tà - roma tre universityvo. mentre il regno animale è disegnato sulla base di una lingua comune,...
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Gli animali parlano?
Possono imparare una lingua umana?
Vi sono poi gli idoli che derivano quasi da un contratto e
dalle reciproche relazioni del genere umano: li chiamiamo
idoli del mercato a causa del commercio e del consorzio
degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei
discorsi, ma i nomi vengono imposti secondo la compren-
sione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione in-
gombra in molti modi l’intelletto. D’altra parte le defini-
zioni o le spiegazioni, delle quali gli uomini dotti si prov-
videro e con le quali si protessero in certi casi, non sono in
alcun modo servite di rimedio. Anzi le parole fanno vio-
lenza all’intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli
uomini a controversie e a finzioni innumerevoli e vane.1
F. Bacon, Novum Organum, 43 (trad. di P. Rossi)
Gli animali parlano? A dispetto della sua apparente sem-
plicità, cercare di rispondere seriamente a questa doman-
da è di fatto impossibile (come anche le infinite contro-
versie a questo proposito dimostrano) se non ci si accor-
da sul significato di 'parlare' o di 'linguaggio', 'lingua' o
nozioni simili. In altre parole, ci si trova davanti a un ti-
pico esempio di quelli che F. Bacon ha denominato idola
fori 'idoli del mercato', per riferirsi a un tipo di errore lo-
gico-dialettico che deriva dal linguaggio comune. Nell'u-
so comune, 'linguaggio' ha almeno tre usi diversi: (1) il
primo per riferirsi alle lingue umane in generale; (2) il
secondo (come in 'il linguaggio dell'arte') è un'estensione
metaforica per riferirsi a sistemi complessi (come anche
il termine 'grammatica', p.e. 'la grammatica della musi-
ca'); (3) il terzo è un via di mezzo tra i precedenti e sta a
significare una qualunque forma di comunicazione.
Spesso il senso (1) e il senso (3) vengono confusi, come
se fossero la stessa entità (più raramente, anche il senso
(2) viene confuso col primo senso). Cominceremo allora
a porci la domanda: gli animali comunicano?
1. Gli animali comunicano?
La risposta non può che essere, banalmente, positiva,
come è generalmente noto. Piuttosto, è più interessante
chiedersi come comunichino gli animali, e con quale ef-
ficacia. Anche questa domanda, però, non è priva di in-
sidie: (1) contrappone un'entità singola a un'entità quanto
1 Sunt etiam idola tanquam ex contractu et societate humani generis ad
invicem, quae idola fori, propter hominum commercium et consortium, appellamus. Homines enim per sermones sociantur; at verba ex captu vulgi
imponuntur. Itaque mala et inepta verborum impositio miris modis intellectum
obsidet. Neque definitiones aut explicationes, quibus homines docti se munire
et vindicare in nonnullis consueverunt, rem ullo modo restituunt. Sed verba
plane vim faciunt intellectui, et omnia turbant; et homines ad inanes et
innumeras controversias et commenta deducunt.
mai complessa e variegata (in altre parole, ci si può in-
terrogare su singole specie, al massimo su specie simili),
un chiaro atteggiamento antropocentrico; (2) accordarsi
sul concetto di comunicazione è tutt'altro che facile, per-
ché non è affatto chiaro dove finisca un atto comunicati-
vo vero e proprio e dove cominci un atto informativo
(p.e., arrossire è sicuramente un atto informativo dello
stato emotivo di un essere umano, ma molto difficilmen-
te verrebbe definito comunicativo). Nella teoria della
comunicazione regna un buon accordo, ragionevolmente,
sul fatto che il discrimine passi attraverso l'intenzionali-
tà. Su questa base, arrossire non è un atto comunicativo,
in quanto si tratta di una manifestazione fisica spontanea,
non controllabile. Tuttavia, questo criterio è ben lungi
dall'avere risolto tutti i problemi, per due ragioni. La
prima, contingente, è che non è sempre possibile deter-
minare se un atto informativo sia intenzionale o meno; la
seconda, intrinseca, è che la nozione di intenzionalità è
tutt'altro che chiara (p.e., gran parte dei gesti che accom-
pagnano il parlato umano sono inconsci, ma non automa-
tici, a differenza dell'arrossire: sono intenzionali o me-
no?). Nella trattazione che segue assumeremo che queste
riserve non siano tali da inficiare qualsiasi trattazione dei
sistemi di comunicazione animale, affidandoci a un ap-
proccio di tipo intuitivo. Più avanti esamineremo alcuni
tentativi di definire meglio la questione.
La prima osservazione generale è che esiste un'eviden-
te asimmetria tra l'aspetto genetico e quello comunicati-
vo. Mentre il regno animale è disegnato sulla base di una
lingua comune, il DNA, tale che permetta di disegnare
un albero filogenetico (come nel disegno a sinistra) – a
livello comunicativo il regno animale è privo di un codi-
ce universale di comunicazione (come il fatto che i
gruppi animali non sono connessi nel disegno a destra
mostra):
Né la parentela genetica è indicativa della somiglianza
tra i sistemi di comunicazione: una specie può utilizzare
una forma di comunicazione molto più simile a quella di
una specie molto lontana che a quella di una specie diret-
tamente imparentata. In altri termini, a livello di sistemi
di comunicazione esistono molte più analogie che omo-
logie. Un esempio è costituito proprio dal linguaggio
umano, che per molti versi è più simile a quello di molte
specie di uccelli che a quello degli altri primati (i.e. in-
contra più analogie che omologie). Dal punto di vista
della modalità, esistono sistemi vocali, visivi (gestuali,
facciali, corporali, ecc.), chimici e tattili.
Passeremo ora in rassegna alcuni tra i sistemi di comu-
nicazione animale più interessanti e meglio compresi.
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
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a. Api Le api comunicano per mezzo di una caratteristica "dan-
za". Quando un'ape scout individua del cibo, normal-
mente del nettare, torna all'alveare per comunicarne la
posizione alle compagne, che ricevono le informazioni.
Quando la danza è circolare
significa che la distanza tra
alveare e fonte di cibo è infe-
riore a 100 metri; in questo
caso le api si levano in volo e
compiono dei circoli fino a
che non individuano il cibo:
Quando la danza è a «8» la
distanza è superiore, ed è
proporzionale alla durata
delle oscillazioni: l'angolo
che l'ape mantiene rispetto
al Sole volando verso la
fonte di cibo corrisponde
all'angolo formato con il
Sole dal tratto rettilineo del-
la danza a otto:
Per indicare la fonte A l'a-
pe esegue il tratto rettilineo
in linea con il Sole; la stes-
sa danza, ma di verso op-
posto, per C; per B invece
il tratto rettilineo forma un
angolo di 80 gradi con il
Sole:
Inoltre, le api non sono
sorde, come si pensava: al
buio, riescono a interpreta-
re il messaggio ascoltando
le battute delle ali dell'ape che danza.
b. Delfini
È communis opinio che i delfini, ani-
mali altamente sociali, abbiano un so-
fisticato sistema di comunicazione. In
effetti, questo è stato confermato dalla
ricerca. Utilizzano diversi mezzi: vo-
calizzazioni, contatto fisico (morsi di
varia intensità compresi) gesti e posture per esprimere
stati emotivi (rabbia, frustrazione, contentezza, affetto),
informazioni a proposito dello stato riproduttivo, l'età, il
sesso, ecc., e informazioni sul mondo esterno, in partico-
lare per coordinare la caccia o per giocare. A volte, come
nella città di Laguna in Brasile, apprendono anche a co-
municare con gli esseri umani al fine di coordinare i loro
sforzi per la pesca. Le vocalizzazioni sono il mezzo co-
municativo più utilizzato e consistono fondamentalmente
di due tecniche diverse: fischi e click. I click sono ultra-
suoni, troppo al di sopra della soglia di udibilità per esse-
re percepiti dalla nostra specie, e vengono utilizzati so-
prattutto per la navigazione, come un sonar.
c. Uccelli È un luogo comune che gli uccelli abbiano un 'linguag-
gio'. In effetti, il carattere vocale dei loro sistemi di co-
municazione ha sempre colpito l'immaginazione umana,
in particolare per le complesse melodie che alcune specie
sono in grado di produrre, tali che, a sottolinearne l'ana-
logia con la voce umana, sono state paragonate a un can-
to, un'attività prettamente umana. Non tutti gli uccelli
"cantano": alcune specie, come il passero, si limitano a
dei cinguettii. Il linguaggio di alcune specie canterine,
come il fringuello, è stato studiato a fondo. Ne risulta un
quadro di grande complessità: i loro vocalizzi sono arti-
colati in modo simile alle emissioni umane. Di seguito
sono riportati i sonogrammi di due diversi canti di un
fringuello, che mostrano la divisione in sintagmi, sillabe
e fonemi:
L'analogia con il linguaggio umano, almeno dal punto di
vista fonico, è sorprendente, riproponendone una caratte-
ristica ben nota, la doppia articolazione del segno: le fra-
si sono articolate in morfemi (unità minime di significa-
to), le quali a loro volta sono articolate in fonemi (unità
di contrasto senza significato). Un altro aspetto che avvi-
cina il linguaggio degli uccelli a quello umano è la tradi-
zione, ovvero il fatto che anche negli uccelli il linguag-
gio non è del tutto innato: in una certa misura si basa
sull'imitazione del canto degli individui della propria
comunità e viene sviluppato durante tutta la vita. È stato
osservato che gli uccelli cresciuti in isolamento presen-
tano un canto diverso ('anormale', nella considerazione
degli ornitologi e, a quanto pare, degli stessi uccelli della
stessa specie) dagli altri individui cresciuti in condizioni
normali.
d. Primati
Tra i primati, il linguaggio dei cerco-
pitechi (vervet monkeys) dell'Africa
Orientale ha attirato l'attenzione degli
studiosi. I C. hanno un repertorio di
una trentina di versi (il numero esatto
è discusso perché alcuni includono
nell'elenco anche manifestazioni co-
me starnutire o vomitare, ragionevolmente escluse da al-
tri), che possono indicare l'incontro con un altro gruppo
Marco Svolacchia
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di consimili, l'interazione con altri membri del proprio
branco o l'avvistamento di un predatore. I C. lanciano ri-
chiami d'allarme diversi quando avvistano i loro princi-
pali predatori: leopardi, aquile e serpenti. Sembra trat-
tarsi, quindi, di segnali referenziali (per cui v. avanti).
2. Si può parlare di 'lingue animali'?
Appurato che gli animali (quale più, quale meno) comu-
nicano (pur con sistemi di sofisticatezza variabile), ci si
può chiedere se questi – o, meglio, alcuni di questi – di-
spongano di una vera e propria 'lingua'. Il problema qui,
ovviamente, è definire che cosa conti come lingua, per-
ché la risposta è direttamente correlata alla definizione di
questa sfuggente nozione. Ci sono stati diversi tentativi
di definire che cosa sia una lingua, tutti in qualche misu-
ra incentrati sulle caratteristiche del linguaggio umano,
creando il pericolo di circolarità: si mira a paragonare il
linguaggio umano ai linguaggi di altri animali, i quali,
però, sono a loro volta considerati tali nella misura in cui
somigliano a quello umano. Lupus in fabula è la propo-
sta di definizione del linguaggio umano che ha avuto
maggiore successo: quella di C. Hockett, basata su 16
T.ratti C.ostitutivi (Design Features) del linguaggio
umano, attraverso cui compararlo con gli altri sistemi di
comunicazione animale:
TC1 Canale vocale-uditivo
TC2 Trasmissione a distanza e ricezione direzionale
Il linguaggio umano può essere trasmesso a distanza ed è dire-
zionale (i.e. permette di individuare la posizione del parlante).
TC3 Rapida evanescenza
Il parlato svanisce istantaneamente.
TC4 Intercambiabilità
I membri adulti di una comunità linguistica sono contempora-
neamente emittenti e riceventi del segnale linguistico.
TC5 Retroazione
Il parlante ascolta tutto ciò che dice.
TC6 Specializzazione
I segnali linguistici sono specializzati perché la loro vera fun-
zione è solo quella di veicolare un messaggio linguistico.
TC7 Referenzialità
I segnali linguistici si possono riferire a elementi, processi e
proprietà del mondo.
TC8 Arbitrarietà
I segnali linguistici non sono (o non necessitano di essere)
iconici, i.e. non imitano ciò a cui si riferiscono. Anche nel ca-
so delle onomatopee, di numero e impatto molto limitato, una
certa quantità di arbitrarietà è coinvolta (come mostra il fatto
che variano in una certa misura di lingua in lingua).
TC9 Carattere discreto
I segnali linguistici sono discreti, non disposti lungo un conti-
nuum (un fonema non può essere più o meno /p/; una parola
non può essere più o meno 'casa').
TC10 Distanziamento
Il linguaggio umano può riferirsi non solo a elementi presenti,
ma anche ad elementi o avvenimenti lontani nello spazio e nel
tempo; può persino riferirsi a elementi inesistenti o ipotetici.
TC11 Apertura (creatività/produttività)
Il linguaggio umano permette di creare e comprendere un nu-
mero infinito di nuovi messaggi, grazie alla grammatica.
TC12 Tradizione
Le lingue umane specifiche non sono innate, ma debbono es-
sere apprese.
TC13 Doppia articolazione
Ogni lingua umana è articolata su due livelli: il primo di unità
senza significato che si combinano per formare unità dotate di
significato, i morfemi.
TC14 Prevaricazione
La possibilità di mentire.
TC15 Riflessività
La possibilità di parlare di linguaggio tramite il linguaggio
stesso.
TC16 Apprendibilità
La possibilità che un parlante di una lingua ne impari un'altra.
L'assunto di Hockett è che i TC non siano necessaria-
mente tratti distintivi della specie umana nel senso di
unici (perché alcuni di questi, come p.e. la fonicità, ri-
corrono anche in altre specie), ma nel senso che in nes-
sun altro sistema di comunicazione ricorrono tutti insie-
me. Per quanto interessante, questa lista presenta dei di-
fetti evidenti. È in una certa misura arbitraria nel nume-
ro, presentando TC specifici accanto ad altri generali
(perché 16 TC?), disordinata (quale relazione c'è tra i
TC?), ridondante (quali dipendono da un TC più genera-
le?) e, soprattutto, non gerarchizzata (i TC sono tutti alla
pari? Per esempio, i TC2-3 discendono evidentemente
dal TC1). Un altro problema è che si tratta di un sistema
ambiguo negli scopi: da un lato pretende di essere una
base neutra di comparazione tra i vari sistemi di comuni-
cazione; dall'altra è chiaramente antropocentrico: se è la
qualità del linguaggio che si vuole determinare, perché
contemplare la fonicità (e derivati) tra i TC? Tra l'altro,
non è nemmeno rilevante a livello della specie umana:
esistono lingue umane che non utilizzano il canale voca-
le-uditivo (come le lingue dei segni) o che lo codificano
in un sistema visivo (come nella lingua scritta) o tattile
(come nel Braille). Finisce, infine, nell'essere poco signi-
ficativo: qual è l'interesse nel dire che un certo linguag-
gio animale condivide n TC con quello umano, mentre
un altro ne condivide, poniamo, n+1? Per fare un esem-
pio, troveremmo soddisfacente le seguenti definizioni di
'essere umano'?
essere umano
(1) 'bipede senza penne'
(2) 'bipede senza pinne'
(3) 'bipede con peli', ecc.
In particolare, lasciano perplessi le definizioni al negati-
vo: 'senza x/y', ecc., che si possono moltiplicare ad libi-
tum (senza parlare del fatto che sospetteremmo che la
definizione (1) provenga da uno scienziato uccello, o or-
nitologo, mentre la seconda da uno scienziato pesce, o it-
tiologo). Di seguito, cercheremo di ordinare i TC, elimi-
nando le ridondanze, da una parte, e i TC che non sono
essenziali a definire la qualità di un linguaggio, dall'altra.
b. Tratti definitori di 'linguaggio' Molti TC contribuiscono, più o meno direttamente, a
realizzare quella che sembra la caratteristica principale
di ogni lingua umana: il suo carattere aperto o creativo,
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
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la possibilità di esprimere qualsiasi nozione concepibile
dalla nostra mente. Si tratta dei seguenti:
arbitrarietà (un sistema iconico è necessariamente li-
mitato nelle sue capacità espressive perché non è possibile
imitare la gran parte dei referenti possibili);
carattere discreto (un linguaggio basato su unità di valore
graduale, come la danza delle api, può funzionare solo se se-
riamente limitato);
referenzialità (un linguaggio non referenziale è una con-
traddizione in termini);
doppia articolazione (un sistema di segni non articolati è
poco funzionale sia per limiti di memoria sia per la difficoltà
di mantenere i vari segni ben distinti).
distanziamento, prevaricazione, riflessività (l'assenza di
ciascuna di queste proprietà determina una limitazione più o
meno seria alla creatività di un linguaggio).
A questi tratti ne sono stati aggiunti altri due da altri stu-
diosi: uso spontaneo (un atto comunicativo non sponta-
neo non può essere creativo) e dipendenza dalla struttu-
ra. Quest'ultimo equivale sostanzialmente a sintassi, in-
tendendo con ciò un sistema che permetta di creare infi-
nite possibilità combinatorie. Per ottenere questo risulta-
to le frasi debbono essere costruite sulla base di regole
precise (che si applicano coerentemente agli stessi ele-
menti) e ricorsive (applicabili un numero illimitato di
volte). Si considerino gli esempi seguenti:
1. Una bambina diede
una
mela
al
cavallo. 2. Una signora alta col cappello
'Una bambina' della frase (1) e 'La signora alta col cap-
pello della frase (2) differiscono notevolmente nella loro
forma apparente. Tuttavia, svolgono nella frase la stessa
funzione ('SOGGETTO'), come dimostrano le frasi equiva-
lenti passive, in cui hanno assunto un'altra funzione
("complemento di agente"), pur mantenendo la stessa
semantica (l'autore dell'azione di dare una carota):
Al
cavallo
fu
data una mela
da una bambina.
da una signora alta col cappello.
La ragione per cui 'Una bambina' e 'La signora alta col
cappello' funzionano come uno "stesso elemento" è che
entrambi sono elementi connessi al NOME; la differenza
tra i due casi è nel grado di espansione (nullo nel primo,
duplice nel secondo).
In sintesi, tutti i tratti costitutivi discussi (proposti sia
da Hockett sia da altri) possono essere compresi nella
proprietà della creatività (o apertura):
CREATIVITÀ
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Dei TC di Hockett rimane fuori la tradizione, che rientra
probabilmente nella stessa creatività, almeno in modo
probabilistico: se una lingua è innata come può essere
aperta? Non potrebbe ammettere modifiche né espansio-
ni (nuovi segnali). È poi concepibile che possa esistere
un linguaggio veramente complesso che sia interamente
innato? In altre parole, sembra inverosimile che un cor-
redo genetico possa contemplare una simile possibilità.
Degli altri tratti proposti da più parti restano fuori il
cambio di turno (il rispetto dell'alternanza di chi parla e
di chi ascolta nel dialogo) e la lettura della mente (la
capacità empatica di leggere le intenzioni, in primis co-
municative, del nostro interlocutore, i suoi stati d'animo
e di intuire le sue conoscenze). Si tratta certamente di
proprietà molto importanti, specie la seconda (la prima
può essere probabilmente sussunta sotto di questa), che
definisce in tutta evidenza una parte importante di ciò
che ci rende umani. Tuttavia, non si tratta di proprietà
del linguaggio in senso stretto, ma di tratti sociali che
rendono possibile l'uso normale (i.e. umano) dello stes-
so.
Il risultato di questa discussione è che il tratto che me-
glio permette di misurare la qualità di un sistema di co-
municazione è la creatività. Forti di questo armamenta-
rio, esamineremo i sistemi di comunicazione animale già
presentati per determinare se e in quale misura siano lin-
guaggi veri e propri.
I linguaggi animali sono creativi?
La risposta a questa domanda è negativa: la maggior par-
te degli animali dispone di un numero fisso di segnali,
emessi in circostanze ben definite. La domanda diventa
allora: esistono linguaggi animali creativi?
Api
È stato spesso messo in evidenza che il
linguaggio delle api contiene una sorta
di grammatica, perché è produttivo: a
seconda della distanza e della direzione
del cibo un'ape emette un segnale di-
verso. Tuttavia, la sua creatività è
estremamente limitata: può solo segnalare la posizione
del cibo. In secondo luogo, anche in questo ambito è se-
riamente limitato; ad esempio, le api non possono dare
informazioni verticali. K. von Frisch, lo studioso au-
striaco a cui si deve sostanzialmente tutto quello che si
sa riguardo al linguaggio delle api, lo provò con un espe-
rimento: mise un alveare ai piedi di un'antenna radio e
dell'acqua zuccherata sopra la stessa; poi la mostrò ad
alcune api. Queste furono incapaci di dare la giusta dire-
zione alle altre; si limitarono a fare la danza circolare per
indicare che il cibo era vicino. Risultato: per alcune ore
le altre api volarono in tutte le direzioni eccetto che so-
pra l'alveare, finché smisero. Von Frisch notò: 'Le api
non hanno una parola per 'su' nella loro lingua. Non ci
sono fiori tra le nuvole.'
La domanda che ci si potrebbe fare è se lo stesso sia
vero per il linguaggio umano, dato che, come si è detto,
ogni lingua è adeguata ad esprime la cultura della comu-
nità che la parla, non le altre. La risposta deve essere ne-
gativa: il linguaggio umano permette di creare nuove pa-
role (o di utilizzare combinazioni di quelle già esistenti)
quando si crea una nuova necessità. Il linguaggio delle
api invece non lo permette perché è un sistema chiuso.
Marco Svolacchia
5
Delfini
J. Bastian fece un esperimento che
sembrò dimostrare che i delfini parlas-
sero, i.e. che comunicassero in modo
creativo. Addestrò due delfini, Buzz
(maschio) e Doris (femmina) a preme-
re, di due pale (come nella figura a si-
nistra), quella destra se si accendeva una luce fissa, la si-
nistra se si accendeva
una luce intermitten-
te, ottenendo un pe-
sce in premio se en-
trambi svolgevano il
compito correttamen-
te:
Poi divise i due del-
fini tramite un pannello opaco, in modo che potessero
sentirsi ma non vedersi, e fece loro compiere lo stesso
esercizio. Questa vol-
ta, però, solo Doris
poteva vedere la luce.
Quindi, l'unica possi-
bilità per ottenere il
premio era che Doris
comunicasse a Buzz
di quale luce si trat-
tasse:
L'esperimento sembrò riuscire perfettamente (in mi-
gliaia di ripetizioni). In seguito, risultò che si trattava di
altro: anche quando i due delfini erano insieme, Doris
era solita emettere due versi diversi a seconda del tipo di
luce e aveva mantenuto questa abitudine anche dopo la
separazione. Quindi, Buzz si limitava ad associare i suo-
ni diversi che Doris meccanicamente emetteva alle luci
diverse, reagendo di conseguenza. Pertanto, nonostante
la loro impressionante intelligenza e il loro sofisticato si-
stema di comunicazione, nemmeno per i delfini sono sta-
te finora portate prove che comunichino in modo creati-
vo.
Uccelli Nemmeno il linguaggio degli uccelli ha dato prova di es-
sere creativo. Ci si potrebbe aspettare che possano co-
municare a proposito di un numero impreciso di situa-
zioni, dato il carattere altamente combinatorio delle note.
In realtà, per quanto è stato accertato, i canti degli uccelli
riguardano solo 2 campi: (1) corteggiamento e (2) segna-
lazione territoriale.
In conclusione, non è stata ancora portata evidenza di
linguaggi animali che mostrino dipendenza dalla struttu-
ra. In altre parole, nessuna forma di comunicazione ani-
male ha qualcosa di simile alla sintassi umana.
Non sono stati trovati linguaggi animali con la proprie-
tà del distanziamento. È stato a volte sostenuto che il
linguaggio delle api abbia questa proprietà, ma il distan-
ziamento possibile per le api si limita all'area operativa
(una circonferenza con un raggio di qualche chilometro)
e al tempo necessario per percorrerla.
Non è stata provata nemmeno la referenzialità: i segna-
li animali si riferiscono tipicamente a stati d'animo in
reazione a stimoli esterni (paura, allarme, aggressività,
desiderio sessuale, ecc.). Una possibile eccezione è il
linguaggio dei cercopitechi che, come abbiamo visto,
sembrano differenziare il segnale di fuga a seconda dello
specifico predatore. Anche qui, però, potrebbe trattarsi
solo di segnali operativi: 'scappare su un albero', se si
avvista un leopardo o un leone (a), 'nascondersi tra gli
arbusti, se si avvista un'aquila (b) e 'scappare via' se si
avvista un serpente (c): (a) (b) (c)
Infine, non è stato provato che qualche animale possieda
la capacità della lettura della mente, anche se è stata so-
stenuta per qualche primate e per alcuni animali dome-
stici come il cane. Per riassumere:
dipendenza d. struttura NON TROVATA
distanziamento NON TROVATO
referenzialità NON PROVATA
lettura della mente NON PROVATA
3. Gli A. possono imparare una lingua umana?
Il fatto che non esista in natura nulla di paragonabile alla
potenza espressiva del linguaggio umano non implica
necessariamente che nessun animale sia in grado di im-
parare una lingua umana. Detto in modo più interessante,
fino a che punto un animale può imparare una lingua
umana? Nella letteratura specifica, esistono studi che
mostrano capacità sorprendenti in questo senso, molto
più elevate certamente di quanto generalmente si ritenga.
a. Cani e uccelli Un caso spesso segnalato dai proprietari è quello della
capacità da parte del loro cane di comprendere parole, e
perfino frasi, almeno a un certo livello di approssimazio-
ne. Queste osservazioni sparse, a parte qualche evidente
esagerazione, sono state confermate dalla ricerca. È ap-
purato che i cani, specie alcune "razze" di cane, sono in
grado di apprendere molte decine di parole e di eseguire
dei comandi in modo analitico.
Probabilmente, però, il caso più sorprendente è quello
degli uccelli, specie pappagalli e merli indiani, che mo-
strano delle capacità di apprendere (e – a differenza dei
cani e dei primati – di pronunciare) diverse decine di pa-
role. Un caso ben conosciuto è quello di Alex, un pappa-
gallo grigio comprato nella provincia di Chicago nel
1977 a 13 mesi d'età. Dopo un accurato addestramento,
sapeva nominare referenzialmente più di 30 oggetti (p.e.
uva, sedia, chiavi, carota), 7 colori (p.e. azzurro, giallo,
viola) e 5 forme (p.e. triangolo, quadrato). Sapeva anche
rispondere correttamente se gli si chiedeva se due colori
o forme fossero diverse o le stesse.
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
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b. Esperimenti coi primati La parte del leone in questo tipo
di indagine, però, la fanno i pri-
mati, data la loro prossimità ge-
netica. Si tratta di un campo di
indagine estremamente interes-
sante e ormai consistente, ma an-
che insidioso, per una serie di ragioni: (1) l'atteggiamen-
to spesso fazioso da parte degli sperimentatori (un esem-
pio del quale sono le traduzioni "umanizzate" delle pro-
duzioni dei primati addestrati, che possono dare un'im-
pressione molto migliore della realtà, specie a persone
linguisticamente poco consapevoli; non va nemmeno
dimenticato che gli sperimentatori generalmente diven-
tano una sorta di genitori adottivi dei soggetti); (2) le
reazioni quasi religiose al dibattito (in parte anche reli-
giose in senso proprio); (3) l'ignoranza da parte degli
sperimentatori, in genere psicologi, riguardo alla natura
del linguaggio umano; (4) i problemi causati dall'intera-
zione con animali pericolosi quando diventano adulti,
che decretano la fine dell'esperimento e impediscono di
seguire tutti gli sviluppi successivi. La conseguenza è
che non è facile farsi un'idea precisa e obiettiva dei risul-
tati di questi esperimenti.
Il primo tentativo sperimentale di insegnare a parlare una
lingua umana a un primate si ebbe nel 1931, quando i
coniugi Kellogg adottarono uno scimpanzè femmina di 7
mesi di nome Gua, allevandola insieme al figlio coeta-
neo, Donald, ed esponendola continuamente al parlato. Il
tentativo fu un fallimento: alla fine di anni di addestra-
mento, Gua capiva c. 70 parole, ma non parlava affatto.
Naturalmente, il figlio umano imparò invece l'inglese
normalmente.
Un altro esperimento fu condotto diversi anni più tardi,
nel 1947, dai coniugi Hayes su uno scimpanzè femmina
di nome Viki. Al termine di 3 anni di addestramento in-
tensivo imparò ad articolare in modo semicomprensibile
(più per i loro "genitori" che per gli altri, a quanto pare)
4 parole: PAPA, MAMA, CUP, UP.
Divenne in seguito chiaro che i primati non possono
parlare perché non hanno l'apparato fonatorio adatto. Il
confronto fra gli apparati fonatori dello scimpanzè e
dell'uomo mostra i seguenti contrasti:
(1) la cavità orale umana è in proporzione più corta e più lar-
ga; (2) la mandibola è più leggera; (3) la laringe è situata più
in basso nel collo in modo, da cui risulta una cavità faringea
più ampia e ad angolo retto con la cavità orale; (4) la lingua è
un elemento di continuità tra le due cavità, di cui può modifi-
care con i movimenti forma e dimensioni; (5) il canale sopra-
laringeo dell'uomo funziona come un organo a due canne, a
differenza di quello dello scimpanzè.
Questi insuccessi determinarono la perdita di interesse in
questi esperimenti, già di per sé molto impegnativi e di-
spendiosi. Una svolta si ebbe un paio di decenni dopo,
quando qualcuno pensò di utilizzare altri media. Da allo-
ra si sono utilizzate la lingua dei segni (basata sull'ASL)
o dei supporti (magnetici prima, elettronici in seguito). A
seconda del medium utilizzato, i primati sono conosciuti
come 'segnatori' o 'puntatori'.
I coniugi Premack furono i primi a sperimentare con
un medium diverso dalla voce. Cominciarono a lavorare
nel 1966 su Sarah, una femmina di scimpanzè di 7 anni,
utilizzando dei gettoni magnetici di diversi colori, forme
e dimensioni su una lavagna magnetica, come quelli che
si vedono nella figura di seguito (N.B. quasi tutti i getto-
ni sono arbitrari):
Sarah doveva collocare i gettoni in una sequenza esatta
che corrispondeva all'ordine delle parole nelle frasi di
lingua inglese. Non veniva invece assegnato alcun valore
all'orientazione con cui venivano collocati i gettoni.
Fu anche in grado di apprendere dei concetti astratti. I
concetti di 'uguale' e 'diverso' le furono insegnati facen-
dole accoppiare oggetti uguali (p.e. 2 mele): le fu dato un
gettone per indicare 'uguale', che fu posto tra le 2 mele.
Le fu poi insegnato a mettere il gettone 'diverso' tra 2
oggetti diversi:
Marco Svolacchia
7
L'interrogazione fu introdotta con l'aiuto delle parole
'uguale' e 'diverso': un gettone designato per ? veniva po-
sto tra i due oggetti e Sarah doveva sostituire il gettone ?
con quello per 'uguale' o 'diverso', a seconda dei casi:
Il concetto di 'colore', una parola
piuttosto astratta, venne insegna-
to tramite proposizioni come
'rosso ? mela', 'giallo ? banana':
S. doveva sostituire '?' col sim-
bolo per 'colore':
Il passo successivo fu di inse-
gnare la lingua con la lingua: Sa-
rah apprese a mettere il gettone
'si chiama' tra il gettone 'mela' e
l'immagine di una mela:
La negazione fu insegnata trami-
te domande come 'giallo ? mela',
'rosso ? banana': Sarah doveva
rispondere sostituendo '?' col
simbolo per 'colore' o 'non colo-
re':
La relazione condizionale ('se...,
allora...') fu insegnata come
un'unica parola, posta tra le due
proposizioni. Sara doveva fare
molta attenzione al significato
delle 2 frasi per avere un premio:
Un esempio degli esercizi a cui Sarah venne sottoposta
nella fase avanzata del suo addestramento è rappresenta-
to nell’immagine a fianco, in cui, dopo aver letto sulla
lavagna magnetica il messaggio "Sarah mettere mela
secchio banana piatto", eseguiva con precisione le azio-
ni richieste. Per interpretare correttamente la frase come
'mettere (la) mela (nel) secchio (e la) banana (nel) piatto'
– e non, p.e., 'mettere (la) mela, (il) secchio (e la) bana-
na (nel) piatto – lo scimpanzé doveva capire la struttura
della frase (almeno a un certo livello), in quanto l'ordine
delle parole da solo non era sufficiente a risolvere le am-
biguità:
Quali sono stati i risultati di questo esperimento? Se-
condo A.J. e D. Premack, Sarah arrivò ad apprendere
(passivamente e attivamente) circa 130 parole, sia astrat-
te che concrete – che usava con un'attendibilità compresa
tra il 75 e 1'80 per cento – che sapeva utilizzare in modo
referenziale (applicandole a classi di elementi, quindi
non come nomi propri) e arrivò a capire la 'struttura della
frase'. Nelle loro parole:
Nel valutare i risultati dell'esperimento compiuto con Sarah
bisogna fare attenzione a non richiedere a Sarah ciò che si ri-
chiederebbe a un uomo adulto. Messa a confronto con un
bambino di due anni, Sarah si difende però molto bene sul
piano dell'abilità di linguaggio. Di fatto a Sarah vennero fatte
richieste in una forma linguistica che non verrebbe mai usata
con un bambino. L'uomo è affetto da pregiudizi comprensi-
bili a favore della propria specie, e i membri di altre specie
devono compiere fatiche erculee prima che venga a essi ri-
conosciuto il possesso di capacità simili, particolarmente nel
campo del linguaggio.
Va notato, però, che non è affatto chiaro che cosa inten-
dano i Premack con ‘comprendere la struttura della fra-
se’. La domanda corretta da farsi, semmai, sarebbe: 'A
quale livello di comprensione della sintassi è arrivata Sa-
rah?'. La frase utilizzata, una coordinata piuttosto sem-
plice, non è esattamente la struttura più complessa gene-
rabile dalla sintassi umana.
Quasi contempora-
neamente, nel 1967, i
coniugi Gardner
cominciarono a spe-
rimentare su una
femmina di scim-
panzè di un anno,
Washoe, che fu alle-
vata come un essere
umano e che era circondata da persone che le parlavano
in lingua dei segni (derivata dall'ASL) durante tutte le
ore di veglia. Dopo alcuni anni di addestramento, Wa-
shoe aveva appreso dalle 100 alle 300 parole (la varia-
zione è dovuta alla mancanza di accordo tra ricercatori:
pare che W. ne utilizzasse 132 attivamente e c. 350 pas-
sivamente) usate referenzialmente, utilizzabili in modo
generale (p.e., utilizzava MORE non solo per farsi fare il
solletico, ma anche per farsi spingere in un cesto della
biancheria e per chiedere altro cibo) e con distanziamen-
to. Sapeva produrre frasi di 2/3 parole in modo creativo,
come illustrano gli esempi seguenti:
GIMME TICKLE ‘fammi solletico’
GO SWEET ‘andare lamponi’
OPEN FOOD DRINK ‘aprire frigo’
LISTEN EAT ‘sentire (il segnale del) mangiare’
HURRY GIMME TOOTHBRUSH ('sbrigare dare spazzolino da
denti')
ROGER WASHOE TICKLE ('Roger fare solletico Washoe').
Inoltre, pare che le capacità linguistiche di W. fossero
conformi al criterio della tradizione, in quanto avrebbe
insegnato quello che aveva appreso della lingua dei se-
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
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gni a un figlio adottivo, dopo essere stata trasferita in
una riserva per primati.
Accanto a questi successi, si deve notare un grave ri-
sultato negativo: l'assenza di grammatica. L'ordine delle
parole era infatti casuale: SWEET GO o GO SWEET, al con-
trario dell'inglese dei coetanei umani: MUMMY COME,
EVE READ, ADAM PUT, CAR GONE. Un altro aspetto che
va considerato è che, durante gli esperimenti, gli osser-
vatori madrelingua di ASL riconoscevano a Washoe un
numero molto minore di segni rispetto agli istruttori (e
giudicavano la sua attività gestuale molto confusa). Va
ricordato che gli istruttori di W. non erano parlanti nativi
di ASL; in realtà, quello che utilizzavano era un pidgin
ASL (anche se questa differenza non sembra fosse chiara
ai Gardner).
Un altro esperimento che ha avuto una certa notorietà
(tanto da dare luogo a un film documentario), sebbene
meno influenza dei precedenti a causa di gravi difetti di
impostazione, è quello condotto a partire dal 1972 dalla
psicologa F. Patterson su Koko, una femmina di gorilla
di un anno, cui insegnò una forma di ASL.
I risultati di questo espe-
rimento sono molto contro-
versi e contraddittori: pare
che K. fosse riuscita ad ap-
prendere attivamente più di
1.000 parole (!) di ASL, un
numero esorbitante in rap-
porto a quello degli altri
primati precedentemente
addestrati al linguaggio, e c.
2.000 parole di inglese (!!)
(Nell'immagine si vede Ko-
ko che esegue il segno per
'occhio').
Per quanto riguarda la sintassi, i dati sono invece molto
scarsi, in quanto pare che la maggior parte delle sue
emissioni consistessero di risposte a domande a scopo
lessicale del tipo 'qual è sedia?'; 'qual è rosso?' Pertanto,
a quanto pare, le emissioni di K. consistevano più che al-
tro in denominazioni ('(questo è un) albero'; '(questa è
una) banana') o in frasi monofrastiche, in cui l'interpre-
tazione dell'intenzione comunicativa doveva essere infe-
rita dal contesto ('banana' poteva significare '(voglio una)
banana' oppure '(questa è una) banana', e via dicendo),
che è la prestazione tipica di bambini umani al di sotto di
1,5 anni di età.
Qualche anno più tardi (1973)
H. Terrace condusse un altro
esperimento con uno scimpanzè
maschio molto giovane, Nim
Chimpsky, che venne sottopo-
sto a 4 anni di addestramento
sistematico. Il medium usato fu,
come per Washoe, una lingua
dei segni basata sull'ASL. Si
trattò di un esperimento consi-
derevolmente diverso rispetto ai precedenti, per due ra-
gioni: (1) sebbene fosse cresciuto in una famiglia adotti-
va dall'età di due settimane, N.C. fu sottoposto a un me-
todo di addestramento più rigoroso dei precedenti (l'ap-
proccio fu quello della experimental analysis of beha-
vior, di derivazione comportamentista); (2) anche l'anali-
si dei dati fu condotta in modo più rigoroso (utilizzando
un computer per elaborarli quantitativamente) che in
passato, in cui si ricorse più che altro a procedure im-
pressionistiche.
I risultati furono molto più modesti di quelli dichiarati
per Sarah e Washoe. Risultò che N.C. aveva appreso 125
parole (per un'unica ricercatrice del team il numero sa-
rebbe stato in realtà di un quintuplo), ma le sue emissioni
difettavano di qualunque traccia di sintassi umana. Sem-
brava produrre con una certa frequenza anche frasi di 4
parole; in realtà, le sue performance risultarono molto
meno impressionanti perché almeno una parola era sem-
pre una ripetizione letterale o concettuale di una prece-
dente, come mostrano le seguenti liste di enunciati di 3 o
4 parole (con a destra l'indice di frequenza):
L'enunciato massimo registrato fu: GIVE ORANGE ME GI-
VE EAT ORANGE ME EAT ORANGE GIVE ME EAT ORANGE
GIVE ME YOU.
Petitto e Seidenberg, due ricercatori che avevano lavo-
rato al progetto, notarono a questo proposito: ‘Repetiti-
ve, inconsistently structured strings are in fact characte-
ristic of ape signing’.
Un altro punto debole dell'apprendimento sintattico di
N.C. fu l'ordine delle parole incostante (che, in effetti,
sembra del tutto casuale: p.e., EAT nelle frasi sopra ripor-
tate compare in tutte le posizioni possibili).
Un altro aspetto significativo delle performance verbali
di N. C. fu la scarsa creatività: a 2 anni il 38% dei suoi
enunciati consisteva di imitazioni complete o parziali
degli enunciati degli istruttori; a 4 anni la percentuale era
salita al 54%. Il confronto con l'apprendimento da parte
dei bambini umani, in cui il fenomeno è inverso, è im-
pietoso.
Un altro elemento degno di nota è che, a quanto pare,
Nim non riuscisse mai a conversare veramente, in quanto
non capiva il meccanismo del cambio di turno conversa-
zionale e raramente iniziava una conversazione, limitan-
dosi a reagire all'istruttore (nell'88% dei casi).
Marco Svolacchia
9
Le conclusioni di Terrace, che pure aveva iniziato l'e-
sperimento per confutare le idee innatiste di Noam
Chomsky (proprio per fare il verso al quale fu scelto il
nome dello scimpanzè), sono le seguenti: ‘It would be premature to conclude that a chimpanzee’s
combinations show the same structure evident in the sentences
of a child’ (Terrace 1979a: 221); ‘Nim’s signing with his
teachers bore only a superficial resemblance to a child’s con-
versations with his or her parents’ (Terrace 1983: 57)
Va aggiunto che le conclusioni di Terrace furono fero-
cemente criticate da alcuni studiosi, in particolare dai
coniugi Gardner, secondo i quali:
Nim era uno scimpanzè disturbato (a causa dei fre-
quenti cambi di istruttore); quindi "diversamente abile"
linguisticamente.
Il metodo di analisi dei dati era difettoso, perché
acontestuale (la critica allude al fatto che i dati vennero
elaborati tutti insieme in seguito immettendoli in un
computer).
In sintesi, la critica è che la ricerca di obiettività ha con-
dotto a un addestramento anaffettivo e a un'analisi dei
dati asettica. Inversamente, Terrace replicò che i prece-
denti esperimenti erano viziati da scarsa obiettività di
metodo e di analisi. La controversia è tutt'altro che risol-
ta a tutt'oggi. Di fatto, il risultato fallimentare dell'espe-
rimento di Terrace determinò la fine di molti progetti di
ricerca, anche tenuto conto delle ingenti risorse che que-
sti esperimenti richiedono a livello di impegno umano e
di finanziamenti.
Dovettero passare
diversi anni prima
che gli esperimenti
linguistici sui primati
riprendessero. Il più
interessante di que-
sti, con tutta probabi-
lità, è quello di S.
Savage-Rumbaugh,
che dal 1980 addestrò un maschio di bonobo (detto an-
che 'pigmeo nano': a quanto pare una specie a sé, sebbe-
ne strettamente imparentata con gli scimpanzè) di nome
Kanzi. Il medium utilizzato fu una tastiera collegata a un
computer che utilizzava segni geometrici arbitrari (e un
cartellone plastificato con gli stessi segni che veniva uti-
lizzato durante le uscite all'aperto). Kanzi venne anche
addestrato alla com-
prensione dell'inglese
parlato (nella figura
si vede mentre parte-
cipa a una seduta di
addestramento al par-
lato).
I risultati dichiarati di questo esperimento sono impres-
sionanti:
1. apprendimento "spontaneo" di centinaia di parole
tramite i segni arbitrari sulla tastiera o cartellone;
2. capacità di produzione di frasi fino a 4 parole;
3. apprendimento di decine di parole inglesi; compren-
sione di alcune frasi semplici in inglese;
4. apprendimento di alcuni segni gestuali per imitazione
spontanea.
Un aspetto notevole del suo apprendimento è che all'ini-
zio, quando era ancora piccolissimo, non era oggetto di
addestramento, ma si limitava ad accompagnare (o, piut-
tosto, a distrarre e infastidire) il soggetto addestrato, la
madre adottiva, che per la verità non fece grandi pro-
gressi nell'arte del linguaggio. Kanzi, invece, mostrò im-
provvisamente e casualmente di aver appreso sponta-
neamente molte parole, mentre sembrava fare di tutto,
meno che prestare attenzione alle lezioni tenute alla ma-
dre. Qualcosa del genere sembra verificò essersi verifica-
to più tardi, almeno in una certa misura, con l'inglese
parlato (ovviamente per la sola comprensione) e con
l'ASL, quest'ultimo sulla sola base della visione ripetuta
dei filmati di Koko (i primati, umani compresi, sembra-
no amare molto la visione di filmati dei propri simili).
In sintesi, il livello linguistico raggiunto da Kanzi, che
è probabilmente il poliglotta recordman tra i primati non
umani, è quello di un bambino di 2 anni da un punto di
vista della produzione e quello di un bambino di 2,5 anni
per quanto riguarda la sua capacità di comprensione.
4. Conclusioni: gli animali possono imparare una lin-
gua umana? La risposta a questa domanda deve essere senza alcun
dubbio negativa: sebbene ci sia qualche elemento in co-
mune (specie coi primati), le capacità linguistiche anima-
li differiscono da quella umana in termini di ampiezza
del lessico, dipendenza dal contesto e, ovviamente, nella
sintassi (per quanto riguarda i primati, anche nella fono-
logia). Per il lessico, si pensi alla dotazione di un norma-
le adulto: quante parole conosce una persona normale?
LESSEMI SENSI PERIFRASI
c. 20.000 c. 40.000 c. 60.000
Si pensi soprattutto a come un bambino normale ap-
prende le parole: a quale ritmo le impara? Comincia a 1
anno; impara 10 parole al giorno fino a 17/18 anni; a 6
anni conosce c. 13.000 parole = 1 parola/1 ora di veglia.
Inoltre, e significativamente, l'apprendimento è quasi
interamente spontaneo: il peso dell'apprendimento espli-
cito ('questo si chiama x') è trascurabile e mai necessario.
Se si paragona questa situazione a quella a cui i primati
linguisti sono stati esposti, le prestazioni dei primati ri-
sultano molto modeste. Per la sintassi, i risultati sono
ancora meno lusinghieri: Herbert Terrace ha notato che
l'aumento della lunghezza media degli enunciati (LME)
ha andamento diverso da quello dei bambini, come il
grafico seguente mostra:
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
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Nel grafico si vede che col passare del tempo a ogni au-
mento del vocabolario nei bambini corrisponde un au-
mento di LME (curve in nero), anche nel caso di bambi-
ni non udenti (curve in grigio), mentre nello scimpanzé
Nim (curva in colore) tale lunghezza resta stazionaria.
Come spiegare questo paradosso? La risposta più proba-
bile è che, mentre il bambino migliora con l'età perché
potenzia la sintassi, un sistema di regole (o principi) ge-
nerative, i primati migliorano solo la loro capacità imita-
tiva. Il fatto puro e semplice è che un primate, anche il
più dotato e meglio addestrato, si ferma alle possibilità
di un bambino di 2/2,5 anni (che, va aggiunto, apprende
la lingua in modo del tutto spontaneo), le cui capacità
linguistiche sono ancora in fase iniziale. Il risultato è che
quando un bambino comincia lo sviluppo vertiginoso
delle sue possibilità linguistiche, un primate si ferma.
Come spiegare questa differenza? In altre parole, che
cos'è che noi abbiamo e che manca persino ai nostri pa-
renti più prossimi? Detto in altri termini, che cosa ci ren-
de umani? Secondo T. Fitch, un eminente biolinguista:
The basic conclusion is that animals possess a rich cognitive
world, but are quite limited in their ability to communicate
their thoughts to others. Furthermore, it seems that the ca-
pacity of nonhuman primates to interpret acoustic signals is
far more sophisticated than their ability to generate relevant,
informative signals. The limitations on nonhuman “theory of
mind” mean that animals can only fulfill one half of the Gri-
cean contract: they are well equipped for context-dependent
pragmatic inference, but not for pragmatic expression.
Quindi, ci sarebbero
almeno due aspetti rile-
vanti: la scarsa capacità
imitativa dei primati,
almeno per quanto ri-
guarda il segno fonico,
ciò che spiegherebbe la
difficoltà nell'apprendi-
mento anche passivo del
lessico di una lingua par-
lata. In realtà, a quanto pare, le capacità imitative dei
primati sono tutt'altro che rimarchevoli anche per quel
che riguarda il linguaggio gestuale. Dal punto di vista
delle capacità imitative, delfini e uccelli canterini fanno
molto di meglio.
L'altro aspetto rilevato da Fitch è relativo alle serie li-
mitazioni nelle capacità di lettura della mente, che com-
porta, tra l'altro, la possibilità di trarre inferenze conver-
sazionali (del tipo di quelle studiate da P. Grice). Si trat-
ta di una capacità non linguistica in senso stretto, ma in-
dispensabile per fare un uso "umano" delle nostre capa-
cità linguistiche.
Un'altra incapacità mostrata dai primati è nell'acquisi-
zione del carattere creativo, generativo, del linguaggio
umano, in particolare della sua componente fondamenta-
le, la ricorsività. È interessante, a questo proposito, con-
frontarla con una capacità che potrebbe essere stretta-
mente correlata: computare la quantità. Mentre anche i
primati non umani hanno mostrato la capacità di compu-
tare le 'numerosità' (incluse la quantificazione precisa di
piccole quantità e quella approssimativa di grandi quan-
tità di elementi), gli umani sembrano essere unici nella
capacità di compu-
tare in modo preci-
so quantità illimita-
te di elementi,
un'abilità che, come
la sintassi umana,
si basa sulla com-
putazione ricorsiva.
In conclusione, nemmeno le scimmie antropomorfe rie-
scono a imparare una lingua umana, in particolare la
grammatica (probabilmente nemmeno la fonologia, seb-
bene non sappiamo quasi nulla di certo delle loro capaci-
tà fonologiche analitiche). Possono però comunicare in
modo simbolico – apprendendo segnali arbitrari (come i
primati puntatori hanno mostrato in modo assai evidente)
e mostrando distanziamento (per parlare, in una certa
misura, anche di elementi non presenti). Sembrano quin-
di possedere un antesignano del linguaggio, che però non
viene impiegato nelle condizioni naturali. Verosimil-
mente, si tratta di un effetto collaterale di qualche altra
capacità cognitiva più importante per la specie.
Pertanto, la risposta alla domanda iniziale 'Gli animali
possono imparare una lingua umana?' è negativa: sebbe-
ne pappagalli e primati – con le dovute differenze – han-
no raggiunto risultati notevoli (molto superiori comun-
que a quello che generalmente si riteneva possibile), sol-
tanto un essere umano può imparare veramente una lin-
gua umana. Del resto, perché stupirsi: se degli scienziati
di una specie di cetacei estremamente intelligente speri-
mentassero riguardo alla possibilità da parte degli esseri
umani di apprendere a nuotare come loro, dovrebbero
concludere che, per quanto intelligenti, gli umani non ne
sono veramente capaci.