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Progettazione strutturale per elementi finiti
Sergio Baragetti
Facoltà di IngegneriaUniversità degli Studi di Bergamo
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Il metodo degli Elementi Finiti permette di risolvere il problema della determinazione dello stato di sforzo e deformazione in elementi in condizioni di carico per le quali non è reperibile o ricavabile la soluzione analitica.
In questo metodo si discretizza il continuo, che ha infiniti gradi di libertà, con un insieme di elementi di dimensioni finite, tra loro interconnessi in punti predefiniti (nodi).y
x
v3
u3
u1
u2
v2
v1
v
u
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Funzioni di forma
u a a x a yv a a x a y= + += + +
1 2 3
4 5 6
Legano gli spostamenti nel generico punto dell’elemento finito agli spostamenti nodali
Funzioni di forma lineari:
a a a1 5 6, , , ,K sono coefficienti costanti
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• La scelta della funzione di forma influenza la fase di suddivisione in elementi finiti.
• L’utilizzo di elementi finiti con funzioni di forma lineari permette di modellare l’andamento degli spostamenti all’interno dei singoli elementi finiti attraverso funzioni lineari.
• L’utilizzo di elementi finiti con funzioni di forma lineari richiede perciòsuddivisioni molto fitte in corrispondenza delle zone del componente in analisi in cui si prevede vi sia un elevato gradiente degli sforzi.
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• L’introduzione di elementi finiti che prevedano l’utilizzo di funzioni di forma di grado superiore al primo, permette di “adeguare” il grado della funzione di forma alla particolare applicazione (si passa da polinomi interpolanti semplici a polinomi più complessi).
• E’ il programma di calcolo che, fissato il tipo di suddivisione inelementi finiti, utilizza funzioni di forma di grado adeguato (in maniera “gerarchica”, partendo da polinomi di grado inferiore).
a) Funzioni di forma di grado superiore al primo b) Funzioni di forma lineari
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Criteri di modellazione
• Elementi finiti contigui devono avere nodi coincidenti sulle superfici di confine.
SINO
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• Alcuni softwareconsentono di ristabilire la congruenza degli spostamenti per superfici con nodi non coincidenti sulle superfici di confine.
• Tuttavia i risultati, in termini di sforzi, spesso in tali zone non sono accurati.
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Solutori che adottano elementi finiti con funzioni di forma di grado superiore al primo
• Utilizzando i solutori in commercio non si incontrano problemi di convergenza ad una soluzione accettabile dal punto di vista ingegneristico.
• L’utilizzo di funzioni di forma di grado crescente, nelle zone in cui siano presenti gradienti di sforzi accentuati, permette di adeguare la funzione di forma alla precisione voluta.
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Solo per le zone del modello in cui si vogliono risultati accurati:
1) Gli elementi finiti, bidimensionali o tridimensionali, devono avere rapporto tra i lati, ASPECT RATIO, prossimo all’unità.
2) Gli angoli ai vertici degli elementi finiti, bidimensionali o tridimensionali, dovrebbero assumere lo stesso valore (ad es. 90° per elementi finiti quadrangolari e 60° per elementi finiti triangolari).
3) E’ necessario infittire la suddivisione in elementi finiti nelle zone in cui sono previsti elevati gradienti di sforzo (intagli o brusche variazioni di sezione).
Solutori che adottano elementi finiti con funzioni di forma lineari
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4) La correttezza della suddivisione in elementi finiti, in analisi strutturali statiche con comportamento del materiale lineare elastico, può essere verificata realizzando modelli ad infittimento crescente.
80
100
120
140
160
180
200
0 1 2 3 4 5 6
N° Modello
Tens
ione
Prin
cipa
le M
assi
ma
[MPa
]
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Soluzione di problemi strutturali piani in campo lineare elastico
s
FF
• Dato che la struttura è a piccolo spessore possiamo ritenere che lo stato di sforzo sia piano.
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Schematizzazione ad elementi finiti della lastra forata
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Schema della struttura semplificata in base alle condizioni di simmetria
F/6
F/6
F/6
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y
x
v3
u3
u1
u2
v2
v1
v
u
Rappresentazione di un elemento finito
Caratteristiche degli elementi finiti
u a a x a yv a a x a y= + += + +
1 2 3
4 5 6
Funzioni di forma lineari
uv
x yx y
aaaaaa
=
1 0 0 00 0 0 1
1
2
3
4
5
6
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Quindi: { } [ ]{ }f A a=
{ }fuv=
[ ]Ax y
x y=
1 0 0 00 0 0 1
{ }a
aaaaaa
=
1
2
3
4
5
6
Con:
Possiamo imporre gli spostamenti per i tre vertici di un elemento triangolare:
Caratteristiche degli elementi finiti
363543
262542
161541
333213
232212
131211
yaxaavyaxaavyaxaavyaxaauyaxaauyaxaau
++=++=++=++=++=++=
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In forma matriciale si ha:
uuuvvv
x yx yx y
x yx yx y
aaaaaa
1
2
3
1
2
3
1 1
2 2
3 3
1 1
2 2
3 3
1
2
3
4
5
6
1 0 0 01 0 0 01 0 0 00 0 0 10 0 0 10 0 0 1
=
{ } [ ]{ }f C an =
{ } [ ] { }a C f n= −1
il vettore spostamento generico si può scrivere in funzione degli spostamenti dei nodi:
{ } [ ][ ] { } [ ]{ }f A C f fn n= =−1 Φ
{ } [ ]{ }f A a=
La matrice [Φ] è detta
matrice delle funzioni di forma.
Caratteristiche degli elementi finiti
[ ]φ =
N N NN N N
1 2 3
1 2 3
0 0 00 0 0
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• Supposti quindi noti i generici spostamenti possiamo passare alle deformazioni; come noto, esse son date dalle derivate degli spostamenti secondo le variabili x e y.
Calcolo dello stato di deformazione
ε∂∂
ε∂∂
γ∂∂
∂∂x y xy
ux
vy
vx
uy
= = = +; ;
• Con scrittura matriciale: { } [ ]{ }ε = B fn
{ }εεγ
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
∂∂
x
y
xy
n
Nx
Nx
Nx
Ny
Ny
Ny
Ny
Nx
Ny
Nx
Ny
Nx
f
=
1 2 3
1 2 3
1 1 2 2 3 3
0 0 0
0 0 0
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Calcolo dello stato di sforzo
• Siamo adesso in grado di ricavare lo stato di sforzo note le deformazioni:
σστ
ν
υυ
ν
εεγ
x
y
xy
x
y
xy
E
=
− −
1
1 01 0
0 01
2
2{ } [ ]{ }σ ε= D
• Quindi, sfruttando il legame deformazioni-spostamenti nodali:
{ } [ ][ ]{ }σ = D B fn
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• Per passare dagli sforzi alle forze e quindi giungere ad un'equazione che leghi le forze agli spostamenti nodali, possiamo utilizzare il principio dei lavori virtuali
Legame carichi applicati-sforzi indotti
{ }F
{ } { } { } [ ] [ ][ ]{ }f F f B D B f dVn
T
n
T Tn
V
= ∫
• In forma matriciale, se con indichiamo il vettore delle forze esterne, si ha:
{ } [ ]{ }F K fn=
∫= Vn dVFf σε
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• La matrice [ K ] è una matrice 6x6 di costanti, e assume il significato di:
Matrice di rigidezza dell’elemento
[ ]K
k k k k k kkkkkk
x x x y x x x y x x x y
y x
x x
y x
x x
y x
=
1 1 1 1 1 2 1 2 1 3 1 3
1 1
2 1
2 1
3 1
3 1
, , , , , ,
,
,
,
,
,
K B D B sT= ∆
La matrice di rigidezza dell’elemento finito
• L’elemento generico kix,jy rappresenta la reazione che nasce nel nodo i nella direzione x per effetto di uno spostamento unitario impresso al nodo j in direzione y.
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1 2
34
1
2
Procedura di assemblaggio
• Il passo successivo è la determinazione della matrice di rigidezza globale relativa al sistema di riferimento globale
• A questo scopo si compila una tabella nella quale si riportano, per ogni triangolo, i numeri dei vertici, che per convenzione si leggono in senso antiorario (così si costruisce la tabella delle incidenze):
1° nodo 2° nodo 3° nodoTriangolo (EF) 1 1 2 4
Triangolo (EF) 2 2 3 4
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• Il nodo 2 appartiene al triangolo 1 (dove è il 2° nodo nella numerazione interna) e al triangolo 2 (dove è il 1° nodo nella numerazione interna)
• Ora è facile osservare come, ad esempio, il K2x,2x, coefficiente di rigidezza del nodo 2 in direzione x sia dato da:
Procedura di assemblaggio
( ) ( )k k kx x x x x x2 2 2 2 1 1 1 2, , ,= +
1° nodo 2° nodo 3° nodoTriangolo (EF) 1 1 2 4
Triangolo (EF) 2 2 3 4
• Il pedice fuori parentesi si riferisce al numero del triangolo.
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• Ricavando per ogni nodo il coefficiente di rigidezza, attraverso la procedura di assemblaggio si può ricavare la matrice globale di rigidezza.
La matrice di rigidezza della struttura
{ } [ ] { }F K fg g n g=
• A questo punto siamo in grado di ricavare gli spostamenti in funzione delle forze applicate invertendo l'espressione precedente.
• Dagli spostamenti si possono ricavare gli sforzi ripercorrendo quanto fatto all'inizio.
{ } [ ]{ }{ } [ ][ ]{ }ε
σ
=
=
B f
D B fn
n
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Simulazione numerica della pallinatura
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Simulazione del serraggio di connessioni filettate
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Simulazione apertura air-bag
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Simulazione impatto autoveicolo
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Modello di struttura navale