le nostre. Dalla piena esperienza dell'incontro con l'altro nasce la
possibiltià di riapprorpiarci di noi e di andare verso il nostro stato di eccellenza.
Percepire l'ordine passa inevitabilmente dal vivere la vita se vogliamo che l'ordine sia
un'esperienza e non una mera teoria speculativa adatta da usare come difesa dalla
vita.
Nel Tantra si sperimenta l'incontro con l'altro. Il Tantra utilizza il corpo. Tramite il respiro
si sollecita “ciò che c'è” a venire a galla, tramite il ballo si seguono le energie che si
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generano, ma sopratutto è nel trovarsi nudi di fronte ad una persona del sesso opposto
che consente di cogliere la relazione tra sé e il proprio corpo.
Il Tantra porta con sé una delle metastrategie più importanti per accedere
esperienzialmente alla realtà empirica: il mettersi a nudo.
Il mettersi a nudo non è solo mettersi nudi: incontrare l'altro senza vestiti significa
incontrarlo senza difese. L'essere nudi ha una carica così forte che ogni difesa che
mettiamo in atto nella vita di tutti i giorni non funziona. E proprio quando non possiamo
più raccontarcela che la realtà si manifesta per ciò che è donandoci un'esperienza
piena. Allo stesso modo questa metastrategia viene portata nella vita di tutti i giorni,
ovviamente non girando nudi, ma ponendosi di fronte alla vita a nudo, lasciando
cadere molte difese, o meglio riconoscendo come difese ciò che prima pensavamo
“naturale”. Questa metastrategia ha il sapore del fare sul serio, della vita piena oltre i
taboo e il socialmente accettabile. Ovviamente una metastrategia così forte non si
integra di colpo, ma un passo alla volta si riconosce quando ci si sta proteggendo e
“non si ha più neanche voglia di nascondersi alla verità”, così come (e il vissuto
esperienziale è molto simile) non si ha più voglia dopo quell'esperienza al Tantra di
rivestirsi e si vuole godere ancora un po' dell'eco dell'esperienza vissuta.
Questa metastrategia ha molto a che vedere con l'osare. In un mondo in cui difendersi
è la prassi ed è considerato normale, mettersi a nudo, anche solo un passo alla volta
richiede molto coraggio. Si tratta di osare, sebbene le risposte sono sempre positive
osare non è facile perchè le paure sono molto forti tuttavia l'esperienza fatta spinge
nella direzione e al momento opportuno ...ci si osa.
3.7 - UN APPROCCIO INTEGRATO Approccio integrato è un'espressione che significa molto di più di ciò che sembra.
L'integrazione non riguarda solo il maschile e femminile nella relazione, ma il
significato di approccio integrato scardina l'attuale modello interpretativo della realtà
implicito ai più, si manifesta e si palesa nell'attimo stesso in cui su di esso si porta
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l'attenzione.
Vorrei partire da una domanda che ha una valenza profonda nelle discipline
esperienziali: esiste il giusto o sbagliato?
Nel primo periodo delle discipline esperienziali (ma per alcune è ancora così ora) la
risposta a questa domanda è che in realtà non esiste giusto o sbagliato, che ogni cosa
fa parte della vita e di conseguenza non la si può giudicare. Ogni cosa va bene, giusto
o sbagliato sono giudizi illeciti.
Questo perchè da sempre siamo abituati che esiste un giusto e sbagliato. Il giusto è da
premiare o lo sbagliato da biasimare.
In seguito a questo e per uscire da un giudizio che non porta al cambiamento poiché
l'accettazione è la chiave per cambiare, il giusto e sbagliato sono stati tout court
eliminati. Non esiste giusto o sbagliato perchè non si può giudicare.
Sebbene questo sembri un cambiamento in realtà è solo una modifica. Giusto e
sbagliato appartengono ad una visione yang mentre non esiste giusto e sbagliato, tutto
è accettabile appartiene a una visione yin. La modifica consiste nell'aver modificato la
visione di un solo principio valido (o lo yin o lo yang) da un principio yang a uno yin. Lo
schema sottostante, ovvero considerare come valido solo uno dei due principi possibili
si è mantenuto inalterato.
Visione integrata è un cambiamento di prospettiva in cui entrambi i principi si integrano
a formare una visione integrata per rispondere alla domanda se esiste un giusto o
sbagliato.
È evidente che esiste un giusto o sbagliato, ogni cosa si può fare in un modo più
funzionale rispetto a tutte le altre, tuttavia ogni sbaglio non è un qualcosa da
condannare e da cui prendere le distanze ma è una tappa della strada percorsa per
giungere alla soluzione. Nello stesso concetto di integrato è insito il processo che da
una soluzione sbagliata perchè sistemicamente poco funzionale si giunge ad una
soluzione giusta perchè funzionale. Il continuo miglioramento (la tecnologia ne è un
esempio) non passa dalla condanna di un errore, ma dall'utilizzo dell'errore per sapere
che quella strada è senza sbocco.
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In un approccio integrato il giusto e sbagliato esiste ma non esclude l'errore, anzi lo
integra nel processo di avvicinamento alla soluzione più funzionale.
Se da un lato escludere l'errore porta all'impossibilità di cambiare perchè il
cambiamento nasce dall'accettazione, dall'altra escludere giusto e sbagliato porta a un
appiattimento senza possibilità di uscita nella misura in cui manca una guida alla
soluzione più funzionale. Approcci che non contemplano il giusto o sbagliato sono
approcci fermi, non hanno un modello e in questa mancanza si rivela il loro limite
perchè manca un parametro di riferimento, un metro di misura per sapere se si
procede nella strada giusta o no. È interessante notare che lo stesso iniziare un
percorso di crescita ha implicito in sé che da qualche parte si voglia arrivare e se non
esiste giusto o sbagliato, tutto decade. Liberarsi dal limite di un giudizio oppressivo è
l'inizio di un percorso, non la meta. Se la meta non c'è è una strada chiusa.
Approcciarsi integralmente alla realtà fenomenica significa di riflesso al percorso delle
dinamiche relazionali considerare ogni cosa in relazione ai due principi. Non si può
considerare l'uomo senza la donna, si può considerare la coppia. Tuttavia l'approccio
non si limita alla coppia uomo-donna. Ogni essere umano ha in sé i due principi. Non si
può considerare l'uomo solo come yang. È necessario considerare la sua coppia
interna: il suo lato maschile in relazione al suo lato femminile. L'uomo yang integrato è
tale perchè il suo maschile è al suo posto e il suo femminile idem.
Viceversa la coppia in termini di integrazione non si limita alla relazione uomo donna o
singolo individuo, ma tocca tutti gli aspetti relazionali della vita. Non si può parlare di
allievo senza parlare del maestro, non si può parlare di partiti senza parlare di elettori,
non si può parlare del capo senza parlare del dipendente.
Approcciare la realtà fenomenologica con un approccio integrato significa consideare
nell'insieme i poli della relazione, diversamente si otterrebbe solo una guerra dei sessi,
delle classi sociali etc. senza una conclusione possibile, ma solo momenti alterni di
vittoria e sconfitta, mentre nei casi in cui una soluzione c’è stata, essa era sempre una
soluzione integrata.
Un ultimo significato di approccio integrato si rivela nella concezione stessa dei
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parametri di accettazione della conoscenza.
Tramite l'osservazione empirica si può osservare che le donne nel loro processo di
crescita tendono ad avvicinarsi a quei principi yin come ad esempio l'accoglienza,
mentre gli uomini tendono verso i principi yang come ad esempio il dare le regole. Se
quest'osservazione è sufficiente per sapere che la teoria empirica è trasmissibile
tuttavia non è sufficiente per sapere che è vera. Potrebbe essere che i ruoli sono un
fatto culturale e infatti tendono anche a invertirsi. Il processo di crescita potrebbe
semplicemente essere indirizzato verso una distinzione di ruoli ma non
necessariamente l'inversione degli stessi è errata.
Il problema è senza soluzione, poiché siamo in un contesto fenomenologico: la
Scienza non può risolvere il problema in termini di ciò che è vero.
Viceversa la soluzione deriva da un altro parametro che non ha nulla a che fare con la
verità, ma è il benessere. Se è vero che si può invertire il ruolo, tuttavia il livello di
benessere non è invertibile. Un uomo maschile in un ruolo femminile e viceversa non
prova benessere, questo non significa che non gli piaccia un ruolo femminile, potrebbe
anche piacergli o sentirsi a suo agio, tuttavia una serie di indicatori sistemici ne
rivelano lo stato di malessere, viceversa per la donna.
L'aspetto che voglio sottolineare è che i parametri di verità delle discipline esperienziali
e a maggior ragione di quelle integrate come ad esempio l'Approccio Empirico passano
da due aspetti: la verità e il benessere.
La famosa prova kinesiologica che misura la forza del braccio in relazione a sostanze o
affermazioni evidenzia che la forza del braccio si conserva se facciamo affermazioni
vere o se siamo in contatto con una sostanza che ci fa bene (come nella prova delle
intolleranze alimentari). È interessante osservare che per il corpo umano verità
(principio yang come la chiarezza etc.) e il benessere (principio yin come la
piacevolezza) siano equivalenti.
La verità perde la caratteristica di stare al di sopra dell'essere umano ma si rapporta ad
esso diventando verità fenomenologica, ovvero aderente all'oggettività fenomenologica
di cui abbiamo già parlato. In questa perdita di assolutismo la verità si integra con il
o96
benessere.
Un approccio integrato in ambito esperienziale fa dell'integrazione dei parametri verità
e benessere il suo metro di misura della validità della sua teoria esperienziale e della
sua metodologia per renderla trasferibile.
In ambito esprienziale, per definizione del suo oggetto, non si può parlare di una verità
dimostrabile perchè le sue asserzioni sono esperibili e come tali, a seconda della
qualità del sentire, si può esperire una cosa, ma anche il suo contrario, viceversa il
parametro del benessere può disambiguare la situazione.
Il benessere stesso però rischia di non essere tale senza la verità intesa come “ciò che
è fenomenologicamente oggettivo”, infatti solo riconoscendo ciò che è si può
riconoscere se una situazione è fonte di benessere o se nasce come difesa da qualche
parte dolorosa di sé stessi e allora è solo un non star male.
Nell'Approccio Empirico come approccio integrato l'integrazione avviene su più livelli
rimanendo in linea con le sue teorie esperienziali.
3.8 - LE ENERGIE COME FATTO ESPERIENZIALE: ESPERIRE IL SISTEMA Finora non ho volutamente toccato l'aspetto energetico dell'Approccio Empirico
sebbene questo sia già affrontato nei primi seminari.
Le cosiddette energie sottili e i chakra sono parte integrante dell'Approccio Empirico e
vengono esperiti nel seminario Miracles che ha come tema il dissolvere la paura. Mi
piace pensare che il Miracles usi i chakra come il Tantra usa il sesso, ma come il Tantra
non è solo il sesso, così il Miracles non è solo un lavoro sui chakra.
Nel Miracles i chakra e le energie sono conosciute nella loro componente esperinziale,
lo scopo del seminario non è guarire o guarirsi ma il massaggio energetico inteso come
ripristinare i chakra ha la funzione di mostrare come agire in realzione alla propria
realtà percepita porti alla modifica della realtà percepita dell'altro. Quando i partecipanti
scoprono di poter far passare un mal di testa visualizzandolo come una macchia nera e
o97
togliendo la macchia nera (visualizzando di toglierla e facendo anche i gesti appropriati
come se la macchia nera ci fosse realmente) il mal di testa passa, il messaggio che
arriva a livello profondo è molto forte. Noi agiamo all'interno della nostra percezione e il
concetto di reale e non reale si modifica in percepibile o non percepibile. È reale ciò
che è percepibile, al di là di come lo percepisco se agisco su di esso in base alla
percezione che ne ho allora i miei effetti sono comunque reali e non solo immaginati.
Il campo percettivo si arricchisce di tutti quei percetti che diversamente sono
considerati falsi o immaginari.
La controversia su queste materie nasce dal fatto che chi le propugna non le presenta
come fatti fenomenologici, ma come fatti attinenti alla realtà in quanto tale. Di
conseguenza è richiesta una dimostrazione della loro esistenza ma non essendo
attinenti alla realtà non sono passabili di dimostrazione. Oggigiorno si cerca di trovare
dei legami tra aspetti fisici del copro e i chakra, tuttavia anche trovandoli di sicuro non
saranno sfere colorate così come si presentano a noi. I chakra sono un fatto percettivo,
ma la grande scoperta è che agendo su un fatto percettivo si modifica la realtà
fenomenologica dell'altra persona.
Agire nella propria realtà fenomenologica ha conseguenze reali. Aprirsi a queste
percezioni nella vita di tutti i giorni ne arricchisce notevolmente la realtà avendo nuovi
parametri con cui confrontarsi.
È importante comprendere che non si va a lavorare sul paranormale. Il paranormale
afferma che esistono fenomeni reali attinenti alla realtà in quanto tale che sfuggono alla
nostra comprensione. Il lavoro energetico proposto nell’Approccio Empirico non ha
nulla a che vedere con tutto ciò e il suo intento non è stupire i partecipanti con
insegnamenti esoterici. L'intento del lavoro energetico è ampliare il range percettivo in
quanto l'energia è il modo che ha il nostro sistema percettivo di assemblare sensazioni
e intuizioni.
Parimenti le costellazioni familiari hanno un ruolo fondamentale nella percezione
energetica. Delle costellazioni familiari si è già discusso in diversi libri e non è
necessario che rispieghi il metodo, quello che interessa in questo contesto sono le
o98
metastrategie e le costellazioni familiari integrano in sé una metastrategia che unita al
sentire sviluppato nel corso dell'accademia si rivela importante per l'accesso
esperienziale all'ordine.
Partecipare a una costellazione familiare consente di esperire su di sé gli effetti
dell'ordine isolandoli da tutte le altre percezioni di cui attribuiamo la causa dei nostri
indicatori sistemici (rabbia, paura etc.).
Stare in piedi in mezzo a una costellazione con persone che a volte neanche si
conoscono e vivere quelle sensazioni che di solito ne attribuiamo ad altri la causa porta
a un livello percettivo estremamente elevato. Imparare esperienzialmente come i nostri
vissuti, le nostre emozioni ed anche le nostre malattie siano interrelate nella nostra rete
di relazioni consente di trasferire a casa questo vissuto e ci si accorge della nostra
costellazione in atto nella vita di tutti i giorni.
Ecco che moti dell'anima e sistema acquistano un senso esperienziale e si
manifestano concretamente nella nostra realtà.
Nell'espandersi del campo percettivo ho iniziato a percepire direttamente il mondo
fenomenico dell'ordine. Tuttavia si rivela ancora solo come una percezione a sprazzi in
cui quando moti empirici sufficientemente consistenti sono in atto il mio campo
percettivo si arricchisce di “visioni” in cui riconosco che qualcosa si sta sviluppando, in
altri casi ho una chiara visione della carica empirica della situazione ma non riesco a
rispondere adeguatamente, oppure sono percezioni evidenti di un moto in atto che si
rivela nel campo percettivo energetico ma che sembra assente se non si considera
quest'aspetto. I due tipi di percetti che sperimento sono una sensazione fisica interna o
una visione energetica esterna.
Un esempio è stato quando ho parlato di quando percepisco come una luce quando c'è
energia sufficiente perchè qualcosa accada, mentre un altro esempio, di natura un po'
diversa mi è accaduto quando una mia amica mi ha detto una cattiveria e io ho sentito
come una pugnalata alla bocca dello stomaco. Il dolore mi è rimasto fino a quando non
sono andato a casa e non “mi sono tolto il pugnale”. Ho scoperto che non era un
pugnale ma un paletto di 50 cm tuttavia dopo averlo tolto il dolore mi è passato.
o99
Non è importante in questi esempi che potrebbero sembrare percezioni extrasensoriali
se sono fenomeni paranormali o no. Non lo sono. È possibile che ci siano tantissimi
indizi del cambiamento di una situazione e che l'essere umano li possa cogliere ed
elaborare; quello che interessa è che nell'impossibilità di rendersi conto di tutti questi
indizi e di dedurre razionalmente che cosa stia effettivamente accadendo, il nostro
sistema percettivo è tale che possa cogliere questi indizi ed elaborarli presentandoli
come energia o sensazioni fisiche. Lo scopo dell'Approccio Empirico non è “capire”
come avvenga tutto ciò, ma espandere il campo percettivo affinchè tutto ciò accada.
Il lato energetico mette in una luce e prospettiva diversa tutto il resto visto
precedentemente. Da solo non sarebbe sufficiente perchè mancherebbe delle relazioni
conosciute negli altri seminari tra sé stessi e il proprio mondo fenomenologico, tuttavia
l'integrazione delle percezioni energetiche rende percepibili come energie, emozioni e
sensazioni che il nostro sistema percettivo renderebbe diversamente e in modo più
limitato come semplici emozioni. La percezione energetica delle stesse li
contestualizza in relazione ai moti dell'anima ed al contesto sistemico in cui ci si trova.
Una delle prime metastrategie che si incontrano è quella relativa al linguaggio: il
linguaggio dice qualcosa di te. Espressioni come “devo fare questo” sono indicative di
un vissuto di autoimposizione percepita. Portare l’attenzione sul proprio modo di
esprimersi avviene già al “Valore del Sé” (uno dei primi seminari che si incontra). Il
portare l’attenzione sui propri “devo” fa sì che si prenda in considerazione ogni aspetto
delle proprie espressioni linguistiche. Ma allo stesso modo in cui evitando di usare il
verbo “dover”e si passa ad un’espressione più “libera” ecco che gestire il proprio
linguaggio diventa una metastrategia che si integra nella propria vita.
Alle costellazioni si utilizza il termine espressioni catartiche. Esse sono quelle
espressioni che il costellatore chiede di dire ai partecipanti. Sono espressioni dirette
che hanno il potere di cambiare il quadro della costellazione e quando vengono
pronunciate cambiano i rapporti in gioco tra i partecipanti e le loro stesse emozioni.
o100
Tuttavia le parole catartiche si vivono all’interno della costellazione ed hanno un
significato durante la costellazione stessa. Il partecipante impara esperienzialmente
(nelle sensazioni corporee) quel legame tra esprimersi nel linguaggio durante la vita di
tutti i giorni e il potere delle parole catartiche in modo tale per cui, riconoscendo dalla
percezione energetica la carica delle sue parole, il suo linguaggio progressivamente
porta agli effetti delle parole catartiche. Non è più solo un linguaggio atto a riconoscere
e modificare qualcosa di sé stessi, ma si espande fino a modificare gli equilibri
sistemici di sé con gli altri. Espandere la percezione fino al livello energetico e
sistemico trasforma lo strumento linguaggio da uno strumento solipsistico di sé e per
sé ad uno strumento sistemico in grado di modificare gli equilibri nelle dinamiche della
propria vita che ha nelle percezioni energetiche il metro di misura del parallelismo tra
gli effetti del proprio parlare e gli effetti delle parole catartiche imparati nelle
costellazioni familiari.
Detto in altri termini, se il linguaggio è indicativo di emozioni e pensieri e può agire su
di essi nella vita di tutti i giorni, se le parole catartiche sono espressioni di emozioni
profonde che hanno il potere di cambiare gli equilibri sistemici in una situazione
all’interno della costellazione e se le esperienze con le costellazioni portano a
riconoscere quelle dinamiche anche nella vita di tutti i giorni, risulta chiaro come si
trasformi la semplice meta strategia del linguaggio nell’incontro con le energie.
Tutte le esperienze nello stato di eccellenza, nelle relazioni e dinamiche, nella
percezione energetica si integrano insieme, un passo alla volta e l’effetto sul campo
percettivo è forte. Non sempre si riesce a coglierlo appieno, anzi all’inizio esso è molto
sfuggente.
Una conoscenza esperienziale richiede tempo per essere integrata e se è facile
integrare un seminario, l’integrazione degli effetti sinergici degli stessi necessita di più
tempo. Ma l’accesso alla conoscenza dell’ordine e delle sue leggi lo richiede come
passaggio.
La meta strategia del Miracles (la percezione di una persona cambia la percezione
o101
dell’altra persona) ha implicazioni molto forti. Se un problema lo percepisco come una
conflitto tra due aspetti diversi e contraddittori di me allora è quella la realtà in cui
“guarire”, dando voce (ad esempio recitandoli) a quegli aspetti stessi. Se il problema di
esprimermi liberamente lo percepisco come un nodo in gola posso “scioglierlo”
semplicemente visualizzandolo, così come se il problema lo percepisco come un fatto
relazionale, posso parlare all’altra persona esprimendo il mio sentire, se viceversa lo
percepisco come un surplus di emozioni posso rilasciarle emotivamente. Nella realtà
che percepisco è insita la soluzione. Tuttavia come detto precedentemente “La Cura” è
il ricollegarsi alle radici del proprio sesso biologico, ma la percezione di tutto ciò
avviene molto avanti nel percorso e solo in questi ultimi anni sono giunto ad avere
questa percezione (il fatto che il radicamento sia la cura è facile da capire, ma arrivare
a sentirlo è tutt’altro!!!). Arrivare a ciò richiede che ci sia una sinergia percettiva tra le
varie esperienze e non basta capirlo. A titolo di esempio basta osservare i diversi
approcci olistici in cui si parla di considerare l’uomo come un tutto e poi si parla di
come curare ad esempio il cancro! Semmai bisognerebbe parlare di come curare la
persona, non la malattia, tuttavia sebbene questo venga proclamato a gran voce,
quando si va a osservare linguaggio, approccio, focus su cui si punta l’attenzione, si
nota come l’olismo venga di fatto tradito. Un conto è avere un’idea (mentale), altro è
sviluppare un range percettivo da farla diventare la propria realtà fenomenica. Il
radicarsi nel proprio sesso biologico è olismo, non solo dichiarato, ma vissuto. Tuttavia
non basta capirlo ma è necessario accedere a questa conoscenza esperienzialmente.
La strada è lunga…
Ho conosciuto esperienzialmente (anche se in misura limitata) le regole
empiriche in questa relazione di energie che passa dagli indicatori sistemici
come percezione energetica in relazione ai moti dell'anima e alla
costellazione esperienziale delle relazioni in quella situazione.
Contemporaneamente ho sentito però che la percezione dell'ordine e delle
sue regole è una percezione che richiede molta energia e quando mi capita
o102
mi sono accorto che riesco a “tenerla” per poco tempo, oltre mi sembra di
“bruciare di emozione”. Non saprei come altro dirlo...
La trasferibilità della conoscenza empirica in termini di esperienza passa da tutte le
metastrategie presentate. Se la partecipazione ad una costellazione apre le porte
dell'ordine, tuttavia per rendere la percezione qualcosa di trasferibile nella vita di ogni
giorno è necessario ricollegarsi alle proprie radici per accedere all'esperienza nella
misura in cui solo se si è radicati in esse si ha il potere per restare in quella
percezione. Solo quando il grosso del proprio debito è stato assolto si può iniziare a
sostare un po' di più nella percezione dell'ordine, fino ad allora la conoscenza
esperienziale dello stesso è preclusa.
La teoria esperienziale dell'Approccio Empirico va letta in questo senso, non come una
teoria da capire ma come una fotografia di una realtà fenomenologica a cui si può
accedere. Essa è la traduzione in parole di un'esperienza silenziosa che ha a che
vedere con una realtà che sfugge al normale campo percettivo ma alla quale si può
accedere.
La descrizione delle regole empiriche nasce dalla possibilità di percepire l'ordine.
Senza la percezione di quest'ultimo tutta la teoria esperienziale si ridurrebbe a mera
speculazione intellettuale.
Se da una parte la teoria esperienziale presenta cosa si percepisce, dall'altra
contempla in sé anche la teoria del come arrivare a percepire nella misura in cui
contempla una teoria del cambiamento. La teoria del cambiamento non va intesa come
teoria da studiare, ma come traduzione in parole del processo di cambiamento, affinato
dal prof. Michel Hardy negli anni di pratica. Il metodo non si studia a tavolino ma si è
rivelato passo a passo nell'approcciarsi ad esso empiricamente.
o103
3.9 - LA NATURA ESPERIENZIALE DEL DEBITO EMPIRICO: IL SENTIRE E IL NON SENTIRE Una teoria esperienziale è tale se contempla in sé la teoria del non accesso alla
conoscenza. La conoscenza esperienziale si riduce a mera speculazione se non
integra in sé la conoscenza del perchè non si accede alla conoscenza. È un perchè
che non ha nulla a che vedere con teorie soggette a verifica, ma con modelli
esperienziali il cui unico scopo è la praticità e la funzionalità di portare chi non accede
alla conoscenza a conoscere.
Come nell'esempio precedente affermare quanto sia importante vivere nel momento
presente non significa nulla se non c'è un modo per arrivare ad esso, ovvero un
modello del perchè non si vive nel modello presente e di quale sia la soluzione ottimale
per viverci.
La teoria esperienziale è tale perchè esperibile. L'esperibilità è il suo unico metodo di
misura e come tale una teoria esperienziale si limita a riportare come conoscenza ciò
che è esperibile, evitando speculazioni su ciò che c'è alla base ma limitando la teoria
fin dove si può percepire, quando diventa una teoria deduttiva si ferma perchè non
dimostrabile a causa del suo oggetto di studio, ma contemporaneamente non
percepibile e quindi non radicabile nemmeno nella realtà fenomenologica riducendosi a
metafisica o pseudoscienza.
Allo stesso modo nell'Approccio Empirico è presente una teoria del perchè non si
accede che si limita alla realtà fenomenologica del non sentire, senza tentare di
individuare quella teoria dell'uomo e della sua psiche da cui il non sentire o il sentire
deriva.
“Sentire” è una parola chiave nell'ambito delle discipline esperienziali. Il sentire è la via
di accesso alla conoscenza e nel sentire si può conoscere.
Sentire ha a che fare con la capacità di percepire sé stessi e la situazione, di
riconoscere quelle emozioni represse e inconsapevoli e di accedere ad esse: sentire le
proprie percezioni corporee...
Nell'Approccio Empirico l'esperienza dell'ordine arricchisce il termine sentire di
o104
significati più profondi così come l'esperienza dell'ordine mostra in una luce diversa
quelle parti della teoria inerenti lo stato di eccellenza e le dinamiche relazionali.
Il sentire sistemico è quel sentire che allinea le proprie percezioni ai valori empirici
dell'ordine. Il sentire sistemico è il sentire di chi percepisce l'ordine naturale, ne
percepisce le leggi all'opera e coglie le dinamiche in atto. Ogni situazione nel sentire
sistemico è percepita con la giusta carica empirica e apre le porte ad un agire consono
alla carica stessa. Una situazione con una carica debole richiede una risposta debole
in intensità, una situazione forte (come ad esempio un'aggressione) richiede una
reazione altrettanto forte. Il sentire sistemico, ovvero quel sentire non alterato ma
genuino, decifra correttamente le situazioni per la carica che hanno e la percezione
non è distorta. Un sentire di questo tipo allinea all'ordine naturale, viceversa quando il
sentire non è allineato ma è alterato le reazioni sono spropositate e creano un divario
che chiede di essere colmato. Si crea un debito empirico che necessita di essere
assolto e che si somma al debito arretrato essendo della stessa natura.
Sentire e debito sistemico sono in stretta relazione nella misura in cui un sentire
alterato non decifra la situazione con la carica giusta e la risposta inevitabilmente
inadeguata alla carica empirica produce un gap, un debito che chiede di essere
saldato. Nella misura in cui non si reagisce alla richiesta di riequilibrare l'ordine il debito
si accumula fino a diventare così gravoso da essere inevitabilmente avvertito
nonostante le “migliori” difese e anestesie emotive. Il debito abbassa a tal punto la
qualità della vita che non si può non notarne gli effetti: malattie, problemi, stato
psicofisico alterato, qualità delle relazioni scarsa o insoddisfacente sono solo alcuni
degli effetti di un debito accumulato e mai assolto.
In un sentire alterato ogni situazione viene decifrata non in base alla carica empirica
oggettiva (fenomenologicamente oggettiva) ma viene percettivamente distorta
dall'indicatore sistemico dominante. Quando l'indicatore è la rabbia, ad esempio, la
persona tende ad interpretare ogni situazione come rivolta a sé trovando sempre un
motivo per avercela con qualcuno alterandosi per un niente o in modo spropositato in
relazione alla situazione.
o105
Sebbene l'esposizione della teoria empirica non sia parte di questa tesi, ho preferito
descrivere il debito e il sentire nell'Approccio Empirico perchè è molto diverso e
difficilmente intuibile rispetto ad altri approcci.
È da notare che non si parla di schemi mentali, o di inconscio che difficilmente sono
dimostrabili essendo appunto metafore, il debito indica un fatto esperienziale ben
preciso. Man mano che il debito si accumula esperienzialmente si può riconoscerlo
come un irrigidimento e tale si presenta anche all'esterno. In psicanalisi durante le
libere associazioni quando c'è un irrigidimento si sa che lì c'è qualcosa di non risolto.
Un punto rigido che si percepisce però nel momento in cui si “torna a sentire” tramite
l'analisi empirica, prima questa percezione non è consapevole. Poco per volta si
presenta come un tenersi stretto il proprio dolore, un irrigidirsi quando invece sarebbe
salutare lasciar andare. Ogni debito che si accumula inerente a quell'indicatore
sistemico si annida lì, come un peso che rende quel dolore meno sopportabile, ma
nello stesso tempo le resistenze mirano a contrarre. È una lotta tra il tenersi stretto per
paura di soffrire e il bisogno di lasciar andare, rifar fluire ciò che lì si è accumulato.
Debito forse non rispecchia tutto il vissuto, tuttavia rende bene l'aspetto esperienziale
del sentirsi chiamati a far rifluire qualcosa invece che tenerlo per sé. Tutta la
bioenergetica ha mostrato gli effetti di questo irrigidimento che diventano anche rigidità
fisiche ma mentre la bioenergetica si avventura su teorie metaforiche di stampo
freudiano, l'Approccio Empirico si limita a osservare esperienzialmente gli effetti del
debito.
La teoria esperienziale del debito è molto vasta, ci basti osservare però come sia
caratterizzata da una natura esperienziale e che in questa stessa natura trovi
fondamento nella realtà fenomenologica e si renda facilmente riconoscibile quando
viene esperita.
È la praticità nel riconoscere e nell'esperire la natura del debito così descritto che
rende la formulazione stessa efficace in un contesto esperienziale in cui il vivere in
prima persona è il fondamento della conoscenza al contrario di approcci più di tipo
terapeutico in cui la teoria serve al solo terapeuta come schema di riferimento.
o106
Il debito così formulato ha un aspetto pratico per il partecipante che può riconoscerlo
esperienzialmente (sebbene non sia così facile e immediato) mentre l'alterazione della
suo sentire diminuisce.
Tramite le rigidità (che non sono solo fisiche) rileva quel divario tra il suo indicatore e le
sue reazioni da una parte e la carica delle situazioni in cui ha contratto il debito. Con il
tempo le situazioni critiche si manifesteranno esperienzialmente come una sorta di
confusione a sentire, in cui si reagisce a caso non avendo il sentire come riferimento
perchè alterato. Il sentire sarà sostituito dal cercare di capire e se il percorso
nell'ambito esperienziale è stato sufficientemente lungo è possibile sentire il
campanello d'allarme che indica che il sentire in quella situazione non va...
Percepire il debito esperienzialmente è un processo lungo, non è
immediato. Nel mio caso è stato fondamentale l'esperienza percettiva delle
energie del Miracles, i seminari sulla rabbia e lo stato di eccellenza così
come le dinamiche di coppia. Ho imparato a riconoscere il debito in atto per
fasi. All'inizio sentivo solo una contrazione di qualcosa che non andava che
presto è diventata una visione di una sorta di energia contratta che non
fluiva. Ho percepito la stessa come un insieme di emozioni. Emozioni
negate che non riuscivo a liberare e a cui non riuscivo ad accedere: la sfera
di energia sembra inespugnabile. Parallelamente sento una sorta di
confusione mentre sono nella situazione e si rende necessaria una mia
reazione e dopo, quando il debito è contratto, mi appare chiaro il sentire
distorto e come le mie difese si siano messe all'opera presentandomi una
realtà alterata che sembra perdere il velo proprio dopo che ho agito,
riconoscendo a posteriori l'errore. Tuttavia questo cadere del velo mi
permette di rilassare l'indicatore alterato e libero da esso trovo come
mettere a posto la situazione.
Il termine debito riflette bene cosa accade quando abbiamo un debito con qualcuno.
o107
Sappiamo che gli dobbiamo un qualcosa, cerchiamo di non pensarci, ma poi è sempre
lì. Restituendo ciò che abbiamo ricevuto tutto si riallinea e si rilassa. Qualcosa ci arriva
e qualcosa restituiamo, così quella cosa fluisce. Per il debito è lo stesso: contraiamo
un debito che va ad alimentare l'indicatore empirico dal quale deriva, rifacciamo fluire
l'indicatore e il debito si estingue. Il debito è un qualcosa che non fluisce (a livello
esperienziale) e che rifacendo fluire il suo indicatore si estingue.
Le esperienze sul rilascio emotivo traducono molto bene questo fluire di emozioni
(indicatori empirici) dopo essere rimasti bloccati.
Tuttavia la percezione del debito all'opera lo rende utile anche mentre si è in una
situazione critica in cui i nostri indicatori sono pronti a catalizzare la carica della
risposta alla situazione. Se proprio non si riesce a non contrarre il debito (e non è facile
evitarlo, anzi è impossibile se il livello dell'indicatore è troppo elevato rispetto alla
situazione) tuttavia l'effetto dopo averlo contratto è quello di rilassare emotivamente
l'indicatore e rendere evidente la soluzione empirica più adeguata per riequilibrare le
energie.
Tuttavia senza una chiara percezione del debito (una conoscenza teorico dello stesso
non basta) l'unica possibilità dopo aver contratto il debito resta quella di “resistere”.
Forse si può sentire il dolore, ma non si hanno parametri di riferimento per allentarlo e
la repressione dello stesso è l'unica strategia corporea che si conosce. Il sentire medio
non è così affinato da consentire mediamente alle persone di riconoscere quando
vanno oltre: sono necessari eventi forti per portare alla coscienza una situazione
disfunzionale (empiricamente alterata): basta notare che chi va in terapia o chi
intraprende un percorso di crescita di solito approda ad esso dopo “aver toccato il
fondo”.
Nel presentare la possibilità di percepire il debito ho condiviso la mia personale
esperienza nel percepirlo. È ovvio che ognuno ha il suo modo di arrivarci, tuttavia la
cosa importante ora non era mostrare il modo in cui si arriva, ma volevo mostrare un
esempio di come si potrebbe percepire. L'esperibilità del debito è una condizione
necessaria per poter parlare di Approccio Empirico come teoria esperienziale, tuttavia il
o108
modo in cui lo si percepisce è ininfluente al fine dell'esperibilità o meno della teoria.
All'opposto la Psicanalisi ad esempio non parla di debito ma di conflitti tra io, es e
super io. Se il conflitto interiore è percepibile tuttavia non è percepibile il conflitto tra
conscio e inconscio, al massimo si può rilevare a posteriori come il conflitto interiore
fosse tra qualcosa di cui sono consapevole e, una volta portato alla coscienza,
qualcosa che prima non era consapevole. Se l'io l'es e il super io sono funzionali al
terapeuta, lo sono un po' meno al paziente che non ha parametri esperibili di
riferimento. Anche quando è guarito il suo campo percettivo resta piuttosto limitato in
relazione alle esperienze previste dal sistema percettivo umano e che le discipline
esperienziali e l'Approccio Empirico in primis adottano come oggetto di studio.
3.10 - L'ANALISI EMPIRICA: TORNARE A SENTIRE Nel presentare il paradigma esperienziale ho messo in luce come alcuni aspetti siano
comuni a tutte le discipline esperienziali, mentre altri divergono da metodo a metodo
pur rientrando nello stesso paradigma.
Il modo di affinare il sentire, il coinvolgimento del conduttore del gruppo così come
l'utilizzo di una tecnica univoca piuttosto che diverse tecniche integrate tra loro sono
tutti aspetti che all'interno della metodologia esperienziale non sono univoci ma
dipendono dalle scelte della disciplina in sé.
Appare chiaro che nel paradigma esperienziale si adottano diverse tecniche integrate
tra loro, anzi l'aspetto tecnico è in secondo piano rispetto alla scoperta dei principi
empirici. Invece non abbiamo ancora definito il ruolo del conduttore e l'affinamento del
sentire.
Questi aspetti sono collegati tra loro. In questo l'Approccio Empirico ha un approccio
all'occidentale tipico delle psicoterapie e delle discipline con origine in occidente. Il
conduttore si espone in prima persona rendendosi aperto durante le condivisioni a
mettersi in gioco con il partecipante. Nel seminario ha un ruolo attivo come
“incarnazione” di quelle qualità yang (quando a condurre è un uomo) o di quelle qualità
o109
yin (nel caso di una donna) e su di lui, o lei, il partecipante si rispecchia in quelle
qualità e percepisce la sua reazione emotiva alle qualità stesse. In questo l'Approccio
Empirico è molto simile alle psicoterapie classiche, tuttavia il seminario permette di
osservare altri fenomeni estranei a setting diversi.
Da quanto detto appare chiaro che l'affinamento del sentire non è mera ginnastica
sensoriale, ma nasce dal ripulire il proprio sentire di quegli indicatori empirici che lo
catalizzano e impediscono la percezione fenomenologicamente adeguata della realtà.
A differenza di altre discipline esperienziali il solo esprimersi liberamente non è
sufficiente per riallineare il sentire al sentire sistemico. Esprimersi liberamente è il
primo step per vivere l'esperienza: in un setting senza giudizio il partecipante si
esprime liberamente (nella misura in cui può permetterselo) e in questo esprimersi vive
la sua fenomenologia.
Un altro metodo è quello di sviluppare il sentire in un processo inverso. Se non si può
accedere a determinati vissuti emotivi perchè dolorosi e verso i quali sono state erette
difese molto forti in modo da anestetizzarsi ad essi, allora si può fare in modo che essi
diventino così palesi e manifesti da non poterli più negare e quindi integrarli nella
coscienza. Questo si può ottenere tramite metodi che lavorano sul corpo come ad
esempio quelli bioenergetici. Gli esercizi di streaming, la respirazione tantrica e il
“medusa” sono tutte esperienze che stimolano il vissuto emotivo doloroso a emergere
in modo da poter essere reintegrato perché reso percepibile, nonostante il proprio
sentire non consenta di percepirlo normalmente.
Qualunque sia il tipo di esperienza vissuta, essa potrà essere condivisa confrontandosi
con il conduttore che accoglie la condivisione e la rispecchia in base alle sensazioni
che suscita in lui (o in lei), contemporaneamente però, durante le esperienze, la
funzione di rispecchiamento avviene anche tra partecipanti. Il rispecchiamento
empirico è una parte integrante tra le più importanti per rientrare nell'ordine: il
partecipante vede negli altri aspetti di sé e vede gli effetti delle sue strategie nelle
strategie che i partecipanti gli rispecchiano (questa seconda parte emerge solo nel
setting del seminario essendo esclusa qualsiasi esperienza in gruppo in altri terapie, o
o110
perlomeno il gruppo si limita a un gruppo in cui si parla ma non si agisce). Il
rispecchiamento empirico però non si esaurisce qui. Il partecipante integra in sé quelle
strategie mancanti che invece osserva e percepisce negli altri partecipanti che più gli
“piacciono”. L'altro come esempio è una strategia alla base dell'essere umano: il
bambino impara dall'esempio dei genitori più che da ciò che loro gli dicono di imparare.
Se le strategie mancanti nascono come integrazione delle strategie dei partecipanti per
rispecchiamento esse però nascono anche da un altro fenomeno rilevabile solo nel
seminario. Nell'energia del seminario (vedi paragrafo sul clima) il partecipante si
sperimenta in uno stato psicofisico più allineato al sentire sistemico. In questo stato
che progressivamente diminuirà nel rientro a casa, il partecipante può avere un
parametro di riferimento in sé stesso. Quelle strategie che per rispecchiamento nel
seminario sono più facilmente “attivabili” grazie ad un maggiore sentire, nel rientro a
casa saranno progressivamente integrate avendole come riferimento perchè già
esperite.
La struttura del seminario, ovvero le metastrategie che utilizza per accedere alla
conoscenza e allo stato di benessere vengono vissute in prima persona dal
partecipante. La metastrategia insita nel seminario, ovvero la struttura del seminaio, ciò
che è alla base, viene vissuta dal partecipante e diventa una sorta di conoscenza del
corpo, di cui il partecipante non sempre ne è consapevole: il corpo sa (ha
sperimentato) che ad un determinato benessere, a una determinata conoscenza ha
avuto accesso secondo passaggi ben precisi all'interno del seminario. Come ho anche
potuto osservare su di me, queste metastrategie rimangono inconsce ma affiorano nel
momento in cui una situazione lo richiede nella misura in cui è richiesto dalla carica
empirica stessa una risposta più funzionale per risolvere la situazione. Se la strategia
giusta non è ancora integrata ma si riconosce che la strategia solita che
precedentemente veniva inconsciamente applicata non è funzionale, ecco che la
metastrategia emerge permettendo di affrontare la situazione cercando nuove strade.
È una ricerca conscia della strategia perchè la strategia più funzionale, non essendo
ancora integrata non emerge da sé. È come una valvola di sicurezza che scatta e che
o111
pone la situazione in una luce nuova richiedendo di trovare nuove strade per arrivare
ad una soluzione più funzionale rispetto alla precedente.
Una metastrategia che uso molto è quella del rilascio emotivo. Quando
sono arrabbiato per qualcosa o qualcuno evito di parlargli o di cercare di
risolvere la cosa subito. Anche pensare a cosa dire o fare è inutile. A questo
punto uso la strategia del rilascio emotivo: dopo una bella corsa, attività in
palestra o qualsiasi altra attività fisica osservo i miei pensieri verso la cosa
e la ridimensiono molto: posso veder la cosa senza farmi deviare
dall'indicatore della rabbia e se empiricamente ho subito un torto posso
dirlo senza che la rabbia mi travolga e quindi lo affermo senza aggredire,
ma allo stesso modo non sento la rabbia così pericolosa da reprimerla per
paura. Lo stesso lo uso in quei casi in cui reprimo la rabbia con molte
giustificazioni. A quel punto viene fuori un'energia (che non ha niente a che
vedere con l'arrabbiarsi) ma che pone le cose in un'altra luce in cui sento
che le mie ragioni hanno il diritto di farsi valere ed agisco in base ad esse.
Ma la metastrategia finale è insita nella stessa teoria del cambiamento e nasce dal
confronto del proprio sentire/agire con la matrice di eccellenza, intesa come la
soluzione sistemicamente più funzionale nella situazione. Il confronto non ha valore di
giudizio, ma offre un parametro fenomenologicamente oggettivo con cui confrontarsi.
Questo confronto mantiene il processo di crescita nella direzione giusta verso la
percezione dell'ordine e potrebbe essere visto come il lato yang della guida che integra
l'accettazione yin nell'ottica di una teoria del cambiamento integrata e non unilaterale.
Epistemologicamente la teoria del cambiamento dell'Approccio Empirico si rivela
funzionale all'accesso della realtà esperienziale dell'ordine. Questa funzionalità è
rilevabile dal conduttore tramite l'osservazione empirica all'interno dei seminari: la
natura esperienziale del seminario mostra come il partecipante agisca direttamente in
una situazione atta ad elicitare un particolare tipo di vissuto emotivo (a differenza di
o112
altri approcci in cui la reazione al vissuto è solo raccontata dal paziente). La
condivisione del partecipante in relazione a ciò che si è potuto osservare mette in luce
la qualità del sentire del partecipante stesso. L'osservazione empirica nel seminario ha
il grande pregio di potersi avvalere dell'osservazione diretta delle strategie del
partecipante e l'interpretazione che egli stesso ne da durante la condivisione. Tutto ciò
è messo in relazione al termine di paragone della matrice di eccellenza fornendo dei
parametri immediati e fenomenologicamente oggettivi in relazione all'ordine empirico.
Se tutto ciò da un lato garantisce la coerenza interna della teoria esperienziale in
termini di metodologia esperienziale (esperibilità e trasmissibilità della teoria) dall'altro
non esce dalla tautologia espressa precedentemente. La realtà fenomenologica
dell'ordine e la sua oggettività fenomenologica, non garantiscono tout court che si tratti
del massimo grado di oggettività fenomenologica raggiungibile. Anche l'oggettività
della matrice di eccellenza è un'oggettività relativa, ovvero è relativa fino al grado di
oggettività dell'ordine stesso. Come posso essere certo che oltre l'oggettività
fenomenologica dell'ordine non ci sia altro? È possibile di fatto che a livello
esperienziale l'ordine sia uno solo degli step verso l'ampliamento del proprio sistema
percettivo, ovvero del raffinamento del proprio sentire.
Il problema è irrisolvibile all'interno dell'Approccio Empirico, per comprendere come si
colloca l'Approccio Empirico in relazione al livello di oggettività fenomenologica
raggiunto è necessario confrontarlo con altre teorie esperienziali e vedere fino a che
punto i risultati convergono.
3.11 - LO STATO DELL'ARTE DELLE TEORIE ESPERIENZIALI: IL VALORE E IL MESSAGGIO DELL'APPROCCIO EMPIRICO Ciò che caratterizza la conoscenza nella metodologia esperienziale è che ad essa si
accede. La conoscenza non si accumula, ma è già insita nell'uomo stesso e ad essa
accede in base al suo sentire. Questo ci porta a concludere che al di là dei termini e
delle descrizioni che nel corso degli anni si sono dati ai fatti fenomenologici
o113
inevitabilmente le conoscenze convergono perchè si basano su un'unica struttura di
sistema percettivo.
Ogni approccio esperienziale ricerca la conoscenza tramite l'esperienza ma ogni
conoscenza è una conoscenza senza parole che chiede di trovare un linguaggio
appropriato per essere esposta: di conseguenza teorie esperienziali diverse coincidono
nei risultati mentre le loro differenze nascono nelle scelte dei termini e del focus su cui
si concentrano nell'ambito del fenomeno percettivo.
Oggi un numero enorme di teorie si affacciano sul panorama delle discipline di
conoscenza, alcune prediligono l'aspetto terapeutico, altre sono sul versante mistico,
altre sulla crescita personale e sull'automiglioramento. Alcune prediligono una tecnica
precisa come la visualizzazione o la drammatizzazione e altre ancora hanno un
approccio più eclettico. A fianco alle teorie esperienziali moderne se ne trovano altre
molto più antiche che per la loro natura esperienziale possono rientrare in questo
ambito disciplinare. Esse sono il Buddismo, il Taoismo, lo Sciamanesimo, lo Yoga... la
lista potrebbe continuare.
In seno alla New Age c'è stato il boom di teorie esperienziali più o meno valide, molte
delle quali hanno abbandonato il movimento per percorrere e ricercare nuove vie ed in
particolare per emanciparsi da ciò che stava diventando più un credo o una moda.
A distanza di trent'anni dalla riscoperta dell'esperienza come conoscenza sarebbe
interessante osservare qual'è lo stato dell'arte e a quali conoscenze si è giunti. È
possibile trovare delle conoscenze o dei metodi in comune?
Tornando alla domanda precedente, la tautologia dell'Approccio Empirico è inerente ad
ogni teoria esperienziale. Ogni teoria, al di là dei termini che usa, si propone di portare
il partecipante da una conoscenza A ad una conoscenza esperienziale B attraverso il
sentire. La conoscenza esperienziale B è quella a cui ha avuto accesso il conduttore e
che trasferisce ai partecipanti. Questa conoscenza è accessibile teoricamente a tutti
nella misura in cui tutti noi condividiamo la stessa struttura del sistema percettivo,
affinando il sentire si arriva a conoscere.
Tuttavia non si può discernere se il sentire è al massimo grado di “ripulitura” e quindi la
o114
realtà fenomenologica è al massimo grado di oggettività oppure se il sentire è solo
“ripulito” nella misura in cui permette l'accesso alla conoscenza esperienziale della
teoria in questione.
Sentire e conoscenza della singola teoria hanno un rapporto relativo: affermare che
solo un sentire completamente ripulito può accedere alla conoscenza impone di
chiedersi come si fa a sapere che solo un sentire ripulito lo permette? E se la risposta
è: -perchè accedo alla conoscenza!-, allora la definizione di sentire ripulito è
tautologica e si può solo affermare che un sentire SUFFICIENTEMENTE ripulito
consente di accedere alla conoscenza. Inevitabilmente non si può affermare nulla sulla
ripulitura del sentire in senso assoluto considerando una singola teoria. Tuttavia,
poiché ogni teoria si sviluppa in seno alla stessa struttura percettiva delle altre è
inevitabile che i risultati convergano ad un livello sufficiente di oggettività
fenomenologica.
In questi termini non ho potuto fare a meno di notare come le conoscenze esperienziali
dell'Approccio Empirico siano molto vicine rispetto ad altre discipline.
Il concetto di ordine e sistema si ritrova immutato nello Sciamanesimo. Le culture
sciamaniche hanno una profonda percezione del legame tra ogni individuo e “tutto ciò
che è” per usare un'espressione degli Indiani Americani. La relazione con la natura, gli
animali e gli altri esseri umani è fondamentale nello Sciamanesimo che si occupa di
conoscere quelle forze e quei poteri che derivano dagli spiriti e agiscono nella natura.
Al di là dei termini ciò che evidenzia la cultura sciamanica è la connessione di ogni
cosa con ogni cosa in una costante relazione sistemica. Le costellazioni familiari
stesse non sono nate da Bert Hellinger, ma hanno le loro radici nella cultura africana.
Il libero fluire ha una valenza rilevante nel Taoismo. Il Taoismo ha nel libero fluire,
sebbene non lo chiami così il suo ambito di conoscenza (esperienziale). Il saggio
fluisce con la vita, ne segue il flusso, non fa ne più né meno di ciò che è richiesto (forse
di ciò che è richiesto dalla carica empirica della situazione?). La via o Tao è
l'integrazione degli opposti. L'integrazione degli opposti come metodo per fluire, è
identico all'Approccio Empirico, anzi per certi aspetti l'Approccio Empirico è un Taoismo
o115
occidentale, ma allo stesso modo Buddha aveva trovato il “sentiero Mediano” come
metodo per liberarsi dalla sofferenza. Se nel Taoismo il saggio consiglia al principe il
giusto modo di comportarsi in relazione alla qualità dell'energia della situazione (I-King)
potendo accedere alla soluzione sistemica più funzionale in termini empirici, il monaco
buddista mira al Nirvana e alla liberazione dalla sofferenza. La “liberazione dalla
sofferenza” è un aspetto dell'Approccio Empirico in termini di assolvimento del debito:
l'assolvimento del debito porta al riallinearsi all'ordine, ciò è possibile nella misura in
cui si giunge allo stato di eccellenza. In questi termini l'Approccio Empirico porta una
conoscenza simile al Buddismo e si può tracciare un parallelismo, uno schema:
l'assolvimento del debito è in relazione con lo stato di eccellenza e la liberazione dalla
sofferenza è in relazione con lo stato di beatitudine (Nirvana).
Nelle diverse discipline osservate vi è uno stato di eccellenza: nel Buddismo è il
nirvana, nel taoismo il saggio, nello Sciamanesimo è lo sciamano che coltiva la sua
arte... Il sistema e le relazioni sono parimenti considerate: il sistema e il suo ordine
nello Sciamanesimo, la soluzione saggia nel taoismo, mentre nel Buddismo è più
sfumato e si riflette nel coltivare le qualità della compassione e dell'amore (che sono
quelle alla base dell'ordine) e l'assolvimento del debito. Per tutte le discipline la
conoscenza è un processo. Ad eccezione del Buddismo le altre discipline prevedono la
conoscenza dell'aspetto energetico come parte del proprio campo percettivo e vi è
sempre uno stretto rapporto tra discepolo e maestro.
C'è un parallelismo intrinseco tra benessere, ordine, libero fluire, ampliamento del
campo percettivo, stato psicofisico da prediligere.
Tuttavia per la definizione di stato di eccellenza, di saggio e di nirvana o illuminazione
(Induismo) i termini non sono automaticamente assimilabili allo stesso: lo stato di
eccellenza è il ruolo integrato, mentre l'illuminato è chi si è liberato dalla ruota delle
rinascite. In queste due definizioni il punto in comune è il benessere, ma questo non
significa automaticamente che siano la stessa cosa. Il fatto è che in mancanza di
un'esperienza diretta posso solo speculare, di conseguenza le mie affermazioni in
questo momento NON hanno valore esperienziale e quindi esulano dal contesto
o116
metodologico della tesi. Mi attengo quindi all'aspetto esperienziale e mi limito a
paragonare le diverse discipline per quello che è esperibile tramite esse, in particolare
mi riferisco all'Approccio Empirico, evito quindi di assimilare il ruolo integrato con
l'illuminato per il semplice motivo che l'Approccio Empirico prevede metodi comprovati
per accedere alla percezione dell'ordine e all'integrazione del maschile e femminile,
non presenta invece metodi dichiarati per accedere all'illuminazione di cui non tratta
nella sua teoria esperienziale.
È però rilevabile un parallelismo tra le varie discipline tra ordine e sistema, libero fluire,
stato dell'essere privilegiato ed espansione del campo percettivo.
Invece una profonda differenza è rilevabile nel praticante, in particolare il buddista (che
vive esperienzialmente la pratica) è in maggior misura un monaco, così come nello
Sciamanesimo lo sciamano è un ruolo ben preciso che non compete a tutti, nel
taoismo è un po' più sfumato, tuttavia la figura di questi praticanti è quasi sempre
celibe ed al di fuori della società, viceversa nell'Approccio Empirico il praticante e
sempre addentrato nella società similmente al praticante di Tantra. Nel perseguire la
conoscenza esperienziale chi si avvicina all'Approccio Empirico ha punti in comune
con l'approccio di Osho nella misura in cui egli prospettava la figura dell'illuminato in
seno alla società e il perseguire l'illuminazione nella società e non isolandosi da essa.
Il pregio della sua scuola al di là della figura controversa del suo fondatore è quella di
aver ideato e divulgato meditazioni tra le più funzionali. Le similitudini della sua teoria
esperienziale con le altre discipline sono evidenti nella misura in cui seppe divulgare
nella loro esperibilità diversi approcci filosofici orientali tra cui lo stesso taoismo,
Induismo e Buddismo.
Le similitudini con il Tantra sono altrettanto ovvie visto che il Tantra è parte integrante
del percorso, tuttavia l'Approccio Empirico non si presenta come scuola spirituale ma
sviluppa la sua metodologia per conoscere le leggi empirico - sistemiche.
Considerando sempre la teoria esperienziale l'Approccio Empirico si differenzia anche
da molte altre discipline che nel paradigma esperienziale si riconoscono. Danzaterapia
e arti terapie, psicodramma, bioenergetica e tutte quelle che utilizzano un metodo
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unico. Se la bioenergetica nei fatti definisce uno stato privilegiato nei termini di
mancanza di zone contratte, la sua teoria esperienziale non è parimenti definita
rifacendosi molto alla psicanalisi che esperienziale non è. Le altre discipline
esperienziali nei fatti non presentano una teoria esperienziale intesa come conoscenza
a cui si accede ma sviluppano una tecnica a fini terapeutici e di conseguenza la
definibilità di una teoria risente dell'intrinseco limite di un metodo che aspirando alla
scientificità si concentra su quegli aspetti oggettivamente rilevabili e il lato
esperienziale non è pienamente considerato come fonte di conoscenza che può
originare una teoria. Inoltre l'utilizzo di una singola tecnica non prevede una quantità
considerevole di metastrategie che consentono di accedere a conoscenze
esperienziali diverse.
Tuttavia giocano un ruolo fondamentale nell'ambito del paradigma esperienziale
perchè consentono di selezionare quelle tecniche più funzionali nel contesto attuale in
cui la pratica di una disciplina esperienziale non è riservata a pochi eletti alla quale
possono dedicare la vita ma può coinvolgere tutti, ognuno con i suoi impegni familiari e
lavorativi.
Le conoscenze esperienziali dell'Approccio Empirico (e delle discipline esperienziali
con le quali ha un parallelismo conoscitivo) si discostano inoltre da altri approcci ben
delineati nel libro The Secret. Dal tipico sapore del pragmatismo americano e del
comportamentismo nel libro confluiscono quelle discipline che hanno la loro base nella
teoria della risonanza. Se vuoi ottenere una cosa (salute, soldi, abbondanza, gioia) la
riceverai automaticamente o quasi se risuonerai con essa. Se i tuoi pensieri sono
pensieri di amore allora otterrai amore, se sono pensieri di odio otterrai odio se sono
pensieri di ricchezza otterrai soldi. La loro conoscenza esperienziale maggiore è
inerente la legge di attrazione.
Sebbene l'Approccio Empirico integri in sé questa conoscenza (nasce dal Pensiero
Positivo) tuttavia non è alla base della conoscenza esperienziale che promuove
attualmente. Le differenze di approccio tra le due discipline sono alla base delle
differenze in relazione alle due conoscenze.
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In particolare si differenziano per la tipologia di metastrategie che utilizzano. Nelle
discipline “The Secret” l'approccio è individualista ed è centrato su di sé e su
ottenere/raggiungere. La crescita procede per successione di obbiettivi. La percezione
sistemica passa invece per metastrategie che contemplano l'altro e riconoscono l'altro.
La crescita “The Secret” è un approccio prettamente yang in cui l'individualità e il
raggiungimento del proprio obbiettivo chiude la visione sistemica e mette la persona
nel suo personale binario. È interessante notare come in metodi come questi il sentire
sia quasi del tutto assente al pari di metastrategie che portano ad aprirsi più che a
raggiungere qualcosa: queste stesse metastrategie le ritroviamo in quegli approcci che
hanno a che vedere con la percezione delle energie dai chakra alle costellazioni
familiari e al Tantra, di conseguenza quella conoscenza esperienziale è preclusa. Di
fatto la crescita in termini di valori empirici è lasciata alla moralità della persona poiché
questi metodi non sono automaticamente una crescita personale visto che possono
essere utilizzati anche solo per aumentare i propri guadagni o trovare un compagno,
senza per questo prospettare una crescita personale.
Esse però hanno avuto il grande pregio di coinvolgere grandi masse di persone. Il loro
ruolo è stato quello di dirigere le persone verso la “positività” uscendo dal vittimismo
che genera vittime. Questi metodi portano una forte reattività nella vita e parimenti una
forte vitalità tipiche dello yang. Se utilizzate in una disciplina integrata esse si rivelano
degli utili strumenti per accedere velocemente alla conoscenza, ovvero arrivare
velocemente ed efficacemente allo stato psicofisico desiderato.
Ovviamente sull'altro versante ci sono i metodi più yin, di solito non sono neanche vere
e proprie crescite personali ma metodi terapeutici, l'aprirsi all'energia senza un
sostegno yang non “va verso” una crescita (“andare verso” è sempre yang) ma verso
un prendersi cura (yin) e di solito sono metodi di cura e terapia energetica (della cui
efficacia non è questo il luogo per discuterne) il cui pregio però è quello di permettere
un riavvicinamento alle strategie yin più salutari.
Tornando alla domanda iniziale, da una parte abbiamo visto come le conoscenze
convergono, ma dall'altra non si potrà mai uscire del tutto dalla tautologia intrinseca ai
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metodi esperienziali. La conoscenza esperienziale, essendo in prima persona,
presenta la necessità di essere ogni volta scoperta e riscoperta. Una verità
esperienziale non è data una volta per tutte, ma il singolo è obbligato a percorrere
sempre il percorso verso la conoscenza. Quando conoscere è vivere, nessuno può
conoscere per un altro perchè nessuno può vivere per un altro e ogni persona è
chiamata ad accettare il dono perché solo vivendo si può conoscere la vita. “La fine del
viaggio” si rivela solo nella conoscenza stessa del vivere ma ognuno è chiamato a
scoprirlo da solo ...nell'intimità del proprio sentire.
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Bibliografia
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A cura di Bruno G. Bara, Manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri,Torino,
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A cura di Paolo Legrenzi, Storia della Psicologia, il Mulino, 1982
Elmar e Michaela Zadra, Tantra, la via dell’estasi, Oscar Mondadori, Milano, 2000
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Luise L. Hay, Puoi guarire la tua vita, Armenia, Milano, 1993