azione di responsabilità nel fallimento - rapporti tra esecuzioni e fallimento
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dott. Giovanni Rubin
LE AZIONI DI RESPONSABILITA’ NEL FALLIMENTO
IL RAPPORTO TRA ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO
DOTT. GIOVANNI RUBIN !
Napoli, 4 maggio 2015
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DIRITTI DEGLI AMMINISTRATORI
Nelle s.p.a. gli amministratori godono di due diritti: !• quello di percepire un compenso ex art. 2389 c.c. (con possibilità di deroga a
favore della gratuità, diversamente dai sindaci); • quello di agire in assenza di turbative. !!!Nelle s.r.l. il diritto ad agire in autonomia è affievolito dall'ampio potere concesso ai soci e dalla massima libertà di contenuto delle clausole statutarie (art. 2479, comma 1, c.c.)
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DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI
Solo per la valenza pratica che riveste nell'ambito dell'onere della prova, in dottrina si è soliti suddividere in: ! -‐ obblighi a contenuto generico; -‐ obblighi a contenuto specifico. CASS. 23/03/2004 N. 5718 In tema di responsabilità degli amministratori di società, occorre distinguere tra obblighi gravanti sugli amministratori che hanno un contenuto specifico e già determinato dalla legge o dall'atto costitutivo [...] e obblighi definiti attraverso il ricorso a clausole generali, quali l'obbligo di amministrare con diligenza e quello di amministrare senza conflitto di interessi.
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OBBLIGHI A CONTENUTO GENERICO
Perseguire l'oggetto sociale !Agire secondo canoni di diligenza (duty of care) !Non agire in conflitto di interessi (duty of loyalty)
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ATTI ESTRANEI ALL’OGGETTO SOCIALE
Art. 2328, comma 2, n. 3, c.c. (s.p.a.) Art. 2463, comma 2, n. 3, c.c. (s.r.l.) La pertinenza dell'attività dell'amministratore all'oggetto sociale assume il valore di precondizione necessaria alla valutazione di qualsiasi successivo comportamento. Un'operazione estranea all'oggetto sociale costituisce sempre mala gestio dell'amministratore e lo espone al risarcimento del danno in presenza di un pregiudizio dimostrabile. !Per stabilire l'estraneità è necessario accertare a quale finalità l'atto stesso sia concretamente diretto.
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ATTI ESTRANEI ALL’OGGETTO SOCIALE
L'unica difesa per il convenuto è la dimostrazione che l'atto non era in realtà estraneo, per tanto, non esistono parametri di valutazione della condotta. Casistica tipica: !• ipoteca concessa da società sugli immobili di proprietà a garanzia dei debiti di
un terzo; • sottoscrizione di un derivato speculativo, anche in fase di ricontrattazione; • concessione di finanziamenti a soggetti terzi.
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ATTI ESTRANEI ALL’OGGETTO SOCIALE
Il concetto di oggetto sociale ha perso con la riforma quella valenza di "limite invalicabile" che invece è rimasta per le s.p.a. !Art. 2479, comma 2, n. 5, c.c. In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci: 5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo. !Tuttavia, in caso di danno derivante da operazione estranea all'oggetto sociale !Art. 2476, comma 6, c.c. Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.
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ATTI ESTRANEI ALL’OGGETTO SOCIALE
Quantificazione del danno APP. MILANO 16/06/1995 L'entità del danno risarcibile dagli amministratori responsabili di averlo compiuto attraverso il compimento di investimenti mirati a scopi extrasociali è pari alla differenza fra le somme di denaro impiegate per tali investimenti e quelle poi recuperate a seguito della loro dismissione; e può essere aumentata dei relativi oneri finanziari se i predetti investimenti sono stati finanziati con capitali di credito"
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
ART. 2392 C.C. Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. !Tale articolo indica uno standard astratto di comportamento, richiamando esplicitamente l'art. 1176, comma 2, c.c. e confermando che trattasi di un'obbligazione di mezzi e non di risultato.
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
Natura dell'incarico: il riferimento è • alle caratteristiche oggettive dell'impresa (dimensioni, organizzazione, settore
di attività, struttura dell'azionariato, maggiore o minore prevalenza del capitale sul lavoro) ==> "natura";
• alle funzioni concretamente espletate da ciascuna amministratore (presidente, consigliere, delegato, membro del comitato) ==> "incarico".
Specifiche competenze: livello di istruzione, esperienze lavorative (curriculum). Chi è munito di maggiori competenze dovrà osservare un obbligo di diligenza più intenso. Da non confondere con l'art. 2387, comma 1, c.c.: Lo statuto può subordinare l'assunzione della carica di amministratore al possesso di speciali requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza.
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
In dottrina una corrente ritiene che il concetto di "diligenza" comprenda anche quello di perizia, intesa possesso di adeguata cultura d'impresa (che si deve tradurre in comportamenti prudenti e avveduti). !Relazione al D.Lgs. 6/2003: non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria e in ogni settore della gestione e dell'amministrazione dell'impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato,e non di irresponsabile o negligente improvvisazione.
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
Il generale dovere di diligenza si esplica altresì nel dovere di agire in modo informato, che il legislatore ha formalizzato ART. 2381, COMMA 3, C.C. [il consiglio di amministrazione] sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. ART. 2381, COMMA 5, C.C. Gli organi delegati [...] riferiscono al consiglio di amministrazione [...] sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo [...] ART. 2381, COMMA 6, C.C. Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società.
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
La diligenza non si traduce in un obbligo di porre in essere determinate scelte gestionali (opportune o inopportune), ma nel dovere di avviare delle procedure (cautele, informazioni, pareri tecnici) necessarie per adottarle in modo ponderato (non "cosa", ma "come"). Gli amministratori saranno considerati inadempienti al loro dovere di diligenza se effettuano scelte con colpevole improvvisazione, senza informarsi e senza soppesarne vantaggi e svantaggi. Non devono essere valutate le operazioni in sé nel merito, ma le fasi preliminari delle operazioni, ossia i comportamenti propedeutici all'assunzione delle decisioni gestionali da cui sono scaturiti effetti pregiudizievoli.
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
Il GIudice, trattandosi di obbligazione di mezzi, non può mai sindacare il merito delle decisioni degli amministratori (principio della c.d. business judgement rule). CASS. 06/07/2970 N. 558 Il Giudice, investito di un'azione di responsabilità, non può giudicare sulla base di criteri discrezionali di opportunità o di convenienza, poiché in tal modo sostituirebbe ex post il proprio apprezzamento soggettivo a quello espresso o attuato dall'organo all'uopo legittimato.
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
CASS. 28/04/1997 N. 3652 Il giudizio sulla diligenza non può mai investire le scelte di gestione degli amministratori, ma tutt'al più il modo in cui esse sono state compiute. Non senza aggiungere che, ovviamente, un tale giudizio [...] costituisce una tipica valutazione di merito, come tale non sindacabile in cassazione se non per eventuali vizi di motivazione [...]. La perdita dell'esercizio e l'indebitamento della società, per le ragioni che già prima sono state illustrate, non sono adducibili come causa di responsabilità degli amministratori, non potendo tale responsabilità derivare dal solo fatto che le scelte imprenditoriali compiute non si siano rivelate felici né fortunate. !(Gli amministratori erano stati convenuti in giudizio per aver acquistato giocatori di calcio troppo anziani a prezzi eccessivi)
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
Ulteriore principio nel quale si esplica la "diligenza" è l'obbligo di vigilanza. !ART. 2392, COMMA 2, C.C. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal terzo comma dell'art. 1381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o attenuarne o eliminarne le conseguenze dannose
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
La previgente disciplina era più esplicita nel prevedere un dovere di vigilanza ed alcuni autori ne hanno dedotto che lo stesso sia meno stringente rispetto al passato. Tuttavia, TRIB. NAPOLI 03/02/2010 Sia prima che dopo la riforma ex d.lg. n. 6 del 2003, gli amministratori hanno il dovere di vigilare sulla gestione sociale e di intervenire per impedire il compimento di atti pregiudizievoli dei quali siano a conoscenza, o per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. L'obbligo di vigilanza ha carattere individuale e sussiste qualora le funzioni amministrative non siano state delegate.
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INOSSERVANZA DELLA DILIGENZA
!Nelle s.r.l. manca un aggancio normativo che indichi il dovere degli amministratori di agire con diligenza. !Valgono le indicazioni di dottrina e giurisprudenza precedenti alla riforma: • si applicano le norme in materia di mandato; • secondo alcuni la diligenza richiesta, non essendo stata specificata, è quella
"minore" del buon padre di famiglia, ma giurisprudenza maggioritaria ritiene corretto applicare il secondo comma dell'art. 1176 c.c.;
• sono, quindi, applicabili per analogia tutti i concetti esposti per le s.p.a.
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSI
Gli amministratori hanno il dovere di perseguire l'interesse sociale. Non esiste una definizione di "interesse sociale", per tanto: !• di norma l'interesse si sostanzia nello sviluppo dell'attività economica,
nell'incremento dei profitti, nella massimizzazione dei dividendi; • tuttavia, possono esservi società c.d. "di comodo" (tutela del bene anche a
scapito del profitto), e a capitale pubblico (interesse pubblico). E' complesso comprendere quando vi sia un'operazione in conflitto di interessi.
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSIPer le difficoltà di individuazione dei casi di conflitto di interesse, la riforma, cambiando la rubrica dell'art. 2391 c.c., valido solo per le s.p.a., si rivolge in generale agli "interessi degli amministratori". a) Gli aspetti procedurali della norma si applicano solo ed esclusivamente alle società
dotate di organo collegiale; b) rispetto alla disciplina previgente il testo innovato ha esteso il proprio ambito di
applicazione anche agli interessi non patrimoniali ("ogni interesse"); c) l'amministratore di c.d.a., oltre a dare notizia dell'interesse che egli abbia in una
determinata operazione a tutti gli amministratori e ai sindaci deve precisarne • natura: patrimoniale o meno, conflittualità o compatibilità con gli scopi sociali,
attualità o potenzialità; • termini: se l'amministratore è portatore dell'interesse per conto proprio o di terzi ed
indicare il soggetto interessato; • origine: modalità con cui l'interesse è sorto, preesistente o successivo alla nomina
ad amministratore; • portata: aspetti temporali e quantitativi dell'interesse.
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSI
d) Il consiglio di amministrazione deve adeguatamente (analisi comparativa, dimostrazione della prevalenza dell'interesse della società su quello dell'amministratore) motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione;
e) non vi è più l'obbligo di astensione dal voto da parte dell'amministratore "interessato" che abbia adempiuto al dovere di informazione;
f) il divieto di voto è ora previsto solo per gli amministratori soci in caso di delibera sulla loro responsabilità con quorum ridotto;
g) l'amministratore delegato dovrà astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale (non è sufficiente un'informativa);
h) l'amministratore unico deve darne notizia prima di porre in essere l'operazione al collegio sindacale e informare i soci alla prima assemblea utile (considerata l'inesistenza di poteri gestori in capo all'assemblea, non si ritiene applicabile come in passato l'art. 1394 c.c. e non è necessaria una convocazione ad hoc).
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSI
Nelle s.r.l. non esiste una norma simile all'art. 2391. L'art. 2475-‐ter si limita a riconoscere l'annullabilità dei contratti stipulati dagli amministratori in conflitto di interesse e l'impugnabilità, se cagionevoli di danno, delle delibere assunte con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi. Di fatto viene riproposto il contenuto dell'art. 1394 c.c. e dottrina ritiene applicabile altresì l'art. 1395 c.c. (contratto con se stesso, è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un'altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificamente).
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSI
L'art. 2391 c.c. prevede che L'amministratore risponde dei danni derivati dalla sua azione od omissione. Oggetto di risarcimento è tanto il lucro cessante, quanto il danno emergente (in passato si escludeva il lucro cessante visto l'utilizzo del termine "perdite" al posto di "danno"). L' "omissione" è contemplata per sanzionare gli amministratori che, informati di un interesse in conflitto, rimangono inerti.
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSI
Casistica Prelevamenti indebiti e pagamenti di somme non dovute TRIB. MILANO 26/01/1993 Non è contestato, in fatto, che i prelievi di denaro dalle casse sociali non erano motivati da esigenze connesse con l'attività di gestione della xxxx, ma giustificati da esigenze di liquidità di altre società o soggetti facenti capo allo stesso gruppo aziendale. Tanto basta, senza necessità di ulteriori indagini sull'elemento soggettivo, per ritenere la responsabilità dell'amministratore per aver agito in conflitto di interessi con la società
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSI
Casistica Operazioni concluse senza adeguato corrispettivo TRIB. MILANO 09/06/1977 Posto infatti che, come si è avanti accertato, l'operazione considerata intercorsa tra la xxxxx e la xxxxxxx, e che in entrambe le società il xxxxx rivestiva all'epoca la qualità di amministratore, non vi può essere dubbio che egli si trovava in conflitto di interessi, venendo a gestire l'affare in posizioni irriducibilmente contrapposte; perciò egli aveva l'obbligo di informare dell'operazione gli altri amministratori e il collegio sindacale, ai sensi della norma di legge sopra richiamata. Senonché il xxxxx non ha dimostrato, come era suo onere, di aver osservato tale precetto, e pertanto la sua responsabilità in ordine alle perdite subite dall'attrice nell'operazione di cui trattasi deve essere affermata anche sotto questo profilo.
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DIVIETO DI AGIRE IN CONFLITTO DI INTERESSI
Casistica Operazioni sfruttate personalmente ART. 2391, ULT. COMMA, C.C. ("CORPORATE OPPORTUNITIES") L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico. In dottrina l'esistenza di una norma specifica ha fatto ritenere che l'attore può esimersi dal dimostrare la mancata diligenza, essendo sufficiente la prova dell'utilizzo di un'informazione riservata e di aver posto in essere un'operazione a proprio vantaggio a danno della società.
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VIOLAZIONE DI OBBLIGHI A CONTENUTO SPECIFICO
Sono tali quelli contemplati da specifiche previsioni di legge. Mentre per l'inadempimento degli obblighi generici è necessario provare la difformità del comportamento dell'amministratore da canoni di diligenza "standard", l'inosservanza degli obblighi specifici è di immediato rilievo (è sufficiente provare che l'amministratore non ha tenuto il comportamento previsto dalla legge). Impossibile un'elencazione esaustiva.
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IRREGOLARITA’ DELLE SCRITTURE CONTABILI
CASS. 25/07/1979 N. 4415 (TESI MAGGIORITARIA IN CASO DI TENUTA IRREGOLARE) Le mere irregolarità contabili non sono di per sé produttive di un danno e non costituiscono autonoma fonte di un obbligo, perché la responsabilità dell'amministratore non deriva dalla sola irregolarità della tenuta dei libri contabili, se da questo fatto non dipende un pregiudizio economico della società. CASS. 19/12/1985 N. 6493 (TESI MINORITARIA IN CASO DI TOTALE TENUTA) La totale mancanza di contabilità sociale, o la sua tenuta in modo sommario e non intelligibile, è di per sé giustificativa della condanna dell'amministratore al risarcimento del danno [...]. La corte di merito ha correttamente indicato nella differenza che risulterà tra il passivo e l'attivo fallimentare al termine del fallimento, il criterio di determinazione del danno.
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IRREGOLARITA’ DELLE SCRITTURE CONTABILI
CASS. 04/04/1998 N. 3483 (TESI INTERMEDIA) Una volta accertato che gli amministratori di una società [...] abbiano consumato violazioni dei loro doveri [...] e che da queste violazioni sia derivato un danno alla società, l'impossibilità di determinare in modo specifico il nesso esistente tra le singole violazioni e l'ammontare del danno globalmente accertato (ossia la concreta misura del danno conseguente ad ogni singola violazione), in conseguenza della circostanza che le scritture contabili sono state tenute in modo da impedire la ricostruzione a posteriori delle vicende societarie, [...] aggrava la loro responsabilità e si traduce in un pregiudizio per la loro posizione processuale, legittimando l'ascrivibilità dell'intero danno.
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REDAZIONE DEL BILANCIO
La redazione del bilancio non è attività delegabile ex art. 2381, comma 4, c.c. (s.p.a.) e art. 2475, ult. comma, c.c. (s.r.l.). APP. MILANO 13/02/2004 La violazione di cui all'art. 2423-‐bis c.c. da parte degli amministratori che abbiano rappresentato una situazione patrimoniale della società non rispondente alla situazione effettiva (in base a criteri legali) di fatto evitando l'immediata adozione degi provvedimenti richiesti dagli artt. 2446 e 2447 c.c., non li espone automaticamente alla responsabilità prevista dall'art. 2392 c.c., né a quella di cui all'art. 2043 c.c. [...] se non si accompagna alla prova che da tali e siffatte violazioni siano direttamente derivati pregiudizi.
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SOTTOVALUTAZIONE DELLE POSTE DI BILANCIO
CASS.22/06/1990 N. 6278 Si deve ritenere esatta la distinzione fra atti di disposizione compiuti a scopi extrasocietari, o comunque per scopi di indimostrata coincidenza con quelli societari, ed atti di disposizione computi nell'interesse e nell'ambito della gestione dell'impresa sociale. Per i primi, infatti, alla responsabilità per l'occultamento, si aggiunge quella per l'oggettiva sottrazione del bene sociale [...]. Per i secondi, invece, non è ravvisabile altra responsabilità, oltre quella per occultamento, tenendo conto che l'impiego del bene per fini attinenti all'impresa sociale, ove non risulti un espresso divieto (o l'obbligo di munirsi di preventiva autorizzazione), non lede diritti della società diversi da quello di essere notiziata dall'operato dei propri organi.
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SOTTOVALUTAZIONE DELLE POSTE DI BILANCIO
Se le riserve, ancorché occulte rimangono nel patrimonio sociale non vi è danno, viceversa se le riserve occulte escono dal patrimonio sociale. !Il pregiudizio non riguarda il fatto in sé, ma il successivo illegittimo comportamento (distrazioni, infedele dichiarazione, reperimento di finanze presso il sistema bancario, ricapitalizzazioni a causa di perdite non reali, vendita di azioni a prezzi inferiori).
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SOPRAVVALUTAZIONE DELLE POSTE DI BILANCIO
Le sopravvalutazioni del patrimonio (maggiore attivo, minore passivo) non sono sanzionabili in sé, ma possono comportare: !• maggiore tassazione per la società per utili mai realizzati (danno alla società); • depauperamento patrimoniale a seguito di distribuzione di utili fittizi (danno
alla società); • acquisto di azioni e versamenti di capitale indotti da bilanci irregolari (danno ai
soci ed ai terzi); • fornitori o banche che abbiano concesso dilazioni di pagamento o finanziamenti
sulla base di dati non corretti (danno ai creditori).
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CONTROLLO SULLA STIMA DEI CONFERIMENTI IN NATURA
Il controllo da parte degli amministratori è previsto esplicitamente solo per le s.p.a. (art. 2343 c.c.). Tuttavia, dottrina maggioritaria lo ritiene estensibile alla s.r.l. in virtù del dovere di tutelare l'effettività del capitale sociale imposto agli amministratori. !4 situazioni: !• costituzione tramite conferimento in natura; • aumento di capitale tramite conferimento in natura; • trasformazione progressiva da società di persone a società di capitali; • acquisto da parte della società nei due anni dalla costituzione di beni o crediti
per un importo pari o superiore al decimo del capitale sociale
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CONTROLLO SULLA STIMA DEI CONFERIMENTI IN NATURA
TRIB. NAPOLI 23/01/2009 Quando si tratta di beni per stimare i quali occorre un'alta specializzazione, gli amministratori -‐ fisiologicamente privi di competenze specifiche per una siffatta valutazione tecnica -‐ devono avvalersi (senza esenzione da responsabilità) dell'ausilio di uno o più professionisti operanti nel settore.
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OBBLIGO DI CONVOCARE L’ASSEMBLEA IN CASO DI PERDITE
Si tratta degli obblighi indicati agli artt. 2446 e 2447 c.c. (per le s.p.a.) e agli artt. 2482-‐bis e 2482-‐ter c.c. (per le s.r.l.). Le criticità che possono indurre responsabilità: • momento consumativo: la legge prevede che gli amministratori convochino senza
indugio l'assemblea nel momento in cui risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo. L'utilizzo del verbo "risultare" porta a ritenere che l'obbligo non sorge nel momento in cui la perdita si verifica, ma nel momento in cui è conosciuta o conoscibile secondo ordinari canoni di diligenza. La prova dell'anticipata conoscenza della perdita è a carico della parte attrice;
• nesso di causalità: il danno non consiste dalla mancata convocazione dell'assemblea in sé considerata, ma dalle ulteriori perdite derivanti dall'omessa convocazione. L'amministratore risponde delle conseguenze del proprio inadempimento, con esclusione di quei danni che si sarebbero comunque compiuti anche con la convocazione. E' complesso provare quale sarebbe stata la delibera dell'assemblea, quindi è raro riuscire a provare il nesso di causalità.
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OBBLIGO DI CONVOCARE L’ASSEMBLEA IN CASO DI PERDITE
• relazione patrimoniale: detta relazione [...] deve porre in evidenza, quando esiste, lo stato di crisi dell'impresa e le ragioni che l'hanno determinato, così da porre i soci in condizione di adottare i provvedimenti opportuni (Cass. 04/05/1994 n. 4326). Se la relazione è errata ed i soci decidono di ricapitalizzare, può sorgere una responsabilità in capo agli amministratori
• inerzia dell'assemblea: nel caso in cui nell'anno successivo la perdita cumulata non sia inferiore al terzo del capitale, gli amministratori devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione. I soci inerti non potranno agire in responsabilità in caso di omissione.
TRIB. MILANO 22/09/1986 L'omissione della tempestiva convocazione dell'assemblea da parte degli amministratori quando il capitale sia interamente perduto [...] comporta la responsabilità [...] per il danno che subisce chi, in presenza degli avvenimenti negativi predetti, sottoscrive un aumento di capitale e ne versa l'importo nelle casse sociali, in base ad una deliberazione nulla.
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DIVIETO DI INTRAPRENDERE NUOVE OPERAZIONIART. 2484, N. 4, C.C. Le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata si sciolgono: [...] 4) per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli articoli 2447 e 2482-‐ter; ART. 2485, COMMA 1, C.C. Gli amministratori devono senza indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2484. Essi, in caso di ritardo od omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi. ART. 2486 C.C. Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all'art. 2487-‐bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale. Gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma.
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DIVIETO DI INTRAPRENDERE NUOVE OPERAZIONI
Il "vecchio" art. 2449 c.c. disponeva tout court che gli amministratori, quando si è verificato un fatto che determina lo scioglimento della società, non possono intraprendere nuove operazioni". Con la riforma vi sono due adempimenti consecutivi: 2485: accertamento della causa di scioglimento e iscrizione al Reg. delle imprese; 2486: porre in essere solo operazioni aventi carattere conservativo. La riforma ha recepito le indicazioni giurisprudenziali emerse nel vigore della precedente formulazione del codice civile, per tanto gli orientamenti previgenti risultano tuttora validi (Trib. Milano 18/01/2011). L'unica differenza è che la responsabilità dell'amministratore non investe più l'operazione non conservativa in sé, ma il danno che ne scaturisce.
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DIVIETO DI INTRAPRENDERE NUOVE OPERAZIONI
L'onere della prova rispetto alla data di conoscenza del verificarsi della perdita qualificata tale da comportare lo scioglimento della società spetta all'attore, tuttavia gli amministratori non potranno provare di aver ignorato l'esistenza della stessa dopo la redazione del progetto di bilancio. !TRIB. MILANO 24/01/1983 Spetta a chi esercita l'azione di responsabilità dimostrare che l'operatività del divieto prescritto dall'art. 2449 citato risalga ad un momento anteriore a quello della formazione del bilancio o della chiusura dell'esercizio.
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DIVIETO DI INTRAPRENDERE NUOVE OPERAZIONI
Secondo l'art. 2486 c.c., in sostanziale continuità con l'interpretazione del vecchio art. 2449 c.c., sono precluse tutte quelle operazioni che comportano l'avvio di azioni speculative, l'assunzione di rischi d'impresa ed il conseguimento di nuovi utili, mentre sono consentite le operazioni finalizzate alla realizzazione più conveniente dei beni della società ed all'estinzione dei rapporti pendenti. TRIB. MILANO 03/02/2010 L'abrogazione del previgente articolo 2449 c.c. non ha ristretto, bensì ampliato, il perimetro della responsabilità degli amministratori, in quanto gli attuali artt. 2485 e 2486 c.c. superano il divieto delle sole operazioni "nuove", riferendosi a qualsiasi danno cagionato dalla società, ai creditori o ai terzi. !!!
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DIVIETO DI INTRAPRENDERE NUOVE OPERAZIONI
CASS. 19/09/1995 N. 9887 (NUOVI ORDINATIVI) In considerazione della particolare finalità del divieto sancito dall'art. 2449 c.c. vanno qualificati come nuove operazioni tutti quei rapporti giuridici che, svincolati dalle necessità inerenti alle liquidazioni delle attività sociali [...] siano costituiti dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di liquidazione della società. [...] Nel caso in esame [...] le nuove ordinazioni di prodotti farmaceutici non erano finalizzate alla liquidazione della società ma costituivano il normale svolgimento dell'attività della società poi fallita ed erano preordinate al conseguimento di nuovi utili.
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DIVIETO DI INTRAPRENDERE NUOVE OPERAZIONI
CASS. 27/11/1982 N. 6431 (ESECUZIONE DI COMMESSE PRECEDENTI) La perdita del capitale sociale, quale fatto presupposto della responsabilità dell'amministratore che aveva intrapreso nuove operazioni è stata accertata con riferimento ai dati risultanti dal bilancio al 31 dicembre 1972. Le commesse in questione, evidentemente, erano state acquisite prima di tale data; ma la loro esecuzione, secondo la sentenza impugnata, fu iniziata nel 1973. E poiché l'esecuzione predetta (intrapresa, quindi, dopo che già si era verificato l'evento previsto dall'art. 2448, n. 4, c.c.) non era finalizzata alla liquidazione specifica della società, nel senso che non era necessaria per portare a compimento un'attività già intrapresa, ma era preordinata al conseguimento di nuovi utili [...], bene la stessa è stata considerata come rientrante nel novero di quelle nuove operazioni in relazione alle quali l'art. 2449 c.c. prevede la responsabilità degli amministratori.
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DIVIETO DI INTRAPRENDERE NUOVE OPERAZIONI
TRIB. GENOVA 30/04/2985 (FUNZIONAMENTO PER NON DISPERDERE L'AVVIAMENTO) Nei pochi mesi decorsi tra il febbraio ed il giugno 1991, era assurdo pretendere dagli amministratori un'interruzione improvvisa dello stabilimento siderurgico e, quindi, delle richieste forniture di routine, pur nella grave difficoltà finanziaria, in presenza di serie prospettive di recupero e, comunque, per non aumentare con decisioni affrettate ed avventate le perdite economiche, i problemi sociali ed occupazionali, nonché i danni per gli stessi fornitori, in vista dell'imminente fase di liquidazione della società.
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CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA
ART. 2367 C.C. Gli amministratori [...] devono convocare senza ritardo l'assemblea, quando ne è fatta domanda da tanti soci che rappresentano almeno il ventesimo del capitale sociale [...] e nella domanda sono indicati gli argomenti da trattare. Se gli amministratori [...] non provvedono, il tribunale [...], ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell'assemblea. L'espressione "soci" in realtà deve essere letta come "titolari di diritto di voto" (usufruttuario, creditore pignoratizio, custode, girante delle azioni per procura, società fiduciaria).
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CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA
TRIB. AOSTA 12/04/1994 Dalla richiesta della minoranza scaturisce per il consiglio di amministrazione, non già l'obbligo di dar corso alla convocazione dell'assemblea, ma solo l'obbligo di provvedere (eventualmente anche in senso negativo). E ciò anche in quanto nei poteri del Consiglio rientra la preventiva valutazione sull'opportunità o meno della convocazione. TRIB. VERONA 21/11/2008 Il novellato art. 2367 c.c. prevede che gli amministratori non sono obbligati automaticamente alla convocazione dell'assemblea, una volta pervenuta la richiesta da parte dei soci che rappresentino almeno un decimo del capitale sociale, ma possono sindacare la richiesta e rifiutare la convocazione, purché sulla base di motivi giusitificati.
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OBBLIGO DI DARE ESECUZIONE ALLE DELIBERE
ART. 2364, COMMA 1, N. 5, C.C. L'assemblea delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti. ART. 2479, COMMA 1, C.C. I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione. !
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OBBLIGO DI DARE ESECUZIONE ALLE DELIBERE
Secondo la giurisprudenza maggioritaria non esiste un obbligo assoluto a carico degli amministratori di dare esecuzione alle deliberazioni assembleari: l'obbligo specifico di dare esecuzione alle deliberazioni dovrà cedere il passo all'obbligo generale di amministrare con diligenza. Prevale il disposto di cui all'art. 2380-‐bis c.c., secondo cui la gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori. Si applica l'art. 1171, comma 2, c.c., secondo cui il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute, qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione.
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OBBLIGO DI DARE ESECUZIONE ALLE DELIBERE
Delibere nulle (impossibilità o illiceità dell'oggetto): non esiste alcun obbligo per gli amministratori di dar seguito alla decisione ed incorrerebbero in responsabilità nel caso contrario (tamquam non esset); !Delibere annullabili: l'obbligo di esecuzione sussiste, ma sorgerà l'ulteriore onere di impugnare la delibera stessa, a cui sono legittimati ex art. 2377, comma 2, c.c.
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DIVIETO DI AGIRE IN CONCORRENZA
ART. 2390 C.C. Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un'attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo autorizzazione dell'assemblea. Si tratta di un'applicazione specifica del dovere di non agire in conflitto di interessi: nel caso in cui l'amministratore assuma uno dei ruoli indicati nell'art. 2390 c.c. c'è una sorta di inversione dell'onere della prova.
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DIVIETO DI AGIRE IN CONCORRENZA
Solo l'assemblea dei soci e lo statuto possono derogare al divieto di concorrenza. !CASS. 01/10/1975 N. 3091 L'art. 2390 c.c. dichiara che gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un'attività concorrente, ma la parola "assumere", così come la parola "esercitare", ha semplicemente un significato oggettivo, senza alcun riguardo al momento in cui, prima o dopo la sua nomina, l'amministratore abbia assunto o stia per assumere la qualità incompatibile, l'art. 2390 intende vietare comunque che durante il suo ufficio l'amministratore si trovi a rivestire una qualità o a svolgere un'attività che pongano in situazione di dannoso o pericoloso antagonismo.
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GRADAZIONE DELLA RESPONSABILITA’
Maggiore responsabilità all’aumentare della discrezionalità e dei poteri gestori.
Amministratore Unico
Amministratore delegato
Comitato esecutivo
Consiglio di amministrazione
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RESPONSABILITA’ SOLIDALE
Art. 2392, comma 1, c.c. [...] Essi sono solidalmente responsabili [...] Accertata la responsabilità degli amministratori, chi agisce per i danni può rivolgersi per l'intero anche nei confronti di un unico amministratore; Nel rapporto interno tra amministratori potrà essere esercitata l'azione di regresso per il riconoscimento della gradazione e per ottenere il rimborso di quanto pagato in eccesso.
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ESENZIONE DA RESPONSABILITA’
L'art. 2392, comma 3, c.c. prevede l'unico modo per esentare da responsabilità un amministratore. Due elementi: • annotazione senza ritardo del suo dissenso nel libro delle adunanze del
consiglio; • immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. Si ritiene che sia sufficiente l'annotazione durante la delibera e nella successiva comunicazione al collegio sindacale (che comunque è presente alla delibera) il dissenso deve essere confermato e motivato.
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E' necessario distinguere tra assenza giustificata e assenza non giustificata. TRIB. MILANO 26/06/1989 L'assenza dal consiglio di amministrazione che ha assunto una deliberazione da cui discenda la responsabilità degli amministratori per danni alla società non ha rilevanza esimente per il consigliere stesso, essendo questi tenuto a prendere visione successivamente del verbale della riunione nella quale fu assente, ad assumere, se del caso, ulteriori informazioni, indi valutare l'opportunità di chiedere l'annotazione e di compiere la comunicazione di cui all'art. 2392. In caso di assenza ingiustificata, deve fare quanto possibile per eliminare le conseguenze dannose: impugnare la delibera se la stessa è l'unico rimedio per eliminare o attenuare le conseguenze dannose.
AMMINISTRATORE ASSENTE
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AMMINISTRATORE CESSATO
Cause: morte, decadenza, revoca, scadenza e rinuncia. !Negli ultimi due casi l'effetto sarà immediato nel caso in cui rimanga in carica la maggioranza dei consiglieri, oppure differito alla ricostituzione della stessa. L'amministratore cessato ha il dovere di porre in essere tutti i comportamenti indispensabili a garantire il normale proseguimento dell'attività sociale per un periodo fisiologicamente necessario a che l'assemblea deliberi la sostituzione.
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AMMINISTRATORE SUBENTRANTE
Se si esclude quello di prima nomina nell'atto costitutivo, l'amministratore neo-‐nominato non interviene una situazione neutra. TRIB. MILANO 21/10/1999 Gli amministratori che entrano in carica hanno il dovere di rettificare e rimuovere le irregolarità riscontrate relative a precedenti esercizi. CASS. 27/02/2002 N. 2906 La responsabilità dell'amministratore di società di capitali per il ritardo nell'adozione delle misure necessarie a contenere le perdite e per la mancata richiesta di fallimento non viene meno per effetto della responsabilità del precedente amministratore nell'aver occultato detto stato, una volta che di questo egli abbia avuto contezza.
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NATURA DELLA RESPONSABILITA’
La responsabilità si distingue in: contrattuale ed extracontrattuale. Tre profili di rilevanza: a) onere della prova
• Contrattuale: l'attore dovrà provare solo l'inadempimento, il danno ed il nesso di causalità tra inadempimento e danno. Il convenuto tenterà di provare di non aver potuto adempiere per causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c. (per violazioni di obblighi specifici) oppure di aver adempiuto con la necessaria diligenza ed in assenza di conflitto di interessi (per violazioni di obblighi generici);
• Extracontrattuale: l'attore dovrà provare l'inadempimento, il danno, il nesso di causalità, il dolo o la colpa (in re ipsa per violazione di obblighi specifici);
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NATURA DELLA RESPONSABILITA’
b) misura del danno risarcibile: • Contrattuale: l'art. 1225 c.c. limita il risarcimento ai soli danni prevedibili,
salvo che l'inadempimento non derivi dal dolo; • Extracontrattuale: sono risarcibili anche i danni non prevedibili.
!c) termine di prescrizione:
• Contrattuale: si applica l'art. 2941, n. 7, c.c., il cui contenuto è riportato nell'art. 2393 c.c. 5 anni dalla cessazione della carica;
• Extracontrattuale: si applica l'art. 2949, comma 2, c.c. e l'art. 2935 c.c. 5 anni dal momento in cui il diritto può essere fatto valere.
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AZIONI DI RESPONSABILITA’
Per le s.p.a. art. 2393 e 2393-‐bis c.c.: azione sociale di responsabilità; art. 2394 c.c.: azione dei creditori sociali; art. 2395 c.c.: azione dei soci e dei terzi. Per le s.r.l. art. 2476, comma 1, c.c.: azione sociale di responsabilità; art. 2476, comma 7, c.c.: azione dei soci e dei terzi; nessuna previsione normativa per l'azione dei creditori sociali. La giurisprudenza di merito maggioritaria propende per la possibilità di esperire l'azione dei creditori anche nelle s.r.l. per motivi di sistema (l'art. 2486, comma 2, c.c.; l'art. 2477, ult. comma, c.c.; l'art. 2497 c.c.)
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AZIONI DI RESPONSABILITA’ E FALLIMENTO
ART. 2394-‐BIS C.C. In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria le azioni di responsabilità previste dai precedenti articoli spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario. ART. 146 L.F. Sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; !
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AZIONE SOCIALE DI RESPONSABILITA’
Consente alla società di fare valere in sede giudiziale il poprio diritto al risarcimento dei danni, in conseguenza di violazioni di obblighi imposti dalla legge o dallo statuto. Si tratta di responsabilità contrattuale (si dovrà individuare un modello astratto di comportamento solo per gli obblighi di natura generica). E' deliberata dall'assemblea dei soci (esclusione del socio amministratore dal quorum); Può essere deliberata da parte di tanti soci che rappresentino 1/5 del capitale sociale nelle s.p.a.; nelle s.r.l. può essere avviata da ogni socio; Può essere in qualsiasi momento interrotta per transazione o per rinuncia.
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AZIONE DEI CREDITORI SOCIALI
Sul presupposto che il capitale sociale di una società funge da garanzia patrimoniale per i creditori ex art. 2740 c.c., l'art. 2394 c.c. introduce la possibilità per i creditori di agire contro gli amministratori, subordinatamente a due presupposti: a) il patrimonio sociale deve essere depauperato in misura tale da renderlo insufficiente al
soddisfacimento dei creditori; !a) l'insufficienza del patrimonio deve essere stata causata dalla violazione da parte degli
amministratori degli obblighi inerenti la conservazione del patrimonio sociale. Si tratta di responsabilità extracontrattuale, per tanto l'attore dovrà provare: danno, inadempimento degli obblighi di conservazione del patrimonio, nesso di causalità (se non avessero tenuto tale condotta il patrimonio sarebbe capiente), profilo soggettivo doloso o colposo (contenuto generico / contenuto specifico).
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AZIONE DEI CREDITORI SOCIALICASS. 14/02/1966 N 441 L'insufficienza del patrimonio sociale rappresenta una situazione più grave e definitiva dell'insolvenza; quest'ultima può infatti derivare anche da uno stato di illiquidità al momento della scadenza delle obbligazioni, pur essendo integro il patrimonio sociale. Presupposto dell'azione ex art. 2394 c.c. è invece che l'integrità del patrimonio sia venuta meno, mentre non è necessario né sufficiente che si proceda preliminarmente alla liquidazione della società, anche attraverso la procedura concorsuale. CASS. 25/07/2008 N. 20476 Tale concetto si differenzia anche dall'eventualità della perdita integrale del capitale sociale, dal momento che quest'ultima evenienza può verificarsi anche quando vi è un pareggio tra attivo e passivo. Non si potrà avviare, quindi, l'azione dei creditori sociali se vi sia insolvenza dovuta a mera illiquidità o se il capitale sia perduto, ma le poste attive siano in grado di soddisfare integralmente i debiti.
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AZIONE DEI CREDITORI SOCIALI
Secondo l'art. 2394, comma 2, c.c. l'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. CASS. 28/05/1998 N. 5287 L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, esperibile ex art. 2394 c.c., dai creditori sociali [...] è soggetta a prescrizione quinquennale con decorso non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, bensì dal (successivo momento) dell'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti. CASS. 19/09/2011 N. 19051 Per la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori societari è necessaria l'oggettiva conoscibilità della situazione di incapienza fallimentare, che può desumersi da un complesso di elementi quali mancato deposito dei bilanci e la notorietà delle difficoltà nei pagamenti. !
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AZIONI DI RESPONSABILITA’ E FALLIMENTO
CASS. 2772 24/03/1999 Le due azioni civilistiche devono intendersi contemporaneamente proposte, sicché la responsabilità degli amministratori e dei sindaci può essere legittimamente dedotta ed affermata con riferimento ai presupposti dell'azione spettante ai creditori sociali (insufficienza patrimoniale cagionata dall'inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale), quanto con riferimento ai presupposti dell'azione sociale (danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione dei doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, ovvero inerenti al diligente adempimento delle rispettive funzioni. TRIB. MILANO 09/10/1989 In capo al commissario liquidatore confluiscono le azioni disciplinate dagli artt. 2393 e 2394 c.c., ma non l'azione prevista dall'art. 2395 c.c., che, dunque, ricorrendone i presupposti, può essere esercitata dal singolo socio o terzo in concorso con quelle spettanti al competente organo della procedura concorsuale.
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QUANTIFICAZIONE DEL DANNO
E' necessario distinguere in danno derivante da singole condotte e danno derivante dalla illegittima continuazione dell'attività d'impresa. Distrazione di attivo: il danno coincide con il controvalore del bene distratto o con l'importo delle somme indebitamente sottratte alla società. Operazioni fuori oggetto sociale: il danno è pari alle risorse impiegate o dissipate in esecuzione delle operazioni medesime (ad esempio: importo pagato per aver concesso una garanzia a terzi; la perdita subita dall'aver sottoscritto un contratto derivato speculativo). Violazione di norme tributarie e previdenziali: il danno è pari alle sanzioni irrogate ed agli interessi maturati.
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QUANTIFICAZIONE DEL DANNO
In caso di continuazione dell'attività i criteri di quantificazione del danno non possono che essere equitativi ai sensi dell'art. 1226 c.c. a) criterio del "deficit fallimentare"; b) criterio della differenza dei netti patrimoniali; c) criterio del danno statico.
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CRITERIO DEL DEFICIT PATRIMONIALE
Il danno è pari alla differenza tra l'attivo ed il passivo fallimentare. CASS. 15/02/2005 N. 3032 In sede di giudizio di responsabilità, nel determinare l'entità del danno imputabile all'illegittima condotta di amministratori o sindaci di società fallite o sottoposte ad altre analoghe procedure concorsuali, il criterio dell'identificazione automatica con la differenza tra attività e passività accertate in sede concorsuale è concettualmente insostenibile. Tale criterio differenziale, peraltro, può essere utilizzato in guisa di parametro cui ancorare una liquidazione equitativa ai sensi dell'articolo 1226 del Cc, una volta accertata l'impossibilità di ricostruire i dati in modo così analitico da individuare le conseguenze dannose dei singoli atti illegittimi. Affinché tale criterio sia legittimamente utilizzato dal giudice di merito, questi deve fornire una puntuale motivazione in ordine non soltanto all'effettiva impossibilità di addivenire a una ricostruzione degli specifici effetti pregiudizievoli procurati al patrimonio sociale dall'illegittimo comportamento degli organi sociali, ciascuno, ove occorra, distintamente valutato, ma anche alla plausibilità logica, in rapporto alle specifiche caratteristiche del caso in esame, dell'imputazione causale a detto comportamento dell'intero sbilancio patrimoniale della società quale accertato a distanza di tempo in sede concorsuale.
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CRITERIO DEL DEFICIT PATRIMONIALE
Il criterio del deficit patrimoniale non tiene conto del nesso di causalità tra condotta degli amministratori e danno provocato (non è detto, inoltre, che tutti i creditori presentino istanza di insinuazione al passivo). L'applicazione è ritenuta giustificabile solo se la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non ha consentito la ricostruzione delle vicende societarie (Cass. 5876/2011, 7606/2011, 22911/2010). CASS. 04/07/2012 N. 11155 Anche nell'ipotesi in cui il curatore non rinvenga la contabilità, il danno imputabile agli organi della società fallita non può essere automaticamente identificato, in via equitativa, nella differenza tra attivo e passivo accertato in sede concorsuale: tale criterio può essere infatti utilizzato solo laddove sia accertata la colpa dei detti organi nell'aver smarrito o distrutto la contabilità che in precedenza esisteva.
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CRITERIO DELLA DIFFERENZA DEI NETTI PATRIMONIALI
Nel caso in cui la perdita del capitale sociale sia notevolmente anteriore rispetto alla data di riferimento (cessazione della carica di amministratore o dichiarazione di fallimento), ove ricorra una particolare complessità nell'individuare le singole operazioni non aventi carattere conservativo ex art. 2486 c.c., il danno può essere quantificato come differenza dei netti patrimoniali alle due date (incremento della perdita). CASS. 17/09/1997 N. 9252 La differenza dei netti patrimoniali può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati con la analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento degli amministratori.
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CRITERIO DELLA DIFFERENZA DEI NETTI PATRIMONIALI
Le situazioni patrimoniali da comparare devono essere omogenee e redatte entrambe secondo i criteri dettati dall'OIC 5 in materia di bilanci di liquidazione. Peraltro non tutta la perdita è ascrivibile alla condotta degli amministratori. CASS. 23/06/2008 N. 17033 Non è giustificata [...] la liquidazione del danno in misura pari alla perdita incrementale derivante dalla prosecuzione dell'attività, poiché non tutta la perdita riscontrata dopo il verificarsi della causa di scioglimento può essere riferita alla prosecuzione dell'attività medesima, potendo in parte comunque prodursi anche in pendenza della liquidazione o durante il fallimento, per il solo fatto della svalutazione dei cespiti aziendali, in ragione del venir meno dell'efficienza produttiva e dell'operatività dell'impresa.
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CRITERIO DELLA DIFFERENZA DEI NETTI PATRIMONIALI
TRIB. MILANO 01/04/2011 Nell'invocare detto criterio della c.d. perdita differenziale agli effetti della determinazione del danno avrebbe dovuto: 1. confrontare situazioni patrimoniali omogenee di liquidazione (avendo assunto quale
condotta imputabile la ritardata liquidazione) provvedendo ad effettuare le relative rettifiche in quella ritenuta scorrettamente redatta secondo criteri di continuità aziendale;
2. escludere dal saldo "differenziale" gli effetti di operazioni non imputabili, quali, ad esempio, la svalutazione di partecipazioni conseguente all'approvazione dei bilanci delle controllate e/o di crediti.
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CRITERIO DEL DANNO STATICO
Ogni operazione viene valutata asetticamente, comparando ricavi e costi diretti e calcolando così il danno come somma degli effetti delle varie singole operazioni avviate. TRIB. MILANO 11/07/2011 Qualora gli amministratori contravvengano al divieto di intraprendere nuove operazioni dopo che il capitale è andato perduto o è sceso sotto il minimo legale, il danno, eventualmente dagli stessi risarcibile, è pari al valore degli affari intrapresi successivamente alla perdita del capitale sociale solo qualora il curatore abbia provato concretamente tale danno con il risultato economico delle singole operazioni pregiudizievoli. Per poter utilizzare tale criterio, tuttavia, si deve disporre non solo di una contabilità generale aggiornata, ma anche di una contabilità analitica o industriale tale da consentire analisi per centri di costo. Situazione difficilmente realizzabile nelle procedure concorsuali.
dott. Giovanni Rubin75
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO
L’esecuzione immobiliare consiste in una particolare azione coattiva con la quale un creditore può rendere coattivamente adempiente ad una propria obbligazione il debitore civile. !-‐ può riguardare tutti i debitori -‐ colpisce uno o più beni singolarmente individuati; -‐ il presupposto oggettivo è l’inadempimento !Il fallimento dal punto di vista processuale è anch’esso visto come una procedura coattiva, ma a differenza dell’esecuzione: !-‐ riguarda l’imprenditore commerciale non piccolo; -‐ colpisce tutti i beni del debitore (presenti, futuri e passati ==> revocatorie); -‐ il presupposto oggettivo è l’insolvenza.
dott. Giovanni Rubin76
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO
Art. 51 LF: salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento. !Art. 52 L.F.: Il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. !Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge. !Le disposizioni del secondo comma si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all’articolo 51.
dott. Giovanni Rubin77
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO
Che succede quando una procedura esecutiva è in corso alla data della dichiarazione di fallimento? !Tre scenari possibili: !-‐ subentro ex art. 107, comma 6, L.F.; -‐ intervento ex art. 499 c.p.c.; -‐ istanza di estinzione della procedura. !
dott. Giovanni Rubin78
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: SUBENTRO
Art. 107, comma 6, L.F.: Se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi; in tale caso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile; altrimenti su istanza del curatore il giudice dell’esecuzione dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione, salvi i casi di deroga di cui all’articolo 51. !Si tratta di una norma derivativa dell’art. 51 L.F. sul divieto di avviare ulteriori azioni individuali e contemporaneamente sancisce una continuità tra le due procedure. La ratio è quella di non perdere tutte le attività poste in essere dalla procedura esecutiva di cui può trarre beneSicio anche la procedura fallimentare. !!
dott. Giovanni Rubin79
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: SUBENTRO
La continuità tra le procedure produce effetti molto importanti. !Nel fallimento permane l’inopponibilità degli atti, delle domande, delle ipoteche e dei privilegi di cui agli artt. 2913 -‐2918 successivi al primo pignoramento del creditore procedente in sede ordinaria. Con il fallimento tale inopponibilità si estende dal solo creditore procedente a tutta la massa dei creditori. !Viceversa gli effetti del sequestro che non sia tramutato in pignoramento non si estendono alla massa dei creditori, poiché l’art. 2906 c.c. limita espressamente gli effetti al creditore sequestrante (“non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante…”). L’ipoteca iscritta su un bene sequestrato e non ancora pignorato non è opponibile al sequestrante (come anche la vendita), ma è opponibile al resto della massa dei creditori. Residua il rimedio dell’azione revocatoria. !!!
dott. Giovanni Rubin80
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: SUBENTROPerché non subentrare: -‐ non vi è alcun vantaggio economico, anzi solo potenziali maggiori costi (la procedura è appena iniziata)
-‐ si ritengono opportune delle procedure competitive maggiormente efSicaci ai sensi dell’art. 107 L.F. !
In caso di subentro: -‐ surrogazione? -‐ Sostituzione meramente processuale? -‐ Cass. 29 maggio 1997, 4743: successione processuale del tutto peculiare derivata dal divieto espresso dall’art. 51 L.F. !
In ogni caso: La procedura esecutiva nomina un custode, che viene immediatamente sostituito dal curatore con la dichiarazione di fallimento ai sensi del combinato disposto dagli artt. 42 L.F. e 559 c.p.c. La diretta conseguenza: i danni prodotti sull’immobile andranno a gravare in prededuzione sulla massa dei creditori, previa insinuazione al passivo. !!
dott. Giovanni Rubin81
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: INTERVENTO
Art. 499 c.p.c.: possono intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su un titolo esecutivo […]. Il ricorso deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione […] !L’intervento va proposto quando il creditore procedente è fondiario o quando le operazioni di vendita si sono già concluse e la procedura esecutiva si trova alla fase di riparto (in questo caso il curatore interverrà per vedersi riconosciuto il proprio diritto al riparto dell’intero ricavato dalla vendita). L’intervento avviene depositando la sentenza dichiarativa di fallimento in copia autentica e la nota di trascrizione ex art. 88 L.F. (quest’ultima può anche essere ritenuta superSlua avendo la mera funzione di pubblicità notizia). !!
dott. Giovanni Rubin82
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: INTERVENTO
Perché intervenire? !Art. 2748, comma 2, c.c.: I creditori che hanno privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecari se la legge non dispone diversamente. Art. 111 ter L.F.: Il curatore deve tenere un conto autonomo delle vendite dei singoli beni immobili oggetto di privilegio speciale e di ipoteca dei singoli beni mobili o gruppo di mobili oggetto di pegno e privilegio speciale, con analitica indicazione delle entrate e delle uscite di carattere speci0ico e della quota di quelle di carattere generale imputabili a ciascun bene o gruppo di beni secondo un criterio proporzionale. Art. 42 L.F.: sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Richiesta di riparto del residuo attivo, pagati gli intervenuti nell’esecuzione (se il bene è già stato venduto alla data di dichiarazione del fallimento, ma il riparto non è ancora stato eseguito). !
dott. Giovanni Rubin83
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: ESTINZIONE
!!!- Quando la procedura fallimentare non ottiene alcun beneficio dalla prosecuzione della
procedura esecutiva individuale; !- Quando il creditore procedente non si sia avvalso del privilegio fondiario; !- Quando risulta il programma di liquidazione contempla una procedura competitiva diversa
dall’esecuzione immobiliare individuale per l’alienazione degli immobili. !!Di norma il Curatore opterà per l’estinzione della procedura esecutiva quando la stessa è appena iniziata.
dott. Giovanni Rubin84
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: MUTUO FONDIARIO
Art. 38 TUB: concessione da parte di banche di Sinanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili. !Art. 41 TUB: L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di Sinanziamenti fondiari puo' essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facolta' di intervenire nell'esecuzione. La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento.
dott. Giovanni Rubin85
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: MUTUO FONDIARIO
Art. 41 TUB: Il custode dei beni pignorati, l'amministratore giudiziario e il curatore del fallimento del debitore versano alla banca le rendite degli immobili ipotecati a suo favore, dedotte le spese di amministrazione e i tributi, sino al soddisfacimento del credito vantato. !Con il provvedimento che dispone la vendita o l'assegnazione, il giudice dell'esecuzione prevede, indicando il termine, che l'aggiudicatario o l'assegnatario, che non intendano avvalersi della facoltà di subentrare nel contratto di Sinanziamento prevista dal comma 5, versino direttamente alla banca la parte del prezzo corrispondente al complessivo credito della stessa. L'aggiudicatario o l'assegnatario che non provvedano al versamento nel termine stabilito sono considerati inadempienti ai sensi dell'art. 587 del codice di procedura civile.
dott. Giovanni Rubin86
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: MUTUO FONDIARIO
Si tratta di un diritto processuale e provvisorio di assegnazione delle somme. Il problema principale è che non esiste una fase in cui il credito del creditore fondiario sia precisato o veriSicato in sede di esecuzione. !Il medesimo problema si pone in sede fallimentare: il creditore fondiario ha l’obbligo di partecipare al concorso con gli altri creditori (insinuazione al passivo), ma può ottenere il pagamento anche prima della veriSica del proprio credito. !La percezione del denaro è meramente provvisoria e diverrà deSinitiva solo con il riparto fallimentare. Qualora abbia percepito maggiori somme, il creditore fondiario sarà tenuto a riversarle (eventuale titolo esecutivo per il recupero da parte del curatore è il decreto di esecutività del riparto).
dott. Giovanni Rubin87
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: MUTUO FONDIARIO
Se il creditore fondiario non presenta la domanda di ammissione al passivo nemmeno tardivamente? !Le somme da lui percepite devono essere rese alla procedura, in quanto il riparto non diviene deSinitivo ed inopponibile alla massa dei creditori. !Anche le spese sono inopponibili al fallimento, per tanto il creditore fondiario sarà tenuto a versare alla procedura più di quanto ha percepito.
dott. Giovanni Rubin88
ESECUZIONI IMMOBILIARI E FALLIMENTO: MUTUO FONDIARIO
Nella prassi è opportuno che il curatore intervenga nell’esecuzione e chieda al G.E. l’attribuzione delle spese prededucibili a decurtazione delle somme destinate al creditore fondiario. !Le spese da considerare sono solo quelle servite per la conservazione del bene immobile e quelle generali di interesse anche del creditore ipotecario (Cass. 5 maggio 2009 n. 10297) !-‐ compenso del curatore (quota parte riferibile) -‐ spese prededucibili nel limite della loro utilità (anche solo potenziale) per il creditore ipotecario
dott. Giovanni Rubin 89
VI RINGRAZIO DELL’ATTENZIONE
dott. Giovanni Rubin !viale Trieste n. 18/d – 30029 San Stino di Livenza (VE) !tel. 0421310521 fax 0421310400 e-‐mail [email protected] twitter gio_rubin